La Cassazione ricorda che l'assegno di mantenimento ha una funzione solidaristica, ma non spetta se la moglie non dimostra di essersi adoperata per trovare un'occupazione

Mantenimento alla moglie che smette di lavorare dopo la prima figlia

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Alla ex che non si attiva nel cercare un'occupazione dopo la separazione non spetta il mantenimento o spetta in misura ridotta. Il fatto che la stessa abbia interpretato come un'imposizione la decisione del marito di non farla più lavorare nei suoi studi medici non rileva perché è solo un suo sentire. Questa in estrema sintesi quanto sancito dall'ordinanza n. 20866/2021 della Cassazione (sotto allegata).

La vicenda processuale

Pronunciando la separazione dei coniugi il Tribunale respinge le reciproche richieste di addebito, affida la figlia a entrambi i genitori, fissandone la residenza presso la madre, fissa modalità e tempi del diritto di vista del padre e pone a suo carico l'obbligo di versare 800 euro per la moglie, 900 per la figlia e le spese straordinarie per quest'ultima.

La Corte d'Appello adita da entrambi ribadisce il rigetto delle reciproche istanze di addebito visto che tra di loro non vi è mai stata una comunione spirituale, materiale e intima e riduce l'assegno per la moglie (ortottista) stante il suo stato di disoccupazione colpevole, modulando diversamente le frequentazioni padre e figlia.

E' stato il marito a volere l'uscita della moglie dal mondo del lavoro

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La donna nel ricorrere in Cassazione con il primo motivo denuncia l'errata conclusione sull'addebito della separazione al marito, nel ritenere la crisi coniugale già in corso quando il marito l'ha tradita.

Con il secondo denuncia la nullità della sentenza per contrasto tra la motivazione, che indica l'importo dell'assegno di mantenimento di 400 euro e la parte dispositiva che stabilisce in 300 euro l'importo della misura senza indicare i criteri applicati in base ai quali è giunto alla decisione dell'importo più basso.

Con il terzo fa presente che la corte, nel quantificare l'assegno non ha tenuto conto delle concrete possibilità della donna di svolgere un'attività lavorativa retribuita.

Con il quarto si duole della mancata considerazione da parte della Corte di Appello delle circostanze che si sono verificate, ossia che prima della nascita della figlia la stessa lavorava insieme al coniuge negli studi medici di quest'ultimo e che è stato il marito a decidere la sua uscita dal mondo del lavoro, affinché si potesse dedicare a tempo pieno alla figlia. Un simile accordo per la donna produce effetti anche dopo la separazione, con il conseguente obbligo del marito di dover provvedere al suo mantenimento.

Niente assegno alla moglie che non si attiva per ricostruire la sua carriera

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Gli Ermellini, dopo un attento esame delle singole doglianze, accoglie il secondo motivo del ricorso dichiara assorbito il sesto e rigetta tutti gli altri. Vediamo perché.

Per la Cassazione il primo motivo è infondato e inammissibile perché i giudici di merito hanno rilevato non tanto la rottura di un matrimonio, ma l'assenza di un vero matrimonio, del tutto privo dell'affectio coniugalis. Non può esservi quindi nesso di causa tra infedeltà coniugale del marito e fine di un legame matrimoniale se questo non è mai esistito.

Passando poi all'esame congiunto del secondo e del terzo motivo con cui si contesta la quantificazione dell'assegno di mantenimento, la Cassazione precisa che "una concreta attitudine al lavoro, capace di trovare un positivo riscontro sul mercato, possa rimanere non sfruttata a causa ella inerzia dello stesso richiedente l'assegno, con il risultato di addossare l'onere del suo mantenimento sul coniuge separato e occupato, in quanto un simile contegno inattivo si pone in contrasto con il reale contenuto del dovere di assistenza coniugale, comunque persistente in caso di separazione fino allo scioglimento del matrimonio."

Il diritto al mantenimento deve essere provato dal coniuge richiedente, al quale è richiesto anche di dimostrare la sua non colpevolezza della condizione che lo spinge a richiedere l'aiuto economico del coniuge separato. Condizione che nel caso di specie non sussiste, visto che è stato dimostrato che la stessa aveva la possibilità di lavorare. Grava sul richiedente infatti l'onere di dimostrare di essersi attivata e proposta per cercare un'occupazione e mettere a frutto le sue capacità.

Sul punto la Cassazione fissa quindi il seguente principio: "il riconoscimento dell'assegno di mantenimento per mancanza di adeguati redditi propri previsto dall'art. 156 cod. civ., essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi a ciò che l'istante sia in grado, secondo il canone dell' "ordinaria diligenza", di procurarsi da solo. Rimane perciò a carico del coniuge richiedente l'assegno di mantenimento, ove risulti accertata in fatto la sua possibilità di lavorare, l'onere di dimostrare di essersi inutilmente attivato e proposto sul mercato occupazionale per mettere a frutto le proprie attitudini professionali. "

Fatta questa premessa la Corte ritiene però fondato il motivo con cui si contesta l'entità dell'assegno di mantenimento, perché il contrasto insanabile tra la motivazione e il dispositivo rende in effetti nulla la sentenza impugnata, perché incide sulla possibilità di conoscere l'effettiva portata della decisione sull'importo dell'assegno.

Il quarto motivo invece per la Cassazione è infondato perché se è vero che la separazione instaura un regime che conserva gli effetti del matrimonio purché compatibili con la cessazione ella convivenza, un principio simile non può perpetuare una condizione avvertita dalla stessa come una vera e propria imposizione. Inammissibile infine il quinto motivo e assorbito dall'accoglimento del secondo il sesto.

Scarica pdf Cassazione n. 20866/2021

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