Per la Cassazione, in un procedimento disciplinare intrapreso nei confronti di un legale si possono divulgare dati sensibili nel rispetto del criterio della minimizzazione

Risarcimento dei danni provocati dalla divulgazione di dati personali

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La Cassazione, chiamata a pronunciarsi in una vicenda in cui si lamenta la violazione della privacy per diffusione di dati sensibili all'interno di un procedimento disciplinare intrapreso nei confronti di un avvocato, nell'ordinanza n. 11020/2021 (sotto allegata) sancisce che la divulgazione è possibile purché si realizzi nel rispetto del criterio di minimizzazione, il quale prevede che possono essere utilizzati solo i dati necessari, pertinenti e limitati alla finalità per la quale sono stati raccolti. Vediamo il perché di questa decisione.

Un avvocato, funzionario di cancelleria, si dimette dall'incarico e agisce in giudizio proponendo ricorso ai sensi dell'art. 152 del dlgs n. 196/2001 per ottenere il risarcimento dei danni che ritiene di aver subito a causa della illecita divulgazione dei suoi dati, coperti da riservatezza.

Controparte infatti, nell'esposto sollevato nei confronti del suddetto avvocato, esordisce facendo presente che lo stesso, ex dipendente del tribunale, era stato sottoposto più volte a procedimento disciplinare.

Il Tribunale adito accoglie la richiesta dell'avvocato e condanna controparte a corrispondere quanto richiesto a titolo di danno non patrimoniale e a versare la somma di 8.550,00 euro ai sensi e per gli effetti di cui all'art 96 c.p.c.

Per il Tribunale, con la presentazione dell'esposto, poi archiviato, la donna ha violato il diritto alla riservatezza dell'imputato attraverso la divulgazione dei dati sensibili relativi ai suoi precedenti disciplinari, senza però dare conto che le sanzioni irrogate sono state poi annullate. La divulgazione quindi non aveva altro fine che gettare discredito sull'immagine del professionista nell'ambiante lavorativo in cui era appena entrato da due anni.

I dati sono stati divulgati nell'esercizio del diritto di difesa

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Parte soccombente a questo punto ricorre in Cassazione sollevando, per l'argomento che qui interessa approfondire, i seguenti motivi.

  • La ricorrente fa presente che nel corso di un'audizione disciplinare dell'avvocato lo stesso l'aveva minacciata, ragion per cui tali dati, non potevano essere isolati dal contesto, svilendo in caso contrario la finalità dell'esposto. Chiaro quindi che la ritenuta violazione della privacy non è stata commessa né con dolo né con colpa.
  • Fa poi presente che con la sua condotta non ha violato l'art. 15 del Codice della Privacy
    perché i dati dell'avvocato sono stati diffusi in un ambiente deputato a svolgere una funzione para-giurisdizionale. Peraltro aver diffuso informazioni sui precedenti disciplinari rientra nel suo diritto di difesa.
  • Per la ricorrente non c'è' prova che la diffusione dei dati suddetti abbiano creato danni all'avvocato, visto che lo stesso ha potuto far presente che i procedimenti nei suoi confronti sono stati poi annullati.
  • Infine contesta la condanna ai sensi dell'art. 96 c.p.c comma 3 perché non si può negare il diritto di resistere il giudizio.

Divulgazione dei dati ammessa nel rispetto del criterio di minimizzazione

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La Cassazione accoglie solo l'ultimo motivo del ricorso, ma respinge gli altri per i seguenti motivi.

Per Gli Ermellini il Tribunale, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, ha ritenuto sussistente l'elemento soggettivo della condotta illecita perché la stessa ha solo evidenziato i procedimenti disciplinari a carico dell'avocato senza però dare conto del loro annullamento. In ogni caso la divulgazione dei dati non aveva nulla a che fare con l'esposto presentato al Consiglio dell'ordine. Unica finalità quindi era quella di gettare discredito sul legale.

Per quanto riguarda la contesta violazione dell'art. 15 del Codice Privacy la Cassazione fa presente come "il trattamento delle informazioni personali effettuato nell'ambito di un esposto al Consiglio dell'Ordine degli Avvocati in relazione ad una asserita condotta deontologicamente scorretta posta in essere da un legale sia lecito purché, tuttavia, avvenga nel rispetto del criterio di minimizzazione nell'uso dei dati personali, dovendo essere utilizzati solo i dati indispensabili, pertinenti e limitati a quanto necessario per il perseguimento delle finalità per cui sono raccolti e trattati."

Sulla contestazione della mancata prova dei danni derivanti dalla violazione sulla privacy la Cassazione fa presente che il Tribunale ha evidenziato la gravità della lesione e la serietà del danno derivati dalla "divulgazione di una pluralità di procedimenti disciplinari a carico dell'avvocato peraltro generica e dunque maggiormente offensiva in quanto allusiva (aperta a qualunque interpretazione soggettiva)."

Inevitabili quindi le conseguenze negative derivanti dalla diffusione dei dati suddetti per la sfera emotiva del diretto interessato, per la sua immagine e per il contesto lavorativo in cui operava da soli due anni, periodo in cui un professionista tenta di costruirsi una certa credibilità e rispetto sia nei confronti di potenziali clienti che dei colleghi.

Fondato invece il motivo con cui si contesta la condanna ai sensi dell'art 96 c.p.c comma 3 perché non è rilevabile alcun abuso del processo da parte della ricorrente.

Scarica pdf Cassazione n. 11020/2021

Foto: 123rf.com
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