Un confronto tra la disciplina italiana e quella applicabile oltre i confini nazionali sulla responsabilità del produttore di dispositivi medici; la possibilità di estensione della disciplina alla robotica medica

La responsabilità del produttore

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Il tema della responsabilità del produttore, in virtù dell'importanza che riveste nell'ambito del contesto normativo, economico e sociale della nostra società, costituisce sicuramente uno degli argomenti più complessi e dibattuti nella riflessione della dottrina sulla responsabilità civile.

Nelle elaborazioni giurisprudenziali e dottrinali civilistiche non mancano mai riferimenti a questa categoria di responsabilità che, senza ombra di dubbio, rappresenta uno dei più importanti filoni del diritto civile.

All'interno della grande categoria costituita dalla responsabilità del produttore, tra le diverse fattispecie, una posizione di predominanza è certamente rivestita dalla responsabilità del produttore di dispositivi medici.

I dispositivi medici

I dispositivi medici, infatti, rappresentano in ogni società un settore sempre più rilevante, non solo perché incidono su valori fondamentali come la salute, la longevità umana, ma anche perché hanno evidenti riflessi economici sulle case di produzione e sulle aziende sanitarie.

Evidentemente l'importanza di questo argomento travalica i confini nazionali, e ciò è confermato da alcuni recenti studi secondo cui "Medical devices contribute significantly to enhanche the quality of health care and economic outcomes for Europe. Medical devices in the 27 EU states plus Norway and Switzerland wereworth 95 billioneuros in 2009 with a yearly growth of around 5 - 6%". Prima di analizzare nel merito la disciplina vigente occorre, almeno in via generale, delineare l'ambito applicativo soggettivo, segnato dalle figure del produttore e del consumatore.

Per "produttore" si intende sia il fabbricante del prodotto finito o di una sua componente, sia il produttore della materia prima. Anche la figura del distributore, tuttavia, può assumere rilevanza, soprattutto sotto il profilo della responsabilità penale: secondo alcune pronunce della Corte di Cassazione, infatti, anche il distributore può essere ritenuto responsabile al pari del produttore "quando la sua attività può incidere sulle caratteristiche di sicurezza del prodotto".

La definizione di produttore è volutamente molto vasta, al fine di garantire un'ampia tutela, di tipo risarcitorio, al consumatore. Per consumatore si intende generalmente, invece, l'utilizzatore del dispositivo medico, a prescindere da chi abbia proceduto (eventualmente) al suo acquisto e che, in seguito all'utilizzo, abbia riportato un danno causalmente riconducibile al dispositivo; tuttavia, in alcune situazioni, profili di tutela appaiono prospettabili anche per soggetti diversi dal semplice utilizzatore.

La tipologia di responsabilità configurabile in capo al produttore di dispositivi medici è riconducibile, almeno in linea di massima, a quella prevista generalmente per il produttore nel nostro ordinamento: come meglio si prospetterà nel corso dell'elaborato, infatti, "la responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall'accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell'esistenza di un difetto del prodotto" (Cass. n. 13458/2013; Cass. n. 3258/2016).

Le peculiarità della responsabilità del produttore di dispositivi medici

Altra peculiarità della responsabilità del produttore di dispositivi medici è rappresentata dalla natura delle fonti: la disciplina attualmente vigente, infatti, può essere considerata un "ibrido" tra la normativa nazionale e quella comunitaria che, senza ombra di dubbio, ha esercitato un'influenza notevole in materia. Deriva anche da questa incidenza il cambio di prospettiva relativo alla tipologia di responsabilità configurabile in capo al produttore di dispositivi medici: da un sistema di responsabilità ancorato alla presenza del dolo e/o della colpa, tipico del nostro ordinamento, si passa ad una visione della responsabilità che prescinde dalla presenza dell'elemento soggettivo ed ancorata principalmente alla presenza dell'evento-danno.

A livello comunitario, la responsabilità per i danni cagionati da prodotti difettosi è regolata dalla direttiva CEE 85/374 del 25 luglio 1985 (Ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi), recepita in Italia dal d.P.R. 24 maggio 1988, n. 224. Tale normativa oggi è stata abrogata e sostituita dal D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del Consumo), così come modificato dal D. Lgs. 23.10.2007, n. 221 e che, ad oggi, costituisce il principale parametro normativo di riferimento in materia in quanto i dispositivi medici, possono essere considerati dei "prodotti" e, in quanto tali, assoggettabili alle norme contenute nel Codice del Consumo sul danno da prodotti.

Alla direttiva CEE 85/374 seguono, a livello europeo, una serie di interventi legislativi più specifici e che delineano il panorama normativo attuale: più in particolare, la direttiva 90/385, trasposta in Italia nel D. Lgs. n. 507 del 1992 e riguardante i dispostivi medici impiantabili attivi; la direttiva 93/42, trasposta in Italia con il D. Lgs. n. 46 del 24 febbraio 1997, avente ad oggetto i dispositivi medici in generale, la direttiva 98/79, recepita in Italia con il D. Lgs. n. 332 del 2001, sui dispositivi medici in vitro; la direttiva 2003/32, recepita in Italia con il D. Lgs. N. 67 del 2005, riguardante dispositivi medici fabbricati con tessuti di origine animale e, infine, la direttiva 2007/47, trasposta nel nostro ordinamento con il D. Lgs. n. 37 del 25 gennaio 2010, che modifica la Direttiva 93/42 con lo scopo di bilanciare il diritto alla salute di coloro che usano i dispositivi medici e la libera circolazione di questi ultimi.

Ambito di applicazione della disciplina sui dispositivi medici

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Prima di poter analizzare il campo d'applicazione della normativa vigente in tema di responsabilità del produttore di dispositivi medici, è necessario definire la figura del produttore e quella del consumatore/utilizzatore del dispositivo.

I destinatari della normativa vigente: il consumatore-utilizzatore e il produttore

Circa la definizione della figura dell'utilizzatore, ossia il soggetto legittimato ad azionare la pretesa risarcitoria in caso di danno derivante dall'utilizzo di un dispositivo medico, fondamentale risulta essere la sentenza n. 13458 del 29 maggio 2013 della Corte di Cassazione, sez. III, ai sensi della quale "legittimati ad agire sulla base delle specifiche disposizioni dettate dalla suddetta disciplina sono, tutti i soggetti che in qualche modo si sono trovati esposti, anche in maniera occasionale, al rischio derivante dal prodotto difettoso, riferendosi la tutela accordata all'"utilizzatore" in senso lato e, quindi, indubbiamente ad una persona fisica - come è reso evidente dall'identificazione del danno risarcibile in quello «cagionato dalla morte o da lesioni personali» e dalla limitazione dei danni materiali risarcibili- ma non esclusivamente al "consumatore" o utilizzatore non professionale". Il principio citato nella sentenza della Cassazione, che dunque estende la legittimazione ad agire a qualunque soggetto entrato in contatto con il prodotto e causalmente vittima di un danno, è da integrare con quello stabilito a livello europeo dalla Corte di Giustizia dell'UE circa il concetto di uso professionale: "il risarcimento dei danni cagionati da una cosa destinata ad un uso professionale e utilizzata in tal senso non fa parte degli aspetti che la direttiva disciplina", non essendo "siffatti danni ... riconducibili al termine "danno" ai sensi dell'art. l della direttiva 85/374, così come definito al suo art. 9. Tuttavia, essa non osta all'interpretazione di un diritto nazionale ovvero all'applicazione di una giurisprudenza interna consolidata secondo cui il danneggiato può chiedere il risarcimento del danno cagionato da una cosa destinata ad un uso professionale e utilizzata in tal senso, qualora detto danneggiato fornisca solamente la prova del danno, del difetto del prodotto e del nesso causale tra il suddetto difetto e il danno" (CGUE, causa C-258/08). La definizione di produttore è contenuta negli artt. 1 e 3 della direttiva 85/374 CEE, ai sensi dei quali per produttore deve intendersi il fabbricante del prodotto finito o di una sua componente. Solo in casi tassativamente individuate altre persone possono essere considerate alla stessa stregua del produttore, ossia: chi, apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore dello stesso (art. 3, n. 1, della direttiva); chiunque importi un prodotto nella Comunità (art. 3, n. 2, della direttiva) e il fornitore che, quando non può essere individuato il produttore, non comunichi al danneggiato, entro un termine ragionevole, l'identità di quest'ultimo o della persona che gli ha fornito il prodotto (art. 3, n. 3, della direttiva). Poiché la direttiva persegue un'armonizzazione totale sui punti da essa disciplinati, la determinazione della cerchia dei responsabili operata da tali disposizioni deve essere considerata tassativa. Quanto detto è da integrare, inoltre, con le specificazioni introdotte dal Regolamento UE 745/2017, il quale specifica che per fabbricante è da intendersi "la persona fisica o giuridica che fabbrica o rimette a nuovo un dispositivo oppure lo fa progettare, fabbricare o rimettere a nuovo, e lo commercializza apponendovi il suo nome o marchio commerciale" e che gli obblighi facenti capo al fabbricante, e logicamente anche la responsabilità che consegue alla loro violazione, trovano applicazione anche nei confronti del distributore, importatore o altro soggetto se "a) se mette un dispositivo a disposizione sul mercato con il proprio nome, la propria denominazione commerciale o il proprio marchio registrato, tranne nei casi in cui un distributore o un importatore conclude un accordo con un fabbricante in base al quale il fabbricante è indicato come tale sull'etichetta ed è responsabile del rispetto degli obblighi che incombono ai fabbricanti a norma del presente regolamento; b) modifica la destinazione d'uso di un dispositivo già immesso sul mercato o messo in servizio; c) modifica un dispositivo già immesso sul mercato o messo in servizio in modo tale che la sua conformità alle prescrizioni applicabili possa risultare compromessa. Il primo comma non si applica ai soggetti che, pur non essendo considerati un fabbricante secondo la definizione di cui all'articolo 2, punto 30, montano o adattano per un paziente specifico un dispositivo già presente sul mercato senza modificarne la destinazione d'uso".

Cosa si intende per "dispositivi medici"

Per delineare l'ambito operativo della responsabilità del produttore di dispositivi medici occorre innanzitutto analizzare cosa si intende per "dispositivi medici". Nel gergo comune si suole distinguere tra dispositivi medici "comuni", acquistabili in farmacia o addirittura in un supermercato, e dispositivi medici "complessi", ossia quelli che vengono acquistati dalle aziende sanitarie, da operatori medici, dalle case di produzione. È evidente, dunque, che la nozione di "dispositivo medico" non sia affatto omogenea. Tuttavia, che essi siano classificati come "comuni" o "complessi", per essere qualificati come dispositivi medici è necessario che vengano utilizzati, da soli o in combinazione, nell'uomo o sull'uomo a scopo di diagnosi, prevenzione, controllo o terapia di una malattia, sostituzione o modifica dell'anatomia. I dispositivi medici interessano dunque un numero sempre crescente di utenti e la loro regolamentazione necessita di particolare attenzione considerato che incide con il diritto fondamentale alla salute, costituzionalmente tutelato dall'art. 32 della Costituzione. Il riferimento normativo principale circa la definizione di "dispositivo medico", in ogni caso, è costituito dal D. Lgs. n. 46 del 24 febbraio 1997, emanato in attuazione della direttiva 93/42/CEE; l'art. 1 comma 2 lettera a) dispone infatti che per dispositivo medico si intende "qualsiasi strumento, apparecchio, impianto, sostanza o altro prodotto, utilizzato da solo o in combinazione, compreso il software informatico impiegato per il corretto funzionamento, e destinato dal fabbricante ad essere impiegato nell'uomo a scopo di diagnosi prevenzione, controllo, terapia o attenuazione di una malattia; di diagnosi, controllo, terapia, attenuazione o compensazione di una ferita o di un handicap; di studio, sostituzione o modifica dell'anatomia o di un processo fisiologico; di intervento sul concepimento, il quale prodotto non eserciti l'azione principale, nel o sul corpo umano, cui è destinato, con mezzi farmacologici o immunologici ne' mediante processo metabolico ma la cui funzione possa essere coadiuvata da tali mezzi". Il concetto di "dispositivo medico" è dunque parecchio ampio da ricomprendervi diverse fattispecie e, la scelta del legislatore, è certamente coerente alla necessità di prospettare una consistente ed articolata tutela al consumatore-utilizzatore.

Quando un dispositivo medico può essere qualificato come "difettoso"

Affinché possa configurarsi la responsabilità del produttore di dispositivi medici, è necessario che gli stessi risultino essere difettosi. Ai sensi dell'art. 5 del d.P.R. 24 maggio 1988 n. 224, trasfuso nell'art. 117 del Codice del Consumo, il livello di sicurezza al di sotto del quale il prodotto deve ritenersi difettoso si configura quando lo stesso non offre la sicurezza che si può legittimamente attendere tenuto conto di circostanze quali il modo ed il periodo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, la sua presentazione, le sue caratteristiche palesi, le istruzioni e le avvertenze fornite, l'uso al quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato e i comportamenti che, in relazione a esso, si possono prevedere. Dall'analisi dell'art. 117 del Codice del Consumo può notarsi come la nozione di difetto sia connessa al concetto di "insicurezza" e, pertanto, non coincide con la nozione di "vizio" di cui all'art. 1490 c.c., che si riferisce ad un'imperfezione materiale del bene che lo rende inidoneo all'utilizzo o che ne riduce il valore e può quindi anche non comportare un'insicurezza del prodotto. Il concetto di "insicurezza" non si identifica neanche con la nozione di "difetto di conformità" di cui all'art. 129 del Codice del Consumo, né in quella di "mancanza di qualità essenziale" di cui all'art. 1497 c.c. La disposizione esclude dunque che la prova del difetto debba necessariamente concretarsi nell'individuazione di uno specifico vizio di progettazione o di fabbricazione: anzi, la causa ignota della mancanza di sicurezza del prodotto è a carico del produttore sull'assunto che l'evento, molto probabilmente, sia ascrivibile ad un vizio non identificato. Tuttavia la dottrina suole distinguere tra difetto di fabbricazione, difetto di progettazione e difetto di informazione. Il primo, ai sensi dell'art. 117, comma 3, del Codice del Consumo, si configura quando il prodotto non promette la sicurezza offerta normalmente dagli altri esemplari della medesima serie, ossia quando il prodotto ha cagionato un danno che gli altri della medesima serie non hanno cagionato. Secondo alcune dottrine, la regolamentazione di questo tipo di difetto rappresenterebbe l'esplicito riconoscimento, a livello normativo, della responsabilità da "rischio di impresa". Il rischio di tale difetto non può essere eliminato totalmente, nemmeno con le tecniche più avanzate, dovendo perciò essere considerato prevedibile dal produttore di dispositivi medici e, dunque, ridimensionabile attraverso opportuni controlli di qualità. La seconda tipologia di difetto, quello di progettazione o concezione, riguarda invece tutta la linea produttiva nel complesso ed è implicitamente definito dall'art. 117, comma 1, lett. b) del Codice del Consumo, il quale impone al produttore, in fase di progettazione, di prefigurarsi prevedibilmente gli usi e i comportamenti possibili da parte del consumatore, al fine di adottare tutte le misure necessarie a soddisfare le legittime aspettative di sicurezza. In capo al produttore di dispositivi medici sussiste sicuramente un obbligo più intenso di progettare e costruire il dispositivo utilizzando tutte quelle conoscenze tecnico-scientifiche tali da soddisfare le imprescindibili misure di sicurezza e salvaguardare il diritto alla salute dell'utilizzatore. Il terzo tipo difetto, infine, quello di informazione, si ricava dall'art. 117, comma 1, lett. a) del Codice del Consumo, che qualifica un prodotto come difettoso ove manchino corrette e complete istruzioni o adeguate avvertenze non solo sulle modalità di installazione e utilizzazione del dispositivo, ma anche con riferimento alla ripartizione dei rischi. Tali informazioni devono tenere conto sia degli usi propri, sia di quelli prevedibili del dispositivo: non basta dunque l'indicazione del rischio di danno ed anzi, per alcuni dispositivi medici (ad es. una protesi di un arto), è ipotizzabile una formazione dopo l'innesto nonché un piano di sorveglianza prolungato nel tempo.

Le ambiguità relative alla nozione di "difetto"

La nozione di difetto viene dunque costruita, sia dal legislatore europeo sia da quello nazionale, intorno al parametro dell'insicurezza. Oltre alle diverse sfaccettature sopra menzionate, parte della dottrina afferma che, così configurata, la definizione di "difetto" sia quasi "circolare" in quanto, «nel momento in cui il difetto viene definito in termini di non sicurezza, esso entra in corto circuito con il danno, risultando la non sicurezza qualificazione del prodotto desunta a posteriori dal danno verificatosi» e, conseguentemente, il difetto sia da intendersi come «riflesso a ritroso del danno conseguente all'uso del prodotto quando non ricorra una causa diversa». Considerato, quindi, che in base alla lettura maggioritaria il difetto si identifica nella specifica propensione al danno misurata da un'espressione elastica (la sicurezza che ci si può legittimamente attendere), può affermarsi che non è tanto il difetto a fungere da elemento costitutivo della fattispecie di responsabilità, quanto il danno causato dal prodotto ad indurre a considerare quest'ultimo difettoso. Pertanto, come si prospetterà nel corso dell'elaborato, la prova del nesso causale risente di tale definizione di difetto.

Il rapporto tra il "difetto" e la certificazione di conformità

La direttiva 93/42 introduce nel panorama europeo, tra le altre, la prescrizione relativa alla certificazione di conformità dei dispositivi medici che debbono essere messi in commercio. Occorre dunque verificare se il rispetto degli standard di sicurezza e dei requisiti di progettazione e fabbricazione dei dispositivi, necessari ai fini del rilascio della certificazione di conformità, può comunque integrare la presenza di un difetto e, conseguentemente, la responsabilità del produttore. La risposta è senza dubbio positiva, in quanto il rispetto dei requisiti codificati da norme tecniche integra una presunzione di fabbricazione a regola d'arte, ma non comporta un'automatica esclusione della responsabilità del produttore. Il rispetto dei requisiti di sicurezza è condizione necessaria ai fini dell'immissione in commercio del dispositivo, ma non coincide necessariamente con l'assenza di difetti e, dunque, con l'assenza di responsabilità del produttore. La stessa normativa generale sulla sicurezza dei prodotti, infatti, fa salve le disposizioni in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi. Ritenere che i prodotti certificati siano per definizione sicuri (e quindi non difettosi), infatti, delimiterebbe l'area della responsabilità per danno da prodotto alle sole ipotesi di prodotti immessi illegalmente sul mercato. Le certificazioni di conformità non comportano neanche l'operatività dell'esimente per il c.d. rischio da sviluppo, poiché lo stesso sistema di qualità non indica affatto che un prodotto sia realizzato secondo le tecniche costruttive più avanzate nel momento storico considerato. Il rispetto dei cc.dd. requisiti essenziali è dunque funzionale all'introduzione del prodotto sul mercato, ma non coincide con la prova della non prevedibilità del danno nello stato delle conoscenze scientifiche e tecniche del momento in cui il prodotto è messo in circolazione.

I profili della responsabilità del produttore

Come precedentemente anticipato, la disciplina del d.P.R. n. 224 del 24 maggio 1988, ora confluita negli artt. 114 - 127 del Codice del Consumo, prevede un tipo di responsabilità che prescinde dalla colpa del produttore, conseguendo alla mera utilizzazione del prodotto difettoso. Ed è proprio a corollario di questa impostazione che viene legittimato ad azionare la pretesa risarcitoria chiunque sia stato danneggiato dall'utilizzo del dispositivo. Dunque, in una prospettiva di tutela della posizione del consumatore/utilizzatore, il concetto di fondo è quello della responsabilità oggettiva (c. d. strict liability), con la conseguenza che il produttore dovrà rispondere dei danni cagionati dai difetti del proprio prodotto. Alcuni autori, tuttavia, preferiscono parlare di responsabilità per colpa presunta, piuttosto che di responsabilità oggettiva, in quanto il regime di responsabilità sarebbe caratterizzato da una mera inversione dell'onere della prova, essendo tipizzate cause di esclusione della responsabilità del produttore; altri ancora, invece, definiscono quella del produttore come «un'ipotesi di responsabilità oggettiva doppiamente temperata dalla presenza del requisito del difetto del prodotto e della possibilità per il produttore di liberarsi da responsabilità dimostrando la presenza di uno dei fatti impeditivi dell'insorgere dell'effetto risarcitorio». A conferma di tale impostazione tendenzialmente oggettiva della responsabilità, la Corte di Cassazione, nella nota sentenza n. 20985 dell'8 ottobre 2007, ha confermato che il paziente danneggiato dall'utilizzo di un dispositivo medico deve solo provare che l'uso del prodotto ha comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative. Tuttavia, la mitigazione dell'oggettività della responsabilità del produttore è confermata dalla stessa Suprema Corte, nella più recente sentenza n. 15851 del 29 luglio 2015, in cui si statuisce che non deve parlarsi di una fattispecie di responsabilità oggettiva "pura" ma di responsabilità presunta, poiché è vero che prescinde dall'accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla prova, che cade in capo al soggetto danneggiato, dell'esistenza di un difetto del prodotto. Pertanto, sarà l'utilizzatore a dover provare il nesso causale non tanto tra prodotto e danno, ma tra danno e difetto. Ecco perché, alla luce delle più recenti evoluzioni giurisprudenziali, appare più corretto parlare di responsabilità presunta piuttosto che di responsabilità oggettiva.

Orientamento dei giudici di legittimità sulla responsabilità del produttore

I giudici di legittimità, sulla base del modello europeo, partono dunque dai seguenti principi in materia di responsabilità del produttore:

a) il danneggiato non è tenuto a provare il vizio di fabbricazione ma più semplicemente che il prodotto non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere, in relazione alle circostanze, tra cui le istruzioni con cui il prodotto è messo in circolazione e l'uso al quale potrà essere ragionevolmente destinato;

b) la prova del difetto del prodotto si riterrà raggiunta dall'utente danneggiato ogni qual volta il risultato dell'uso del bene non risulti rispettoso delle comuni aspettative (nel senso che il difetto si desume anche "presuntivamente" se il prodotto ha causato un pregiudizio non ascrivibile ad un uso anomalo e imprevedibile del bene da parte dell'utente);

c) spetta al produttore dimostrare che il difetto non esisteva nel momento in cui ha immesso in circolazione il bene;

d) la mera menzione del possibile verificarsi di rischi connessi all'utilizzo, se può scongiurare il profilarsi di un eventuale difetto di informazione, non preclude in alcun modo un'azione giudiziale del consumatore inconsapevole dell'esistenza del difetto di fabbricazione, dovuto ad un insufficiente esercizio dei controlli e/o delle ispezioni di qualità normalmente assicurati all'interno dei processi produttivi.

Merita inoltre di essere evidenziato che la Corte di Cassazione, in un'ottica forse eccessivamente penalizzante per i produttori, ritiene irrilevante che le istruzioni del prodotto avvertano della possibilità che il dispositivo impiantato o utilizzato possa presentare delle anomalie e, sempre in un'ottica di protezione del consumatore, rileva che un mero avviso circa l'insicurezza del prodotto non può dare luogo a comportamenti cautelativi atti a scongiurare il pregiudizio, ma solo fungere come elemento utile a orientare il consenso informato del fruitore. Il paziente deve dunque essere messo nella condizione di decidere se i benefici derivanti dall'acquisto del dispositivo prevalgano sui rischi preventivati.

Con riferimento, invece, all'assenza del difetto al momento dell'ultimazione del ciclo produttivo, si può osservare che il produttore è tenuto indenne da qualsiasi responsabilità ogniqualvolta il difetto sia sorto successivamente alla messa in circolazione del bene e per una causa lui non imputabile. Tuttavia, così come stabilito dalla Suprema Corte, realizzandosi l'allocazione della responsabilità attraverso un giudizio probabilistico sulla causa del danno, il danneggiato deve dimostrare solamente che «il prodotto ha evidenziato il difetto durante l'uso, che ha subito un danno e che quest'ultimo è in connessione eziologica con detto difetto. È il produttore che ha invece l'onere di provare che quest'ultimo (il difetto riscontrato) non esisteva quando ha posto il prodotto in circolazione».

L'onere della prova

Il tema della ripartizione dei carichi di prova costituisce il fulcro del dibattito sulla responsabilità da prodotto difettoso. L'onere di provare i presupposti della responsabilità di cui all'art. 120 comma 1 del Codice del Consumo, ossia il difetto, il danno e il nesso di causalità tra il difetto e il danno, grava sul danneggiato, a fedele replica di quanto previsto dall'art. 4 della direttiva 374/85. Dunque, affinché possa configurarsi la responsabilità del produttore e, conseguentemente, la pretesa risarcitoria dell'utilizzatore danneggiato, è necessario che quest'ultimo provi questi elementi. Tale regola probatoria è stata considerata determinante nell'individuazione della natura della responsabilità del produttore: si addebita al danneggiato l'onere probatorio, nell'esigenza di adottare una soluzione orientata al principio della vicinanza della prova. Si è sostenuto, infatti, che la prova del danno debba gravare sul danneggiato che invoca il risarcimento, ossia su colui nella cui sfera d'azione ricade il danno e al quale pertanto la prova dello stesso risulta più agevole. D'altronde, la difficoltà per il danneggiato di riuscire a provare che il danno è stato cagionato da un difetto del prodotto è stata oggetto di attenzione da parte della stessa Commissione Europea nelle relazioni sullo stato applicativo della direttiva 374/85, in cui si sollecita la risoluzione dei problemi riscontrati nella prassi applicativa dopo il recepimento negli Stati membri. L'Unione Europea è pertanto favorevole ad un regime probatorio nazionale volto ad agevolare il danneggiato nel fornire le prove richieste, senza imporgli di produrre prove certe ed inconfutabili della sussistenza del difetto del prodotto e del nesso di causalità tra il difetto e il danno subito. Il giudice è quindi autorizzato a concludere che tali elementi esistano, fondandosi su un complesso di indizi, la cui gravità, precisione e concordanza gli consentono di ritenere con un grado sufficientemente elevato di probabilità che una simile conclusione corrisponda alla realtà, senza che ciò comporti un'inversione dell'onere della prova. L'onere di dimostrare i vari indizi è infatti a carico del danneggiato ed è richiesto al giudice di preservare il proprio libero apprezzamento sulla sufficienza della prova fornita dal danneggiato, per formare il proprio libero convincimento definitivo solo dopo aver preso conoscenza degli elementi prodotti dalle due parti e degli argomenti scambiati dalle stesse. La Corte di giustizia dell'Unione europea, adottando un orientamento condiviso dai giudici nazionali, a garanzia del danneggiato, precisa che uno standard probatorio preclusivo del ricorso al metodo indiziario sarebbe in contrasto con quanto richiesto dalla stessa direttiva, compromettendone l'effetto utile, perché aggraverebbe la prova della responsabilità del produttore, escludendo ogni modalità di prova differente dalla certa dimostrazione medica. Infatti, nel modello europeo di responsabilità del produttore, il danneggiato non è tenuto a provare il vizio di fabbricazione, ma più semplicemente che il prodotto non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere in relazione alle circostanze. L'applicazione del criterio delle ragionevoli aspettative di sicurezza è infatti mediato dalla rilevanza riconosciuta a circostanze specificatamente individuate, quali le caratteristiche e le proprietà oggettive del prodotto, le modalità di presentazione, le istruzioni e le avvertenze fornite, le destinazioni d'uso nonché la particolare categoria di utenti cui il prodotto è destinato. Proprio le indicazioni relative a specifiche destinazioni d'uso assumono un significato essenziale nell'ambito dei dispositivi medici, rispetto ai quali i requisiti di sicurezza attesi sono particolarmente elevati, considerando la situazione di vulnerabilità dei pazienti che ne fruiscono e le finalità terapeutica degli stessi spesso legata a funzioni vitali. Proprio a tal fine, si ritiene che l'accertamento di un difetto di funzionamento in alcuni prodotti del gruppo o della serie consente di qualificare come difettosi tutti i prodotti del medesimo gruppo o della medesima serie, senza che occorra riscontrare in concreto il suddetto difetto nel prodotto interessato. Sulla scorta di quanto affermato, si può notare dunque che, con il tempo, attraverso un'interpretazione più favorevole al danneggiato, l'assolvimento dell'onere della prova da parte del danneggiato è stato reso più agevole. A conferma di tale impostazione, giova richiamare una sentenza "illuminata" della Corte di Cassazione in cui viene sancito che l'art. 8 del d.P.R. 224 del 1988 va interpretato nel senso che detto danneggiato deve provare che l'uso del prodotto ha comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative e tali da evidenziare la sussistenza di un difetto di ai sensi di cui all'art. 5 d.P.R. cit.; invece il produttore deve provare (ex artt. 6 e 8 del d.P.R. cit.) che è probabile che il difetto non esistesse ancora al momento in cui il prodotto è stato messo in circolazione. L'onere della prova, in un'ottica di protezione del consumatore, si è dunque progressivamente spostato: se in principio gravava sul consumatore ora, una volta che quest'ultimo ha provato la connessione tra difetto e danno, è il produttore che dovrà dimostrare di non essere responsabile ex art. 118 del Codice del Consumo secondo il principio della vicinanza della prova che si è sviluppato in tempi recenti. Grazie a tale impostazione oggettiva (o presunta, che dir si voglia) della responsabilità, il consumatore deve dunque solo provare di aver subito un danno e che questo derivi da un difetto del prodotto. In conclusione, provare la responsabilità del produttore, soprattutto per ciò che concerne i dispostivi medici, era molto difficoltoso per il consumatore; dottrina e giurisprudenza hanno in principio accolto il principio della colpa-negligenza ex art. 2043 c.c., che attraverso presunzioni addossa la colpa sul produttore o presume l'esistenza del difetto o del nesso di causalità tra difetto e danno, e in secondo luogo quello della responsabilità oggettiva che tutela maggiormente il consumatore (art. 117 c. consumo).

Riflessioni dottrinali e giurisprudenziali sull'onere della prova

L'attuale configurazione dell'onere della prova è frutto di un lungo ed acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale che, ancora tutt'oggi, non appare chiaro e definito. Generalmente, la dottrina adotta il suddetto schema delineato, in cui il consumatore danneggiato non sarebbe tenuto a provare uno specifico "vizio" della cosa, inteso come rispondenza del prodotto ad un corretto procedimento produttivo o costruttivo, ma quei fatti dai quali emerga il difetto di una qualità di sicurezza del prodotto. Di converso, il quadro giurisprudenziale appare oscillante e fortemente influenzato dalla specificità delle fattispecie concrete. Da un lato, l'elaborazione giurisprudenziale accoglie l'orientamento dottrinale appena illustrato, ritenendo sufficiente la dimostrazione dell'insicurezza del prodotto e non dello specifico vizio di fabbricazione o progettazione/costruzione. Tale orientamento è stato consacrato proprio in una delle pronunce in tema di responsabilità da dispositivo medico difettoso (Cass. civ. n. 20985/2007), ove si controverteva dell'esistenza del difetto in una protesi mammaria impiantata, e confermato in un'altra sentenza di merito, riguardante una protesi d'anca difettosa38. In tali occasioni i giudici hanno ritenuto sufficiente, per il danneggiato, «dimostrare [...] che l'uso del prodotto ha comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative». Dall'altro lato, un maggiore rigore si riscontra in altre pronunce, nelle quali si è affermato che il danneggiato è tenuto a provare lo specifico difetto del prodotto, la cui sussistenza non può desumersi dalla semplice attitudine del medesimo a provocare il danno. Su quest'ultimo punto, merita di essere condivisa la soluzione adottata dalla CGUE che, a più riprese, ha considerato difettosi singoli dispositivi perché appartenenti ad una serie produttiva avente un rischio di malfunzionamento più elevato della norma: l'opzione interpretativa appare infatti coerente con la nozione di "insicurezza" accolta dal legislatore europeo, in coordinamento con le legittime aspettative del pubblico dei consumatori che, in tale contesto, si trovano in una situazione di particolare vulnerabilità. Ne consegue, argomenta la Corte, che il consumatore sarà esonerato dal dover dimostrare uno specifico difetto del prodotto, se tale prodotto fa parte di un gruppo di dispositivi ad elevato rischio di guasto. La soluzione offerta dalla Corte di giustizia trova corrispondenza nelle più recenti elaborazioni della giurisprudenza italiana, ed in particolare in quell'orientamento che tende a non richiedere la prova dello specifico vizio del prodotto: diversamente, una simile prova risulterebbe diabolica, vista l'elevata tecnicità dei prodotti in questione.

Il difetto

Come precedentemente affermato, il primo elemento che l'utilizzatore deve provare affinché possa configurarsi la responsabilità del produttore è il difetto del dispositivo. Si è già detto circa la nozione di dispositivo difettoso e quali sono gli elementi che devono essere presenti. Circa la prova del difetto, la Corte di Cassazione afferma che "il danneggiato deve dimostrare che l'uso del prodotto ha comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative". I giudici di legittimità sembrano prendere atto che la prova dell'esistenza di un difetto del prodotto e della connessione causale tra difetto e danno (art. 120 del Codice del consumo) è particolarmente complessa per il contenuto elastico, dinamico, della nozione di difetto, che non è fondata su un vizio intrinseco, materiale del prodotto, ma sulla frustrazione del consumatore rispetto ad una aspettativa di sicurezza. Il test delle "legittime aspettative", prescritto dalla disciplina speciale per la valutazione di difettosità del prodotto, non consente di indicare con precisione ciò che il danneggiato deve concretamente provare. La prova del difetto non si raggiunge, dunque, soltanto tramite il controllo delle regole che presiedono alla tecnica produttiva, ma costituisce il risultato di un giudizio di sintesi espresso in termini di sicurezza del prodotto. Conformemente alla nozione di difetto che si rinviene nell'art. 117 del Codice del consumo, occorre perciò verificare che il prodotto non offra la sicurezza che ci si può legittimamente attendere, tenendo conto dell'uso al quale lo stesso può essere ragionevolmente destinato e dei comportamenti che in relazione ad esso si possono prevedere in base alle informazioni fornite dal produttore nel momento in cui il prodotto è stato messo in circolazione. Si tratta, quindi, di un'insicurezza relativa: il difetto è infatti la differenza tra il livello di sicurezza offerto dal prodotto e quello che ci si poteva attendere da quella specifica categoria di prodotti. La prova concerne, quindi, i profili di rischio che non sono stati oggetto di informazione e che hanno reso il dispositivo inaspettatamente insicuro. Ovviamente, anche l'uso del dispositivo incide sulla prova del difetto: è l'uso dello stesso, infatti, a mettere in luce l'insicurezza in cui il difetto dovrebbe consistere, potendosi ritenere provato il difetto soltanto dopo che sia stata conseguita la prova della connessione causale del danno con l'uso del prodotto.

Il danno

Affinchè possa configurarsi la responsabilità del produttore, è necessario che l'utilizzatore provi che dall'utilizzo del dispositivo sia lui derivato un danno. Ai sensi dell'art. 123 del Codice del Consumo, per danno risarcibile deve intendersi:

- Il danno cagionato dalla morte o da lesioni personali;

- Il danno derivante dalla distruzione o dal deterioramento di una cosa diversa dal prodotto difettoso, purché di tipo normalmente destinato all'uso o consumo privato e così principalmente utilizzata dal danneggiato (fermo restando che il danno a cose è risarcibile solo nella misura che ecceda la somma di €. 387,00).

Nell'esperienza italiana, tuttavia, si è avuto modo di precisare che il danno cagionato da lesioni personali ex art. 123 del Codice del consumo, non è solo quello incidente sul piano dell'integrità psicofisica (c. d. danno biologico), ma anche quello concernente le conseguenze della lesione sul piano patrimoniale: esso consisterebbe, dunque, nella perdita patrimoniale e non patrimoniale conseguente alla lesione dell'integrità fisica della persona. A livello europeo, invece, si assiste ad un ampliamento del concetto di danno e che, indubbiamente, influenza anche i giudici nazionali. In un interessante caso sottoposto alla sua attenzione, la Corte di Giustizia dell'Unione Europea ha qualificato come danno anche quello cagionato ai pazienti e scaturente dalla necessità di espiantare, attraverso un'operazione chirurgica, dispositivi medici difettosi e non, invece, dal malfunzionamento del dispositivo in senso stretto. La responsabilità del produttore viene affermata, pertanto, in una fattispecie in cui il difetto del prodotto rimane allo stato latente: la sostituzione si realizza, infatti, in un'ottica di precauzione, senza che il difetto si sia sostanziato in un'alterazione dell'ambiente circostante e senza che un danno vero e proprio si sia verificato. Ciononostante, argomenta la Corte, i costi connessi alla sostituzione di tali prodotti meritano di essere risarciti, perché il risarcimento del danno derivante da prodotto difettoso riguarda non solo "tutto quanto necessario per eliminare le conseguenze nocive" del prodotto, ma anche tutto quanto necessario "per ripristinare il livello di sicurezza che ci si può legittimamente attendere". Ancora una volta, dunque, le legittime aspettative di sicurezza degli utilizzatori di dispositivi medici, i quali si attendono standard particolarmente elevati di sicurezza, vengono evocate nell'argomentazione della Corte, al fine di offrire una interpretazione estensiva della Direttiva 85/374/CEE. Il risultato sostanziale a cui perviene la Corte di giustizia merita di essere condiviso. Se, da un lato, l'intervento di espianto e sostituzione dei dispositivi è un intervento meramente precauzionale, volto a prevenire, più che a rimuovere, gli effetti dannosi del prodotto, dall'altro, non può negarsi come il medesimo intervento provochi una lesione dell'integrità fisica della persona del paziente. Infine, i giudici di Lussemburgo chiariscono che non è sufficiente, ai fini dell'insorgenza della responsabilità per danni derivanti dalla sostituzione di dispositivi medici, che gli apparecchi sostituiti presentino un rischio anomalo di guasto. Il produttore, infatti, è tenuto al risarcimento dei danni solamente se l'espianto costituisce l'unico rimedio in grado di neutralizzare il pericolo per la salute del paziente. Ciò, conformemente a quanto previsto dall'art. 4 della Direttiva 85/374/CEE, che richiede che il danneggiato provi la connessione causale tra difetto e danno: non sarebbe provato il nesso causale tra il difetto risultante dal rischio di guasto dei dispositivi e il danno subito dai pazienti, derivante dagli interventi chirurgici di rimozione degli apparecchi, se tale misura preventiva non fosse strettamente necessaria, ma sostituibile con altra meno dannosa.

Il nesso di causalità tra difetto e danno

Dopo la prova del difetto e del danno, l'altro elemento che il consumatore deve dimostrare ai fini della configurazione della responsabilità del produttore del dispositivo è il nesso di causalità tra difetto e danno. Come precedentemente anticipato, è l'uso del prodotto ad incidere in maniera definitiva sulla prova del nesso causale. È proprio l'uso del prodotto, infatti, a mettere in luce l'insicurezza in cui il difetto dovrebbe consistere, potendosi questo ritenere provato soltanto dopo che sia stata conseguita la prova della connessione causale del danno con l'utilizzo dello stesso. La giurisprudenza, come già detto, dopo un'iniziale riluttanza, si è spinta a ritenere assolto l'onere probatorio anche quando sussiste una relazione di carattere probabilistico tra l'impiego del prodotto e il danno e mancano fattori escludenti il nesso causale, sempre in una prospettiva di tutela del consumatore. Il nesso causale può ricavarsi, quindi, dalla dimostrazione del difetto e del danno, anche in presenza di rischi meramente sospettati, purché assistiti da un quadro indiziario conforme all'art. 2729 c.c. Tale gioco delle presunzioni è sicuramente in linea con la tendenza giurisprudenziale interna (e non solo) ad aggravare la posizione del danneggiante. In definitiva, il paziente danneggiato deve solo provare che l'uso del prodotto ha comportato risultati "anomali" rispetto alle legittime attese. Fondamentale, nell'attuale configurazione del nesso di causalità in materia, è la sentenza n. 20985 dell'8 ottobre 2007 della Cassazione civile, sezione III. La Corte afferma innanzitutto che la ripartizione dell'onere della prova non può ovviamente investire il nesso di causalità poiché, nella responsabilità oggettiva, questo non può essere ricercato tra la condotta del danneggiante e l'evento dannoso, in ragione del peculiare criterio di imputazione della responsabilità, vale a dire il fatto della produzione industriale e l'immissione del prodotto sul mercato. I giudici di legittimità richiamano altre pronunce in cui si precisa che il nesso di causalità tra il prodotto e l'evento dannoso deve essere accertato in base alla teoria della causalità adeguata, risalendo dunque all'antecedente fattuale necessario il cui apporto causale, valutata la sequenza causale ex ante, non sia stato neutralizzato da un caso fortuito ovvero dal fortuito autonomo, sia esso imputabile ad un terzo o al danneggiato stesso. Inoltre, la valutazione dell'adeguatezza dell'apporto causale del fortuito autonomo deve essere parametrata alla natura della cosa. Si ritiene che per l'ipotesi della responsabilità del produttore il contenuto del nesso di causalità così ricostruito possa trovare applicazione, salvo l'individuazione ex lege del criterio di imputazione della responsabilità, elemento quest'ultimo che semplifica notevolmente la posizione processuale del danneggiato.

Le cause di esclusione della responsabilità del produttore

Una volta che il danneggiato ha assolto l'onere della prova dimostrando la presenza del difetto, del danno e del nesso di causalità tra gli stessi, si configura la responsabilità del produttore e, conseguentemente, il diritto del danneggiato ad ottenere il relativo risarcimento. Tuttavia, il nostro ordinamento, conformemente alla disciplina europea, prevede delle cause di esclusione della responsabilità del produttore in presenza di determinate circostanze. La disciplina è contenuta all'interno dell'art. 118 del Codice del Consumo, ai sensi del quale "La responsabilità è esclusa: a) se il produttore non ha messo il prodotto in circolazione; b) se il difetto che ha cagionato il danno non esisteva quando il produttore ha messo il prodotto in circolazione; c) se il produttore non ha fabbricato il prodotto per la vendita o per qualsiasi altra forma di distribuzione a titolo oneroso, né lo ha fabbricato o distribuito nell'esercizio della sua attività professionale; d) se il difetto è dovuto alla conformità del prodotto a una norma giuridica imperativa o a un provvedimento vincolante; e) se lo stato delle conoscenze scientifiche e tecniche, al momento in cui il produttore ha messo in circolazione il prodotto, non permetteva ancora di considerare il prodotto come difettoso; f) nel caso del produttore o fornitore di una parte componente o di una materia prima, se il difetto è interamente dovuto alla concezione del prodotto in cui è stata incorporata la parte o materia prima o alla conformità di questa alle istruzioni date dal produttore che la ha utilizzata". Dunque, una volta che il danneggiato provi la presenza degli elementi richiesti, grava sul produttore il compito di liberarsi dalla responsabilità provando uno dei fatti descritti dall'art. 118, lett. a), b), c), d), e), f); la prova liberatoria richiesta al produttore si presenta sia come prova di fatti ulteriori rispetto a quelli sufficienti a fondare la sua responsabilità sia come fatti impeditivi riguardanti circostanze costitutive della responsabilità del produttore. Occorre dunque procedere alla specificazione delle singole cause di esclusione della responsabilità del produttore.

La mancata messa in circolazione del prodotto

L'art. 118, lett. a), c. cons. esclude la responsabilità del produttore nel caso in cui questi non abbia messo in circolazione il prodotto. Data la ratio della disciplina della responsabilità per danno da prodotto, è naturale che l'immissione sul mercato assuma un valore centrale (tanto che il legislatore italiano ha ritenuto opportuno definire nell'articolo 119 il concetto di messa in circolazione del prodotto). Analizzando la norma emerge la questione se rilevi solo la messa in circolazione operata dal produttore finale, oppure anche quella operata da parte del produttore intermedio (o di fase), dal subfornitore, dall'importatore o dal distributore. In relazione alla ratio della disciplina comunitaria, si sostiene la tesi dell'erroneità della concentrazione dell'attenzione, nel definire la messa in circolazione, solo sul produttore finale, visto che si tratta di un elemento da accertare per ciascuno dei soggetti ritenuti responsabili dalla direttiva. "Messa in circolazione" significa, dal punto di vista del produttore finale, la consegna al distributore; dal punto di vista del produttore di fase, la consegna al committente; dal punto di vista del commerciante, la consegna al consumatore. A questa tesi sono state mosse varie critiche fondate sulla considerazione che la stessa ratio della normativa e i dati testuali concorrono a persuadere che la disposizione in esame è rivolta a limitare la responsabilità del produttore al caso in cui il prodotto è stato volontariamente avviato alla distribuzione od all'utente privo dei dovuti requisiti di sicurezza, cioè la circostanza che il prodotto non sia uscito dalla sfera del produttore (o sia uscito contro la sua volontà) ne esclude la responsabilità. Però tutto questo riguarda esclusivamente la sfera del produttore; il fatto che vengano aggiunte delle forme di responsabilità indiretta dell'importatore o del distributore, pure ispirate al principio della maggiore tutela del consumatore, non toglie che la forma di responsabilità primaria, a cui si collega questo limite, resti quella del produttore finale. Anche se al processo produttivo partecipano più soggetti, si tratterà pur sempre di un unico prodotto e di un'unica attività di messa in circolazione, e tale dovrà ritenersi quella del produttore finale. Questa è la soluzione interpretativa prevalente, per cui in definitiva ciò che conta è l'avvenuta messa in circolazione del prodotto, che sarà dimostrata dalla stessa presenza di questo in un anello della catena produttiva. Per quanto riguarda la responsabilità del produttore di fase, essa può qualificarsi come responsabilità concorrente, che accede sempre a quella primaria del produttore finale. Quindi non si può dire che ha rilevanza giuridica solo la messa in circolazione del prodotto finito da parte di quest'ultimo; le parti componenti godono sempre di una certa autonomia, proprio in quanto rivolte ad uno specifico mercato. L'avvio del bene alla distribuzione diretta, oppure ad un qualsiasi momento distributivo, segna il momento della messa in circolazione del prodotto parziale. Lo stesso vale per la produzione su commessa da parte di una impresa subfornitrice. Quindi nel caso di messa in circolazione di un prodotto complesso, occorrerà distinguere tra quella del prodotto finito effettuata dal produttore finale e quella della parte componente, o della materia prima, effettuata dal produttore parziale. Riguardo all'elemento psicologico, la messa in circolazione non può essere imputata all'imprenditore, quando sia avvenuta contro la sua volontà (dopo un furto, una rapina, etc., a cui sia seguita la vendita del bene medesimo), oppure senza la sua volontà (per caso fortuito). Quando la messa in circolazione sia volontaria, il produttore, invece, non può appellarsi all'errore per quanto scusabile.

Il difetto sopravvenuto

L'art. 118, lett. b), Cod. cons. esclude la responsabilità del produttore ove, il difetto del prodotto messo in circolazione, sia successivo a quest'ultima. Qui emerge il problema della prova che grava sul produttore. I limiti di tale onere sono precisati nell'art. 120, comma 2, Cod. cons. per il quale è sufficiente dimostrare la semplice probabilità della inesistenza del difetto al momento della immissione sul mercato, tenuto conto di tutte le circostanze. Altra questione è quella riguardante il difetto che emerga a causa dell'usura del prodotto. Il logoramento del materiale scadente non è considerato alla stregua di fatto sopravvenuto, in quanto la scelta dell'acquisto di un bene costruito con materiale più scadente, ma di minor prezzo, è rimessa al consumatore; tutt'al più potrebbe considerarsi difetto originario, ai sensi dell'art. 117, quando il prodotto più scadente sia venduto tenendo nascosta la sua minore durevolezza, il fatto di essere stato costruito con materiali più deboli, etc. Quanto alla manutenzione, le eventuali carenze da parte dell'utente possono essere così gravi da innescare un difetto ex novo in un prodotto altrimenti non difettoso ai sensi dell'art. 117. In questo caso scatta l'esclusione della responsabilità. Non accade lo stesso quando l'insufficiente manutenzione abbia determinato l'aggravarsi di un difetto originario: in questo caso, non si applicherà l'art. 118, ma l'art. 122, comma 1 Cod. cons. che regola il fatto colposo del danneggiato. La mancata manutenzione non costituirà una esimente, quando il produttore non avrà assolto al dovere di informare adeguatamente l'utente; questa mancanza comporta la difettosità originaria del prodotto. Anche l'assolvimento di questo dovere, però, non esclude la responsabilità del produttore questo non provi che l'utente non ha seguito le informazioni fornitegli. La norma è operativa anche in tutti quei casi in cui il difetto del prodotto sia stato causato da eventi e situazioni particolari dopo la sua messa in circolazione. Non scatta l'esimente, inoltre, quando il difetto, anche se verificatosi dopo la messa in circolazione, sia provocato da una causa interna alla sfera di attività del produttore.

Produzione senza scopo di lucro o non professionale

L'art. 118, lett. c), Cod. cons. esclude la responsabilità del produttore ove il prodotto sia stato fabbricato senza scopo di lucro o non professionalmente. Questi connotati negativi, sono richiesti cumulativamente perché operi la causa di esclusione, come indica lo stesso dato letterale. Tuttavia, tale causa di esclusione di responsabilità non appare configurabile, ovviamente, per i dispositivi medici.

Conformità del prodotto a norma imperativa

L'art. 118 lett. d) Cod. cons. esclude la responsabilità del produttore in tutte quelle ipotesi in cui, il difetto del prodotto sia una diretta conseguenza della conformità dello stesso a norme imperative o provvedimenti vincolanti. Questa previsione assume una notevole importanza nella produzione di dispositivi medici, in considerazione del proliferare di norme e provvedimenti, nel campo della definizione delle caratteristiche tecniche richieste, allo scopo di tutelare la sicurezza e la salute dei consumatori. Questa norma è importante anche in sede comunitaria, perché le normative tecniche, che fissano dei veri e propri standard di sicurezza dei dispositivi, devono essere armonizzate per la sicurezza dei consumatori. Nell'ambito di queste normative tecniche, si distinguono le regole tecniche e quelle norme (o standards) che sono emanate da organismi abilitati ad emanare atti di normalizzazione la cui osservanza non sia obbligatoria. Talvolta queste norme possono assumere valore obbligatorio, quando siano richiamate da norme giuridiche; in questo caso è necessaria la conformità ad esse del dispositivo. In ogni caso, l'art. 118 lett. d) Cod. cons. esclude la responsabilità per conformità ad una norma imperativa, ma non nel caso in cui vengano rispettate solo quelle norme che stabiliscano dei requisiti minimi di sicurezza, lasciando al produttore la scelta delle modalità di concezione e fabbricazione del prodotto. Lo stesso carattere tassativo devono avere i provvedimenti amministrativi equiparati alle norme vincolanti, mentre valore non vincolante come quello delle normative tecniche hanno le autorizzazioni e le omologazioni riconosciute dalle autorità pubbliche, le quali infatti non sono da includere nell'ambito dell'articolo 118. Non integra un'eccezione fondata sull'art. 118 il richiamo a standards elaborati convenzionalmente tra privati e le condizioni di fornitura fissate dalla pubblica amministrazione.

Il rischio da sviluppo tecnico

L'art. 118 lett. e) Cod. cons. esclude la responsabilità del produttore quando lo stato delle conoscenze tecniche, al momento in cui ha messo il prodotto in circolazione, non permetteva di considerare il prodotto come difettoso. Questa causa di esclusione della responsabilità è sicuramente quella di maggior impatto per i dispositivi medici proprio in virtù delle scoperte scientifiche che si susseguono nel tempo e per l'elevato livello di tecnicità richiesto nella loro fabbricazione. Per rischio da sviluppo tecnico si intende dunque quel fenomeno per il quale, successivamente alla commercializzazione di un prodotto, si assiste ad un incremento dei livelli di sicurezza conseguibili grazie a nuove scoperte scientifiche o sviluppi della ricerca. La disciplina speciale sul danno da prodotto difettoso non impone al produttore di adeguare le caratteristiche del dispositivo al suddetto intervenuto incremento di sicurezza, laddove dispone che questi non deve risarcire il danno causato da un difetto che lo stato delle conoscenze tecniche e scientifiche, al momento in cui ha messo in circolazione il dispositivo, non permetteva di scoprire. Il legislatore ha inteso in tal modo distinguere la responsabilità del produttore ai sensi del Codice del consumo da regimi di responsabilità per rischio d'impresa, basati esclusivamente sul nesso di causalità tra prodotto e danno: la valutazione circa il carattere difettoso del dispositivo, ai fini della valutazione dell'esimente del rischio da sviluppo, deve infatti svolgersi secondo una prospettiva ex ante, in base alla quale si richiede al produttore solamente di avere riguardo allo sviluppo tecnico-scientifico in essere al tempo della commercializzazione, ma non anche ai successivi incrementi delle conoscenze e capacità tecniche. Tale previsione si fonda su una ratio elaborata proprio nell'ambito dei dispositivi medici: la libertà concessa dalla direttiva 374/1985 CEE agli Stati membri di scegliere se inserire o meno siffatta esimente nel corpo della relativa disciplina di attuazione è stata dettata invero dal timore che far ricadere sul produttore il rischio da sviluppo potesse scoraggiare, da un lato, la ricerca sui rischi di danno e, dall'altro, l'introduzione sul mercato di dispositivi utili per la cura di malattie, ma implicanti un certo grado di pericolo di effetti collaterali. Le sperimentazioni e i controlli, infatti, non assolvono alla funzione di prevenire ogni rischio, ma soltanto di ricercare un ragionevole equilibrio tra vantaggi e svantaggi relativi all'utilizzo del dispositivo. Tuttavia la dottrina, non solo nazionale, ha espresso una serie di critiche circa la presenza di tale causa di esclusione della responsabilità del produttore, da un lato relative all'interpretazione di questa esimente, dall'altro relative al fatto che l'esimente in questione può tradursi in un disincentivo per i produttori ad adoperarsi al fine di innalzare il grado di sicurezza del prodotto in quanto rassicurati dal safe harbour loro garantito. Da qui l'interrogativo seguente: il rischio da sviluppo comprende soltanto i casi di assoluta ignoranza circa la possibilità di verificazione di un danno o anche le ipotesi di una mera incertezza? La letteratura sul danno da prodotto distingue il rischio ignoto da quello previsto e calcolato, ma non evitabile ex ante (in ragione di un deficit delle conoscenze rilevanti o per via dei costi eccessivamente elevati delle misure di prevenzione disponibili al tempo della immissione del prodotto in commercio, etc.) e rinviene esempi di tale seconda ipotesi soprattutto nel campo dei dispositivi medici. Come già osservato, in tali prodotti è insito un certo grado di pericolo di effetti pregiudizievoli per la salute dei consumatori e, pertanto, il rischio che un dispositivo medico si diffonda tra il pubblico degli utenti potrà ritenersi ragionevole alla luce di una valutazione costi-benefici, condotta al tempo della sua commercializzazione; valutazione effettuata sulla base, da un lato, dell'utilità del dispositivo per la platea di consumatori e, dall'altro, della probabilità stimata di effetti collaterali e la loro gravità. La letteratura maggioritaria in materia ritiene preferibile l'adozione di una prospettiva ex post, la quale cioè, nell'accertamento del carattere ragionevole del rischio, prenda in considerazione la variazione nel tempo dei fattori oggetto del calcolo costi-benefici compiuto dal produttore nell'assumere la decisione relativa alla commercializzazione del dispositivo. In un'ottica di strict liability, infatti, è bene che il costo dell'incidente gravi sul produttore ogni qual volta il trade-off tra benefici e svantaggi riveli uno squilibrio dei secondi sui primi.

Eccezioni del produttore di parti componenti e del subfornitore

L'art. 118 lett. f) Cod. cons. esclude la responsabilità del produttore e del fornitore di una parte componente o della materia prima, se il difetto è interamente dovuto alla concezione del prodotto in cui sia stata incorporata la parte componente o la materia prima; oppure alla conformità di questa alle istruzioni date dal produttore che l'abbia utilizzata. La norma appare alquanto lacunosa poiché si concentra solo su quella forma di divisione del lavoro tra imprese, altrimenti nota come integrazione verticale, ma non su quella detta di integrazione orizzontale; inoltre non risolve i problemi che si pongono nella sua applicazione pratica. In questa situazione, uno dei problemi fondamentali da risolvere riguarda l'estensione della norma; se debba, cioè, interpretarsi in senso stretto, oppure se sia suscettibile di interpretazione estensiva e di applicazione analogica (quindi se sottintenda un principio generale). Si preferisce accogliere la seconda soluzione; infatti è evidente come la norma in esame sia espressione di un principio generale quando si constati che il soggetto partecipa ad un sistema di produzione integrata, in quanto non sia colui che detenga il governo del processo produttivo stesso (produttore finale). Il produttore parziale non può avere l'obbligo di rispondere dei difetti che si producano a causa dello specifico compito che gli venga assegnato nel ciclo produttivo dal produttore finale. Il principio è coerente con la ratio della disciplina della responsabilità del produttore, perché l'adozione di soluzioni diverse potrebbe accollare ingiustamente una responsabilità a dei soggetti che non sono nella posizione più idonea per gestire il rischio di difetti del prodotto finale. Inoltre esso non potrebbe considerarsi come una situazione di favore per il consumatore, perché questo non potrebbe chiedere una piena soddisfazione del danno subito a soggetti estranei rispetto ai criteri di imputazione della stessa responsabilità. In ogni caso, per una corretta interpretazione della norma, occorre distinguere tra due ipotesi: la produzione di fase diretta al mercato e la subfornitura. Nel primo caso, quando cioè il prodotto parziale sia autonomamente concepito come prodotto di serie ed avviato ai potenziali compratori tramite un canale distributivo, il trattamento riservato al produttore di fase è equivalente a quello del produttore finale, perciò gli sarà accollato l'onere di provare che il proprio prodotto non sia difettoso di per sé e che quindi non possa essere causa del danno provocato dal prodotto finale, al momento della sua messa in circolazione. Problemi interpretativi più complicati si pongono riguardo alla subfornitura. Il subfornitore si obbliga a fornire al committente dei beni, o dei servizi di cui questi abbia bisogno per l'esercizio della sua attività economica, sulla base di specifiche tecniche dal committente stesso stabilite, o tutt'al più concordate. Quando il contratto di subfornitura contiene indicazioni precise sulle specifiche tecniche da seguire, è facile verificare se il difetto dipenda dalle istruzioni date al committente. I problemi sono più evidenti quando si passa a considerare le forme più moderne di subfornitura: infatti si assiste, in queste, ad un sempre maggiore coinvolgimento del subfornitore, fino a giungere a vere e proprie forme di cooperazione. Infatti, con la possibilità di fornire prestazioni consulenziali qualificate, proporre modifiche ai progetti iniziali del committente, etc., oggi il subfornitore non può più trincerarsi dietro l'eccezione della mancata conoscenza delle specifiche condizioni d'impiego del prodotto. In ogni caso, cooperazione non vuol significare l'accettazione di una corresponsabilità nella concezione del prodotto finale: la responsabilità finale nei confronti degli utenti ricadrà sempre sul committente, salve eventuali azioni di regresso.

La responsabilità del produttore di dispositivi medici oltreconfine

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Quello della responsabilità del produttore di dispositivi medici è un tema di particolare importanza non solo nel nostro ordinamento, ma in tutti quei sistemi giuridici in cui il progresso tecnico-scientifico ha comportato l'immissione sul mercato di dispositivi la cui complessità ed importanza hanno indotto alla specifica regolamentazione della materia. La necessità di regolamentare la materia è infatti un bisogno generalizzato nella maggior parte degli Stati sia per regolamentare l'attività di produzione e delineare requisiti di sicurezza dei prodotti e obblighi e comportamenti caratteristici dei produttori, sia per stabilire quelli che sono i confini e le prospettive del consumatore danneggiato dall'utilizzo di un dispositivo medico. Se a livello europeo, in virtù dell'armonizzazione effettuata con i diversi interventi normativi, si può notare una certa vicinanza, seppur con le relative sfaccettature e peculiarità (come, ad esempio, il modello tedesco di cui alla seguente disamina) tra i modelli adottati e fatti propri dai diversi Stati membri, lo stesso non può dirsi per ordinamenti, come quello americano, in cui la responsabilità del produttore, e più in particolare quella del produttore di dispositivi medici, è ancorata a schemi diversi e subordinata ad una logica diversa. Si procede quindi all'analisi della disciplina di altri ordinamenti al fine di constatare gli elementi di affinità e di discordanza rispetto all'esperienza legale e operativa italiana.

Il modello tedesco

Tra i modelli di responsabilità del produttore di dispositivi medici, una posizione interessante è assunta dall'ordinamento tedesco. Il 1° Gennaio 1978 nella Repubblica Federale Tedesca entrava infatti in vigore la legge del 24 agosto 1976 sulla produzione e sul commercio dei medicinali, la c.d. Gesetz zur Neuordnungdes Arzneimittelrechts (nel prosieguo: AMG); il capo XVI di tale legge disciplinava la responsabilità per il danno da prodotti e dispositivi medici introducendo particolari novità. Tra queste novità merita di essere segnalata l'introduzione di una responsabilità oggettiva a carico del produttore, collegata peraltro ad un limite massimo nei risarcimenti dovuti dallo stesso, sia per il singolo danneggiato sia globalmente, e l'introduzione dell'assicurazione obbligatoria per i corrispondenti massimali di responsabilità. Altra novità importante era quella relativa alla natura integrativa della responsabilità sancita dall'AMG, nel senso che tale legge intendeva solo dare al danneggiato una protezione più efficace, ma non si sostituiva alla generale tutela data da altre norme di legge (si pensi a quelle sull'illecito civile e sulla responsabilità contrattuale) alle quali il danneggiato poteva sempre ricorrere qualora ne avesse tratto vantaggi. Tale linea del "doppio binario" veniva contemporaneamente adottata a livello europeo nel progetto di direttiva CEE sulla responsabilità del fabbricante di prodotti difettosi e poi adottata dalla direttiva 85/374.

La novella del 2002

Nel 2002, anche a seguito di vicende di grande risonanza mediatica, l'AMG è stata novellata allo scopo di rafforzare la tutela del consumatore/utilizzatore del dispositivo medico. La riforma legislativa concerneva quattro punti, ossia i più cruciali della materia: il nesso di causalità, la prova del difetto, il diritto d'informazione del consumatore e il risarcimento del danno morale. Durante i lavori preparatori della novella fu valutata l'opportunità di chiarire, mediante un intervento legislativo, l'ambito dei soggetti tutelati dalla speciale responsabilità per danno da dispositivi difettosi, nel senso di includere espressamente in tali soggetti anche i danneggiati indiretti, ossia quei soggetti che, pur non facendo direttamente uso del dispositivo, possono averne subito gli effetti nocivi. Tuttavia, come si può leggere nella Relazione Ministeriale al progetto della novella, un intervento legislativo al riguardo è stato ritenuto superfluo poiché una eventuale limitazione soggettiva era già estranea al sistema: né la disciplina della responsabilità da illecito, né le norme della legge sulla responsabilità del prodotto limitavano e limitano la tutela ai soli consumatori ed utenti del prodotto difettoso.

Il nesso di causalità

Sicuramente, la novità più importante introdotta dalla novella dell'AMG del 2002 è quella concernente il rapporto di causalità tra uso del prodotto e danno. La prova in giudizio di tale rapporto causale, a carico del consumatore poiché alla base della sua pretesa risarcitoria, risultava infatti assai difficoltosa poiché il danno alla salute poteva essere causato anche da altri fattori diversi dall'utilizzo del dispositivo medico. Per "alleggerire" l'onere probatorio, la novella del 2002 ha introdotto una presunzione che opera quando il prodotto utilizzato (e naturalmente la prova dell'uso incombe rigorosamente al consumatore) appare idoneo, secondo le circostanze del caso concreto, a causare il danno denunciato: in questo caso si presume che il prodotto abbia cagionato il danno e il consumatore è esonerato dalla prova scientifica della causalità; la valutazione, ovviamente, deve avvenire in concreto e non in via astratta. La "idoneità" del prodotto a causare il danno deve essere valutata alla luce di alcuni elementi specificati dalle nuove disposizioni la cui prova è a carico del consumatore, ossia: la strutturazione del dispositivo, il modo e la durata del suo corretto utilizzo, la coincidenza temporale tra utilizzo e danno, il quadro dannoso in generale, lo stato di salute del danneggiato e tutte le altre circostanze che depongono a favore o contro l'aver causato il danno. Trattasi naturalmente di una presunzione relativa poiché il produttore può constatare la mancanza del rapporto causale provando che vi è un'altra circostanza, diversa dall'utilizzo del dispositivo da parte del consumatore, atta ad aver causato il danno secondo le peculiarità del caso concreto. Le nuove disposizioni, inoltre, precisano a tale ultimo proposito che, l'utilizzo di altri dispositivi che sono idonei, secondo le circostanze del caso concreto, a causare il danno, non può essere addotto dal produttore per contrastare la presunzione di causalità. Si vuole così evitare che i vari produttori possano sottrarsi alla presunzione attraverso l'espediente di "palleggiarsi" a vicenda la possibile responsabilità senza fornire, dunque, una prova positiva della propria estraneità al danno. Nel caso in cui il danno sia infatti imputabile a produttori di più dispositivi, la responsabilità di uno non vale ad escludere quella degli altri ma, anzi, comporta la solidarietà degli stessi rispetto all'obbligazione risarcitoria nei confronti del consumatore danneggiato.

La prova del difetto

Il testo originario dell'AMG poneva a carico del consumatore la prova che gli effetti dannosi del prodotto avessero origine nello sviluppo o nella fabbricazione dello stesso, cioè nell'ambito dell'attività del produttore. Si trattava dunque di circostanze che facevano parte degli elementi costitutivi della pretesa del danneggiato al risarcimento. Tale previsione è stata modificata dalla novella del 2002 ed è stata aggiunta una nuova disposizione che pone a carico del produttore la prova che gli effetti dannosi del dispositivo non hanno la loro origine nello sviluppo o nella fabbricazione dello stesso. Si tratta perciò ora di un'eccezione a disposizione del produttore con la quale costui fa valere un fatto impeditivo della pretesa del danneggiato. Si crea così un'inversione nell'onere della prova dell'ambito in cui il difetto ha avuto origine. È evidente a tal proposito l'analogia con quanto dispone l'art. 7, lett. b), della direttiva CEE sul danno da prodotto; trattasi d'altronde del criterio, già visto nel diritto applicato italiano, della vicinanza all'oggetto della prova, che vede il produttore nella posizione più idonea, rispetto al consumatore, a dimostrare il c.d. Fehlerbereich, ossia l'ambito in cui è sorto il difetto.

Il diritto di informazione del consumatore

Altro tratto saliente della novella dell'AMG del 2002 è quello relativo all'introduzione di un diritto all'informazione (Auskunftsanspruch) al consumatore che si ritenga danneggiato dall'utilizzo del prodotto. Lo scopo di tale novità è duplice: da un lato, permettere al consumatore di raccogliere ex ante elementi che siano utili a valutare se sia fondata l'ipotesi di essere stato danneggiato da un dispositivo difettoso e quindi di valutare l'opportunità o meno di ricorrere all'autorità giudiziaria; dall'altro lato, agevolare il consumatore, una volta instaurato il giudizio, nella prova della difettosità del prodotto. Sotto quest'ultimo aspetto è evidente la stretta connessione intercorrente tra il diritto all'informazione al consumatore e la suddetta presunzione di causalità introdotta dalla novella, poiché per poter far sì che scatti la presunzione di causalità il consumatore deve dare la prova di alcuni specifici elementi e, tale prova viene resa possibile, o comunque agevolata, dalle informazioni che egli ha diritto ad acquisire. Le informazioni che il consumatore ha diritto ad acquisire riguardano tutte le caratteristiche del dispositivo dalla fase dello sviluppo a quella della fabbricazione e devono ovviamente essere rese dal produttore. Il diritto all'informazione del consumatore si basa su due presupposti: uno positivo e l'altro negativo, per evitare che questo si trasformi in un abuso a danno del produttore. Il presupposto positivo è che vi siano indizi i quali portino a ritenere fondata l'ipotesi che il danno sia stato causato da un dispositivo medico difettoso; non basta, dunque, il semplice sospetto, ma neppure è richiesta la piena prova: sarà il giudice a dover valutare, caso per caso, la portanza degli indizi forniti dal consumatore che pretende l'informazione. Il presupposto negativo, la cui valutazione è sempre rimessa al giudice, è che l'informazione non sia necessaria per accertare se sussista un diritto al risarcimento a favore del danneggiato: il che si spiega facilmente con l'assenza, in questo caso, della necessità di assicurare nel processo una posizione di parità e di equilibrio tra consumatore e produttore. Circa il contenuto dell'informazione, questa ha ad oggetto tutto quanto è a conoscenza del produttore e può essere fondamentale per valutare gli effetti dannosi del prodotto. Il diritto all'informazione del consumatore viene meno solo di fronte a norme di legge che impongano la riservatezza dei dati o quando la riservatezza sia imposta da un prioritario interesse del produttore o di un terzo. L'interesse del produttore non può certamente essere quello di evitare il discredito agli occhi della platea dei consumatori, ma semmai quello di mantenere la segretezza su alcuni processi aziendali di fabbricazione o controllo, se tale interesse, in un balancing test con quello del consumatore danneggiato che richiede l'informazione, appaia prioritario. Se ai fini del rapporto causale vengono in considerazione i prodotti di fabbricanti diversi, il consumatore per acquisire l'informazione può rivolgersi a ciascuno di essi, fermo restando che in relazione a ciascuno degli stessi, egli dovrà fornire gli indizi che giustificano la richiesta.

Il risarcimento del danno morale

Altro ed ultimo aspetto riformato dalla novella tedesca del 2002 è quello relativo al risarcimento del danno all'integrità fisica o alla salute. Il testo originario dell'AMG non prevedeva alcun risarcimento del danno morale sofferto dal consumatore danneggiato, in linea con il tradizionale orientamento che non contemplava il risarcimento di un tale danno nei casi di responsabilità oggettiva. La natura difettosa del dispositivo medico, dunque, non comportava di per sé anche il risarcimento del danno morale; tuttavia, il consumatore danneggiato, in base alla norma di rinvio contenuta nell'AMG, poteva fare ricorso ad altre disposizioni di legge idonee ad attribuirgli una tutela più ampia. Con la novella, invece, il danneggiato può pretendere un ristoro economico per il danno che abbia natura non patrimoniale. Questa novità si inquadra in una più generale riforma legislativa, sempre del 2002, con la quale è stato modificato il BGB introducendo il risarcimento equitativo nel caso di danno non patrimoniale derivante dalla lesione dell'integrità fisica, salute, libertà e autodeterminazione sessuale, se la lesione è stata arrecata con dolo o se il danno non è irrilevante per natura e durata. Sotto il profilo del danno non patrimoniale, la novella dell'AMG del 2002 si rivela più favorevole al consumatore rispetto all'art. 9 della direttiva CEE sul danno da prodotto poiché, nella normativa comunitaria, il danno morale non è automaticamente risarcito al consumatore danneggiato da un prodotto difettoso, ma occorre che la legge nazionale applicabile nella fattispecie preveda il risarcimento di tale tipo di danno.

Il modello statunitense

Per approfondire il tema della responsabilità del produttore di dispositivi medici non si può prescindere dall'esame dell'esperienza statunitense. Nella dottrina si rinvengono, infatti, frequenti richiami a tale ordinamento ed anche la giurisprudenza sta affrontando attualmente delle tematiche che ricordano molto da vicino quelle oggetto delle sentenze statunitensi in materia, come ad esempio quella del duty to warn. L'esperienza comparatistica risulta utile in questo campo anche per ipotizzare quelle che potrebbero essere, nel futuro, eventuali evoluzioni di questa materia anche nel contesto europeo, soprattutto prendendo in considerazione le importanti riflessioni giurisprudenziali delle corti nord-americane. L'importanza dell'esperienza statunitense deriva, in primo luogo, dall'elevato grado di sviluppo raggiunto in questo Paese dalla ricerca e dall'industria di dispositivi medici, tanto che molti di questi sono importati anche nel nostro mercato. A ciò si deve aggiungere che l'esperienza di diritto applicato è sterminata e ricca di spunti interessanti. La ragione di tale intensa produzione giurisprudenziale si può ricercare nella severità con cui, specie in passato, si è affrontata la tematica della responsabilità del produttore, affermando in capo ad esso la sussistenza di responsabilità oggettiva, se non addirittura assoluta, senza possibilità di liberarsi dalla stessa tramite lo state of the art defence. Ciò ha comportato una vera e propria crisi della responsabilità civile anche perché gli assicuratori, di fronte all'aumento di condanne al risarcimento dei danni, si sono rifiutati di coprire i rischi derivanti da nuovi prodotti o hanno preteso il pagamento di premi altissimi. Questa linea di tendenza è stata, conseguentemente, oggetto di revisione soprattutto grazie all'intervento del Third Restatement che, pur mantenendo in generale la regola della strict liability, prevede importanti correttivi e limitazioni in tema di difetti di progettazione e rischi di sviluppo. L'ordinamento giuridico americano assume notevole importanza sotto il profilo delle iniziative giuridiche predisposte ed in via di programmazione nell'ambito della regolamentazione delle nuove applicazioni scientifico-tecnologiche. È noto, infatti, che lo stato di avanguardia nella ricerca ha portato spesso gli Stati americani ad esplorare problematiche giuridiche, politiche ed etiche in anticipo rispetto agli altri Paesi.

Il Third Restatement

L'emanazione del terzo Restatement in tema di products liability segna l'inizio di un periodo caratterizzato dalla grande esplosione della responsabilità civile del produttore. Il Restatement, sede dottrinale per eccellenza, viene quindi investito del delicato compito di offrire la descrizione della products liability nella chiara consapevolezza dell'influenza che tale fonte ha sulla concreta applicazione del diritto: al suo interno, è stata mantenuta la regola di strict liability, ma con importanti correttivi e limitazioni, in tema di difetti di progettazione e di c.d. rischi da sviluppo (development risks). Il terzo Restatement in materia di responsabilità civile dedicato espressamente al tema della responsabilità del produttore è stato pubblicato nel 1998; come è noto, i Restatements non hanno un'efficacia vincolante sulle istituzioni legali, ma i legislatori dei singoli Stati, la giurisprudenza delle Corti e gli autori in dottrina si rivolgono frequentemente ai Restatements ed ai loro principi quali linee-guida nella ricerca della soluzione più appropriata a determinate questioni giuridiche. Il Restatement in tema di responsabilità del produttore è composto da ventuno articoli, strutturati per argomenti (topics) in quattro capitoli. Si procede di seguito all'analisi degli articoli più rilevanti al fine di delineare le caratteristiche principali dell'assetto così strutturato.

Art. 1: responsabilità del venditore commerciale o distributore per danni causati da prodotti difettosi

"Chiunque svolga un'attività commerciale di vendita o di distribuzione di prodotti è responsabile per i danni a persone o a cose causate dal difetto". L'art. 1 stabilisce la regola generale secondo la quale i venditori di prodotti difettosi sono responsabili per il danno alle persone e cose causato da un difetto del prodotto immesso sul mercato. Diversamente da quanto previsto dalla regola sulla responsabilità contenuta nel secondo Restatement in materia di responsabilità extracontrattuale (cfr. 402 A), ai sensi della quale la responsabilità gravante sul produttore o distributore era qualificata esplicitamente come oggettiva (strict), la norma generale fissata nel terzo Restatement viene affermata in termini funzionali, piuttosto che in termini dottrinali, senza cioè caratterizzare la natura della responsabilità all'interno delle regole stesse. Tuttavia, nei commenti al primo e al secondo paragrafo, i relatori hanno indicato che la responsabilità per i difetti di fabbricazione è chiaramente oggettiva, mentre la responsabilità per i difetti di progettazione e per quelli relativi alle avvertenze sui prodotti (warnings) è informata al principio di colpa.

Art. 2: categorie di difetto del prodotto

"Un prodotto è difettoso quando, al momento della vendita o della sua distribuzione, presenta un difetto di fabbricazione, quando presenti un difetto nella progettazione o quando risulti difettoso a causa di istruzioni o di avvertenze inadeguate. Un prodotto presenta un difetto di fabbricazione quando esso non è conforme alla sua progettazione originaria, nonostante nella preparazione e nella commercializzazione del prodotto sia stata usata la migliore diligenza. Un prodotto è difettoso nella progettazione nel caso in cui i rischi prevedibili di un danno derivante dal prodotto avrebbero potuto essere ridotti o eliminati completamente attraverso l'adozione di un design alternativo da parte del venditore o di un altro distributore, o da parte di un soggetto che abbia, in un momento anteriore, rivestito la posizione di distributore nella catena distributiva del prodotto, e la mancata adozione del design alternativo ha reso il prodotto non ragionevolmente sicuro. Il prodotto è difettoso a causa di istruzioni o avvertenze inadeguate nel caso in cui i rischi prevedibili del verificarsi di un danno creati dal prodotto avrebbero potuto essere ridotti o eliminati tramite l'apposizione di ragionevoli istruzioni o avvertenze da parte del venditore o da parte di un altro distributore, o da un soggetto che ha assunto in precedenza analoga posizione nella catena distributiva del prodotto, e l'omissione di tali istruzioni e/o avvisi informativi ha reso il prodotto non ragionevolmente sicuro". Il secondo è indubbiamente il più importante degli articoli del Restatement, soprattutto se rapportato alla nostra disciplina sulla responsabilità del produttore di dispositivi medici difettosi: esso comprende, infatti, centinaia di pagine di commenti, illustrazioni e note dei relatori. Il nocciolo della responsabilità del produttore viene esaminato nelle tre diverse ipotesi ove vengono affrontati distintamente i concetti di difetto di fabbricazione, difetto di progettazione (design) e carenza delle istruzioni e delle avvertenze. Nell'ordine, un prodotto presenta un difetto di fabbricazione quando si discosta in maniera pericolosa dalla sua progettazione così come originariamente intesa: tale determinazione è basata su un semplice confronto tra la progettazione originariamente concepita (dato facilmente dimostrabile attraverso specificazioni o attraverso un confronto con altri prodotti dello stesso produttore e dello stesso modello presenti sul mercato) e quel determinato prodotto coinvolto nella dinamica del danno occorso. Se l'attore riesce a dimostrare che il danno sofferto è stato causato da una qualche differenza sul "come" il prodotto è stato fabbricato partendo dalla progettazione originariamente concepita dal produttore, potrà ottenere il risarcimento dei danni causati dal difetto. In questo caso si è in presenza di una regola di responsabilità sicuramente oggettiva, visto che non è necessario dimostrare che l'errore del produttore sia stato il risultato di una negligenza, imperizia o comunque altri tipi di colpa. Un prodotto presenta invece un difetto di progettazione se esisteva un modo ragionevole di progettarlo con maggiore sicurezza. La determinazione della soglia di ragionevolezza della progettazione prescelta posta a confronto con l'esistenza di una progettazione alternativa richiede l'applicazione di un'analisi costi benefici, attraverso la comparazione dei costi per migliorare il grado di sicurezza del prodotto con i benefici in termini di miglior sicurezza del prodotto. Poiché l'art. 2 prevede che questa analisi costi-benefici riguardi i soli rischi prevedibili e implichi una forma di bilanciamento sulla quale tradizionalmente si basa il principio della colpa, molti autori hanno sostenuto come la definizione di difetto di progettazione riconduce la base della forma di responsabilità all'interno dei principi generali della colpa: tesi confermata tra l'altro da molte corti nord-americane nell'applicazione delle regole sulla responsabilità del produttore. L'art. 2 prevede infine la responsabilità derivante da istruzioni o avvertenze inadeguate nello stesso modo con il quale era stata definita la nozione di difetto di progettazione. In altri termini, l'obbligazione a carico del produttore in questo contesto è solo quella di fornire informazioni ragionevoli sui rischi prevedibili: ciò significa che i principi di responsabilità basati sulla colpa sono stati sostanzialmente qui reintrodotti, almeno con riferimento ai produttori. In particolare, istruzioni ed avvertenze possono essere apposte in relazione a rischi occulti, ma non certamente per i pericoli ovvi e, in generale, il dovere di avvisare o di porre istruzioni sussiste solo quando esiste un modo ragionevole mediante il quale l'istruzione o l'avvertenza può essere apposta.

Art. 3: prova comprovante la presunzione di difettosità del prodotto

"Si può presumere che il pregiudizio reclamato dall'attore sia stato causato da un difetto che il prodotto presentava al momento della vendita o della distribuzione, senza che sia necessario fornire la prova dell'esistenza di un difetto specifico, nelle ipotesi in cui l'incidente che ha causato un pregiudizio all'attore: a) era di un tipo che generalmente si verifica come risultato di un difetto del prodotto; b) non si trattava, nel caso di specie, esclusivamente del risultato di cause diverse dal difetto del prodotto esistente al momento della vendita o della distribuzione". L'art. 3 fissa la responsabilità in base ai principi di colpa in quei casi in cui la prova di come un incidente si è verificato si è persa o è andata distrutta, sicché è impossibile provare il difetto del prodotto. Ciò vale anche ove, a causa della natura dell'incidente causato dal dispositivo in questione, risulti impossibile la prova diretta della sussistenza del difetto da un esame dello stesso. Questo principio, spesso indicato come "la dottrina del cattivo funzionamento" (malfunction doctrine), è stato utilizzato dalle Corti americane nei casi in cui era discussa la responsabilità oggettiva da prodotto difettoso che si rifà all'approccio comunemente definito di "res ipsa loquitur", proprio del principio della colpa.

Art. 4: non conformità o conformità alle normative in tema di sicurezza del prodotto

"In relazione alla responsabilità per una progettazione difettosa o per non adeguate istruzioni o avvisi informativi: a) la non conformità del prodotto a una disposizione legislativa oppure a previsioni di tipo amministrativo che fissino standards di sicurezza nel prodotto rende il prodotto difettoso in relazione ai rischi che si era cercato di ridurre tramite la normativa legislativa o regolamentare; b) la conformità del prodotto a standards di sicurezza fissati a livello legislativo o regolamentari viene opportunamente considerata nel determinare se un prodotto sia o meno difettoso in relazione ai rischi che dovrebbero essere ridotti dall'intervento legislativo o da quello regolamentare, ma tale conformità non preclude in termini di questione di diritto la possibilità di individuare l'esistenza di un difetto del prodotto". L'art. 4 pone dunque a carico del produttore la responsabilità se la progettazione del prodotto, le avvertenze o le istruzioni sullo stesso apposte, violino una previsione legislativa o regolamentare che introduca standards di sicurezza e, in seguito a tale violazione, una persona subisca un danno quale conseguenza del rischio che la regola voleva ridurre. La previsione costituisce un'applicazione pratica della dottrina della neglicence per se, da sempre applicata da molte Corti americane. L'art. 4 disciplina anche la situazione specularmente opposta, cioè quella avente ad oggetto la possibilità per un produttore di poter sollevare con successo l'eccezione della piena conformità del prodotto alle previsioni legislative o regolamentari. Seguendo i criteri adottati da tutte le Corti americane che hanno deciso casi di responsabilità del produttore, il nuovo Restatement prevede che la conformità alle previsioni costituisca solo un elemento di prova circa l'assenza di difetti nel prodotto, dato che in molti casi è comunque possibile determinare la sussistenza di un difetto. La ragione del limitato ruolo svolto dalla conformità del prodotto agli standard di sicurezza risiede nel fatto che tali previsioni prescrivono generalmente solo il livello minimo assoluto di sicurezza accettabile, al di sotto del quale la condotta del produttore potrebbe essere penalmente rilevante. In tal modo, poiché tali previsioni generalmente non intendono definire il livello ottimale di sicurezza, preso invece in considerazione dalle regole dettate in materia di responsabilità, le quali si basano su criteri di imputazione soggettiva o oggettiva, spesso la progettazione del prodotto, così come le relative istruzioni di uso dello stesso, possono soddisfare il livello minimo richiesto dalla regole di sicurezza di natura penalistica, anche se presentano un margine di pericolo considerevolmente superiore se valutato secondo i criteri della ragionevolezza e della effettività dei costi inerenti alla legislazione in materia di responsabilità del produttore. Quest'ultima resta infatti una disciplina di common law, sviluppata e applicata dalle Corti in base ai principi di indipendenza da un sistema legislativo o regolamentare.

Art. 6: responsabilità venditore o distributore per danni causati da medicinali difettosi

"a) Il produttore di medicinali da vendersi solo su prescrizione medica o di attrezzature mediche, che vende o altrimenti distribuisce un prodotto farmaceutico un'attrezzatura medica difettosa, è responsabile per i danni arrecati alle persone da tali difetti. Per prodotti farmaceutici da vendersi su prescrizione medica e per attrezzature mediche sono da intendersi quei prodotti che possono essere legalmente venduti o distribuiti solo su prescrizione di soggetti abilitati a prescrivere cure mediche. b) Ai fini della determinazione delle responsabilità di cui al precedente comma a), un prodotto farmaceutico da vendersi solo su prescrizione medica o un'attrezzatura medica sono considerati difettosi se al momento della vendita o della distribuzione: i) presentano un difetto di produzione così come definito nell'art. 2 (a); o ii) non sono ragionevolmente sicuri a causa di un difetto di produzione così come definito nel comma c); iii) non sono ragionevolmente sicuri a causa di avvertenze o istruzioni inadeguate, così come definiti nel comma d). c) Un prodotto farmaceutico da vendersi solo su prescrizione medica o un'attrezzatura medica non sono ragionevolmente sicuri per la presenza di un difetto di progettazione se il rischio prevedibile di causazione del danno sia sufficientemente probabile in relazione ai prevedibili effetti terapeutici benefici, nella misura in cui un soggetto abilitato a prescrivere cure mediche, conoscendo tali possibili rischi ed effetti terapeutici benefici, non prescriverebbe il prodotto farmaceutico o l'attrezzatura medica per nessuna categoria di pazienti. d) Un prodotto farmaceutico da vendersi solo su prescrizione medica o un'attrezzatura medica non sono ragionevolmente sicuri a causa di un istruzioni o avvertenze inadeguate nel caso in cui le istruzioni o avvertenze relative a rischi prevedibili non sono dirette: i) ai soggetti (che prescrivono ad altri soggetti) abilitati a prescrivere cure mediche che siano in grado di ridurre il rischio di danni in conformità alle istruzioni o avvertenze; o ii) al paziente quando il produttore è a conoscenza o ha ragione di credere che il soggetto che prescrive cure mediche non è in grado di ridurre il rischio in conformità alle istruzioni o avvertenze. e) Il venditore al dettaglio o altro distributore di prodotti farmaceutici o di attrezzature mediche da vendersi solo su prescrizione medica sarà responsabile per i danni causati da tali prodotti o attrezzature qualora: i) al tempo della vendita o di un altro tipo di distribuzione, il prodotto farmaceutico o l'attrezzatura medica presenti un difetto di produzione, così come definito nell'art. 2 (a); o ii) al momento o prima della vendita o di un altro tipo di distribuzione del prodotto farmaceutico p dell'attrezzatura medica, il rivenditore (al dettaglio) non sia sufficientemente diligente e, a seguito di tale negligenza, cagioni un danno alle persone". L'art. 6 del Restatement è sicuramente quello più interessante ai fini della nostra analisi in quanto, l'ordinamento statunitense è uno dei pochi a prevedere, insieme ad una disciplina di carattere generale sulla responsabilità del produttore, una di dettaglio per quel che concerne il produttore di dispositivi medici. L'art. 6 del Restatement, pur essendo lungo e complesso, è facilmente sintetizzabile in un unico principio generale: i produttori di dispositivi medici sono responsabili a titolo oggettivo per difetti di produzione così come qualsiasi altro tipo di produttore. Tuttavia, poiché la sicurezza dei dispositivi medici è soggetta alla lente di ingrandimento dell'agenzia governativa Food and Drug Adminisistration, al cui vaglio sono sottoposti sia i progetti dei dispositivi, sia le relative avvertenze ed istruzioni, le Corti americane tendono ad accordare un trattamento diverso ai produttori di tali beni rispetto ai produttori dei beni cosiddetti "normali". Solo in taluni casi recenti le Corti americane hanno ritenuto i produttori di dispositivi medici acquistabili solo dietro prescrizione medica responsabili di difetti di progettazione, ed il nuovo Restatement rispecchia questa tendenza circoscrivendo nell'art. 6 (c), la responsabilità per difetti di progettazione ai soli casi in cui sia stato dimostrato che il dispositivo sia oltremodo pericoloso per tutte le categorie di pazienti. Il paragrafo (d) riformula la teoria ampiamente seguita dal cosiddetto "intermediario erudito", in base alla quale il dovere di informazione che grava sul produttore, generalmente si riferisce solo ai medici abilitati a prescrivere cure mediche e non anche direttamente ai pazienti. Infine, l'art. 6 (e) prevede che i rivenditori siano responsabili solo qualora abbiano venduto i prodotti in parola nonostante questi presentassero difetti di progettazione o fornissero delle avvertenze inadeguate.

Art. 15: regole nesso causale tra prodotto difettoso e causazione del danno

"I principi e le leggi che regolano il rapporto di causalità nella responsabilità extracontrattuale sono utilizzati per stabilire se il difetto presente nel prodotto abbia causato danni a persone o a cose". Questa sezione prevede in termini generali che il nesso di causalità tra il prodotto difettoso e i danni subiti dall'utilizzatore costituisce un importante elemento, necessario in ogni azione per responsabilità del produttore. L'American Law Institute non ha affrontato nel presente Restatement le problematiche specifiche relative al nesso di causalità poiché quest'ultimo è oggetto di specifica trattazione nel separato Third Restatement of Torts, nella sezione relativa agli "Apportionment" e ai "Principi Generali".

Responsabilità civile e robotica

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La rapida evoluzione della tecnologia robotica in ambito medico ha permesso la creazione di sistemi la cui operatività viene sempre più assimilata a quella umana. Gli attuali robot, infatti, anche se rimangono agenti non umani, dispongono di una notevole mobilità e soprattutto sono in grado di imparare e di adattarsi, interagendo in modo complesso con l'ambiente che li circonda. Nello stesso tempo, però, mancano della possibilità di elaborare in autonomia, senza l'intervento umano, un compito che non sia predeterminato dal loro software. Se una parte della dottrina ritiene che ogni nuovo fenomeno, specialmente legato allo sviluppo scientifico e tecnologico, debba essere disciplinato mediante nuove norme, la maggior parte degli autori sottolinea come, analogamente a ciò che è avvenuto per altri ambiti, l'evoluzione della tecnologia non richiede necessariamente l'introduzione di nuove disposizioni. Il sistema esistente presenta, infatti, una notevole elasticità e può essere esteso alla robotica. La questione della responsabilità civile dei robot dipende dall'inquadramento degli stessi in diverse categorie concettuali. I robot devono essere considerati delle cose? Oppure devono ricondursi alla categoria dei prodotti? La disciplina europea, l'unica allo stato applicabile (direttiva 374/85), qualifica i robot come prodotto e costruisce un sistema di responsabilità oggettiva nel quale non vi è spazio per i concetti di colpa o dolo nell'ipotesi di prodotto difettoso. La scelta legislativa semplifica l'attività del danneggiato attenuando la gravosità dell'onere della prova gravante in capo a quest'ultimo. Tuttavia, pur ricostruendo come responsabilità oggettiva il danno da robot, si deve rilevare la presenza di problemi in termini di individuazione e prova del nesso causale, se si considera che l'elemento essenziale per il funzionamento dei robot è l'algoritmo che non può in alcun modo definirsi un semplice prodotto. La prova del nesso causale diventa particolarmente difficile spostandosi su aspetti tecnici di particolare rilevanza e difficoltà e l'individuazione e la prova del nesso causale tra il danno lamentato e la condotta del robot diventano di fatto probatio diabolica per la complessità della ricostruzione sotto il profilo tecnologico. La domanda centrale da porsi, dunque, è se si possa applicare la normativa sulla responsabilità del produttore. Anche l'intelligenza artificiale, alla pari del proprio creatore - l'uomo -, può sbagliare; ma chi sarà il responsabile dell'errore? E, ancor peggio, qualora dovesse esserci un danno, chi lo risarcirà? La necessità di fornire una risposta a questi interrogativi è stata percepita anche dalla Commissione Europea che nella Risoluzione del 16 febbraio 2017, in cui ha avanzato la proposta di un codice etico-deontologico nel settore dell'intelligenza artificiale, ha precisato che la responsabilità civile per danno causato da algoritmo non deve subire né una limitazione del tipo e dell'entità del danno risarcibile, né delle "forme di risarcimento che possono essere offerte alla parte lesa per il semplice fatto che il danno sia provocato da un soggetto non umano".

La nozione di robot

Con "robot" si vuole indicare un sistema automatico in grado di sostituire l'uomo nella realizzazione di compiti e mansioni complesse, in interazione con l'ambiente. In realtà, questi dispositivi, anche se possono essere qualificati come macchine intelligenti, rimangono comunque degli agenti non umani in quanto mancano della possibilità di elaborare in autonomia (vale a dire senza l'intervento umano) un compito che non sia predeterminato dal loro software. All'interno del robot è possibile distinguere l'hardware dal software: il primo è costituito dalla struttura e dagli organi meccanici e, dunque, consiste nella struttura elettronica, la quale controlla i motori, i sensori, i trasduttori e l'interfaccia con il mondo esterno; il secondo, invece, gestisce le funzioni di memorizzazione, programmazione, esecuzione dei cicli operativi e costituisce, quindi, il sistema operativo del robot, in cui viene definito l'ambito delle sue azioni e reazioni rispetto alle informazioni ricevute mediante comando o attraverso il processamento di stimoli ambientali. Diversi autori hanno provato a fornire una classificazione delle tipologie di robot in circolazione ma, la vasta gamma di funzioni che questi sono in grado di svolgere, impedisce di effettuarne una precisa. L'unico punto di convergenza riguarda le caratteristiche distintive dei robot da un punto di vista tecnico e sono individuate nelle capacità di raccogliere dati attraverso sensori (sense), di processare i dati grezzi (think) e di pianificare e compiere azioni attraverso le conoscenze e le informazioni acquisite, di solito in funzione di obiettivi prefissati (act).

La robotica medica

L'idea di applicare le tecnologie robotiche nell'ambito medico prende corpo nella seconda metà degli anni 90 con lo scopo principale di sostituire l'intervento umano in situazioni di guerra o di calamità. Oggi un sistema robotico può ricoprire vari ruoli funzionali in sala operatoria, anzitutto può fornire un supporto esterno all'azione del medico e, in un certo senso, può essere comparato, seppur con le dovute attenzioni e con tutti i tratti di atipicità che questo presenta, ad un dispositivo medico, seppur assai particolare. Inoltre, la disponibilità di collegamenti a banda larga per la trasmissione di dati apre la possibilità di sviluppare dei "consulenti robotici" per l'intervento chirurgico: un medico esperto che non si trova sul luogo dell'intervento può infatti telecomandare un robot mobile posto all'interno della sala operatoria, allo scopo di agire in video conferenza con l'equipe medica presente in sala, di collegarsi alle apparecchiature e di osservare in diretta le immagini endoscopiche; ma un sistema robotico può anche prendere parte diretta all'intervento, ad esempio manovrando strumenti pesanti o poco maneggevoli per l'operatore umano. Oltre a questo, ci sono anche notevoli vantaggi per il medico: il robot, infatti, elimina completamente i tremori naturali della mano umana e può inoltre aumentare o ridurre automaticamente la sua velocità d'azione. Tutto ciò permette di incrementare il livello di precisione degli interventi e di allungare la "vita operativa" dei medici più esperti. Il processo di sviluppo dei robot, avviato negli anni 90, è poi proseguito nel XXI secolo, seppur con alcuni intoppi. Il rallentamento dello sviluppo della robotica medica è prevalentemente causato dagli elevati costi da sostenere per la progettazione e per la produzione dei robot. In particolare, risultano essere parecchio elevati i costi di acquisto delle apparecchiature, i costi di manutenzione e i costi del materiale di consumo necessario per ogni operazione, nonché i costi di formazione del personale medico.

La disciplina giuridica applicabile

Allo stato, la disciplina giuridica applicabile, come sopra anticipato, risulta essere quella stabilita a livello europeo per la generica responsabilità del produttore in quanto, la direttiva 374/85 qualifica i robot come prodotti. Tuttavia, come notato da molti autori, la dinamicità e la continua evoluzione della fattispecie rendono doverose alcune riflessioni sul punto ed impongono la rivalutazione di un sistema differente per la robotica medica in quanto, la generale disciplina della responsabilità del produttore appare alquanto "rigida" per una corretta regolamentazione della materia. Inoltre, con la recente approvazione della Risoluzione del Parlamento Europeo del 16 febbraio 2017, recante raccomandazioni alla Commissione concernenti "Norme di diritto civile sulla robotica", diventa sempre più attuale il problema connesso all'individuazione di norme che disciplinino l'attività e la responsabilità per l'utilizzazione dei robot nel nostro ordinamento giuridico8. L'attuale cornice normativa europea appare come detto inadeguata e carente di fronte alle molteplici applicazioni della robotica, dal momento che circoscrive la disciplina dell'uso dei robot e delle sue eventuali conseguenze alla normativa concernente l'immissione dei prodotti sul mercato e la responsabilità per danno da prodotti difettosi, prescindendo dalle peculiari caratteristiche e funzionalità che contraddistinguono le diverse tipologie di robot. Le tecnologie riconducibili alla nozione di robot, infatti, sono molteplici e differenziate: a fronte di "macchine" in grado di svolgere mansioni esclusivamente esecutive, vi sono robot dotati di capacità cognitive ed in grado di interagire con l'uomo e l'ambiente in cui sono introdotti (le c.d. macchine intelligenti). Ed è evidente che le questioni più complesse, anche sul piano giuridico, riguardano proprio la categoria dei robot cognitivi, i cui comportamenti potrebbero condurre, nel lungo periodo, al riconoscimento in capo ai robot di un'autonoma personalità giuridica. Quanto ai robot chirurgici, da ciò che si evince dalla Risoluzione, è necessario distinguere la responsabilità del personale medico per malapractice da quella del produttore per malfunzionamento del robot. È appena il caso di notare, infatti, che i robot chirurgici, a differenza delle intelligenze artificiali, non possiedono un'autonomia operazionale e decisionale sicché rimane sempre in capo al medico - chirurgo il controllo delle applicazioni robotiche che eseguono l'intervento. Per quanto concerne la responsabilità del produttore di robot, dalla risoluzione si evince che il Parlamento Europeo ritiene che il regime di responsabilità oggettiva contemplato dall'attuale normativa europea sia eccessivamente gravoso, anche perché il paziente danneggiato potrebbe individuare in esso un sistema risarcitorio più accessibile e celere, e quindi più favorevole, di quello vigente in materia civile per malapratice medica. Di conseguenza, qualsiasi danno scaturito dall'intervento chirurgico finirebbe per essere imputato al produttore anche in caso di negligenza medica. Una possibile soluzione potrebbe consistere nel limitare la possibilità per il paziente di citare in giudizio direttamente il produttore. Il tema più delicato, peraltro, riguarda la difficoltà di individuazione del soggetto responsabile dello specifico malfunzionamento del robot e che ha provocato il danno. Esso, di volta in volta, potrebbe dipendere da un difetto di fabbricazione oppure da un errore nella programmazione o da insufficiente attività di istruzione tesa ad implementare l'autoapprendimento, o infine da un errore del chirurgo.

La risoluzione del Parlamento Europeo

Come anticipato sopra, il 16 febbraio 2017 il Parlamento Europeo ha approvato una Risoluzione contenente raccomandazioni alla Commissione concernenti "Norme di diritto civile sulla robotica". La raccomandazione, pertanto, mira a superare i numerosi problemi pratici legati alla ricerca del soggetto responsabile ed al pieno risarcimento del danneggiato, suggerendo: 1) l'adozione di un sistema di assicurazione obbligatoria, che copra tutta la catena dei soggetti implicati nella realizzazione, programmazione, istruzione ed utilizzazione del robot ed assicuri in ogni caso la compensazione di eventuali danni derivanti dalla sua utilizzazione; 2) la creazione di un fondo che possa intervenire per la compensazione dei danni causati da robot non coperti da assicurazione; 3) la possibilità per le figure legate all'utilizzo dei robot (programmatori, produttori, proprietari e utilizzatori) di beneficiare di un regime di responsabilità civile meno stringente nel caso in cui essi contribuiscano ad un fondo di compensazione, come pure nel caso in cui sottoscrivano congiuntamente una copertura assicurativa a garanzia dei danni eventualmente causati da robot. Con specifico riferimento ai robot chirurgici, la raccomandazione pone un importante punto fermo, introducendo il fondamentale concetto di "autonomia supervisionata" del dispositivo robotico, in base al quale la programmazione iniziale di cura e la scelta finale sull'esecuzione spetteranno sempre ad un chirurgo umano. Tale concetto è in linea con la sempre maggiore autonomia di cui sono dotati i dispositivi robotici. Altra applicazione del principio di autonomia supervisionata è quella che riguarda la tendenza crescente all'autodiagnosi mediante l'utilizzo di un robot mobile e, di conseguenza, sottolinea la necessità che i medici siano formati per gestire casi di autodiagnosi, precisando che l'utilizzo delle tecnologie in questione non debba sminuire o ledere il rapporto medico - paziente, bensì fornire al medico un'assistenza nella diagnosi e/o cura del paziente allo scopo di ridurre il rischio di errore umano e di aumentare la qualità della vita e la speranza di vita. Tuttavia, poiché allo stato è considerato ammissibile solo l'uso di robot dotati di autonomia supervisionata, sarà sempre il medico a dover impostare le specifiche dell'indagine richiesta, selezionando i dati utili da immettere nell'algoritmo di diagnosi, e ad avere l'ultima parola in ordine alla scelta della terapia suggerita dal robot. Il che impone, come sottolinea la risoluzione, che si dia particolare attenzione alla formazione dei medici riguardo alla gestione dei casi di autodiagnosi. Per quanto la risoluzione non ne faccia espresso riferimento, deve ritenersi che non possa che rimaner fermo il principio essenziale per il quale il paziente deve essere informato del tipo di intervento al quale lo si vuole sottoporre e dei rischi ad esso correlati, sicché egli dovrà prestare il proprio consenso informato all'uso, da parte del chirurgo al quale si è affidato, del robot chirurgico. In mancanza, il chirurgo o la struttura sanitaria per la quale egli opera risponderà dei danni provocati dall'uso del robot per il semplice fatto del difetto di informazione. In tal senso si è già pronunciata, con una sentenza del 2007, la giurisprudenza tedesca: un Tribunale tedesco, infatti, ha concesso un risarcimento a un paziente operato con l'ausilio di un sistema robotico per difetto di informazione e di relativo consenso informato in merito ai rischi specificamente derivanti dall'utilizzo della tecnologia robotica. Ulteriore, oltre che fondamentale tema sul quale dovrà intervenire la normativa europea e di cui la raccomandazione sollecita l'adozione, è quello della procedura di acquisizione delle prove necessarie per far luce sul responsabile del danno. Le applicazioni utilizzate nell'ambito della chirurgia robotica, invero, registrano tutti i comandi ed i dati inseriti durante l'intervento ai quali, tuttavia, ha accesso esclusivamente il medico chirurgo che, dalla console di comando, ha gestito l'operazione. E' chiaro che un tale sistema limita notevolmente la possibilità per il paziente di acquisire le prove sufficienti da portare in giudizio contro il medico, la struttura sanitaria o il produttore; si raccomanda, pertanto, di introdurre modifiche idonee a rendere la procedura più flessibile al fine di consentire l'accesso ai suddetti dati previa semplice richiesta.

Considerazioni conclusive

Il dibattito sull'idoneità del quadro giuridico attuale nazionale ed europeo a regolare i rapporti civili nell'era dell'Intelligenza Artificiale, inclusa la eventuale opportunità di introdurre un nuovo status giuridico per i robot è ancora aperto, soprattutto a livello europeo. Ed invero, il tema della responsabilità civile nell'ambito della robotica dovrà essere affrontato in un'ottica sovranazionale, anzi globale, in quanto tali forme di Intelligenza Artificiale opereranno su scala mondiale. Pertanto, come suggerito tra l'altro dal Consiglio d'Europa nel 2017, l'Unione europea dovrà individuare forme di collaborazione a livello internazionale, con paesi come ad esempio gli Stati Uniti e la Cina che convivono già da tempo con l'Intelligenza Artificiale e il suo utilizzo in ambito medico.

E qui si parrà la nobilitate dell'Unione: vorrà giocare, in questa quarta rivoluzione industriale, un ruolo da protagonista o da sparring partner di altre superpotenze?


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