Per la Cassazione è corretta la tassazione delle vendite di orologi preziosi. La buona fede rileva come esimente solo se il contribuente dimostra l'errore inevitabile

Vendite eBay a rischio tassazione

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Corretta la tassazione delle vendite eBay operata dall'Agenzia delle Entrate nei confronti del venditore di orologi preziosi che non emette fatture né presenta le relative dichiarazioni annuali.


A nulla serve contestare la pretesa erariale contestando di essere stati in "buona fede" poiché ai fini della responsabilità è sufficiente la coscienza e la volontà della condotta che si presume fino alla prova della sua assenza, che deve offrire il contribuente. La buona fede rileva come esimente solo se questi è incorso in un errore inevitabile, non superabile con l'uso della normale diligenza, stante l'incolpevole ignoranza dei presupposti dell'illecito.


Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sezione tributaria, nell'ordinanza n. 26554/2020 (qui sotto allegata) respingendo il ricorso di un contribuente che si era visto notificare dall'Agenzia delle Entrate tre avvisi di accertamento per avere svolto attività di commercio di orologi preziosi su eBay, senza dichiarare né l'inizio dell'attività, né emettere le fatture per le operazioni poste in essere, né, infine, presentare le relative dichiarazioni annuali, riprendendo a tassazione i ricavi accertati, con irrogazione delle conseguenti sanzioni.

Accertamento analitico-induttivo e oneri del contribuente

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L'istanza giunge innanzi agli Ermellini accompagnata da numerose deduzioni da parte del contribuente. Questi, infatti, deduce l'eccessività dell'utile a fronte delle percentuali ricavabili dallo studio di settore applicabile al commercio al dettaglio di beni usati e, comunque, l'inidoneità delle ordinarie presunzioni trattandosi di commercio operato tramite eBay, come tale suscettibile di essere posto nel nulla anche successivamente alla vendita per l'esercizio del diritto di recesso.


Lamenta, infine, il mancato riconoscimento dei costi propri di eBay e di Paypal e che, in ogni caso, la mancata documentazione dei costi di acquisto dei beni era dovuta alle modalità di reperimento, presso mercatini di paese senza emissione di fattura, e al convincimento di svolgere una attività priva di rilevanza fiscale.


Per la Cassazione tali doglianze appaiono inammissibili, risolvendosi in contestazioni, del tutto generiche e irrelate, alla stessa valutazione delle prove operata dal giudice d'appello in vista di un riesame del merito del giudizio, preclusa in sede di legittimità.


Tra l'altro, a fronte delle allegazioni delle Entrate, incombeva sul contribuente l'onere di fornire elementi di prova contraria, idonei a dimostrare l'esistenza di elementi negativi di reddito, e ciò, tanto più che, come accertato dalla Commissione tributaria in seconde cure, l'accertamento operato non era meramente induttivo, bensì analitico induttivo.

Quando è possibile appellarsi alla buona fede?

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Il venditore neppure può giustificarsi appellandosi alla "buona fede" soggettiva nella quale sarebbe incorso ritenendo l'irrilevanza fiscale della propria condotta. Questi si appella alla obbiettiva incertezza della norma tributaria e all'affidamento che in lui avrebbero ingenerato condotte dell'Amministrazione finanziaria, in particolare presunte rassicurazioni da parte degli uffici finanziari locali sull'irrilevanza fiscale delle operazioni di vendita tra privati.


Il Collegio, esclusa la sussistenza dell'obbiettiva incertezza della norma tributaria (neppure oggetto di precisazione) e la configurabilità dell'affidamento per le condotte degli Uffici locali (meramente invocato e in alcun modo specificato, né in sede di merito, né con il ricorso), ritiene corretta la statuizione della sentenza impugnata.


Infatti, si legge nell'ordinanza, ai fini della responsabilità per le sanzioni, è "sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede, che rileva come esimente solo se l'agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l'ignoranza dei presupposti dell'illecito e dunque non superabile con l'uso della normale diligenza" (cfr. Cass. n. 2139/2020).


A tal fine, andrà dimostrata la presenza di "elementi positivi, estranei all'autore dell'infrazione, che siano idonei ad ingenerare in lui la convinzione della liceità della sua condotta e, dall'altro, che l'autore dell'infrazione abbia fatto tutto il possibile per osservare la legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso, neppure sotto il profilo della negligenza omissiva". L'onere di fornire tale prova grava sul trasgressore, e si tratta di elementi necessari per poter ritenere la sua buona fede (Cass. n. 33441/2019).


Scarica pdf Cassazione Civile, ordinanza n. 26554/2020

Foto: 123rf.com
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