Per la Cassazione è legittimo il sequestro della Postepay su cui l'indagato riceveva il reddito di cittadinanza se trascurando la legge lo divideva con la compagna

Sequestro Postepay

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Chi percepisce il reddito di cittadinanza mediante accredito sulla Postepay

, va incontro al sequestro della carta se divide la misura con la convivente, che poi se ne va di casa, senza dichiarare la sua situazione. Il destinatario della misura infatti non può decidere di utilizzare il beneficio senza tenere conto dei requisiti richiesti per usufruirne, perché non può sostituirsi alle legge. Questo quanto deciso dalla Cassazione con la sentenza n. 30302/2020 (sotto allegata), che pone fine al giudizio penale iniziato con il sequestro della Postepay da parte del Gip e il ricorso dell'indagato (per il reato contemplato dall'art. 7 comma 1 del dl n. 2/2019) al Tribunale, che però ne rigetta la richiesta di riesame avanzata per contestare il sequestro preventivo
della Postepay sulla quale riceveva l'accredito del reddito di cittadinanza.

Decisione non adeguatamente motivata e dolo insussistente

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Il soggetto indagato si oppone alla decisione del Tribunale, sollevando nel ricorso in Cassazione due motivi di doglianza.

  • Con il primo lamenta la carenza motivazionale del provvedimento, che non ha tenuto conto del fatto che lo stesso condivideva il reddito di cittadinanza
    con la compagna
    , che non ha motivato in merito alla mancata conoscenza del breve rapporto di lavoro della donna e che non ha contestato la posizione del figlio della convivente, mai indicato nell'istanza della concessione del reddito di cittadinanza.
  • Con il secondo invece rileva la mancata sussistenza del dolo, elemento psicologico richiesto dal reato contestato, visto che non era a conoscenza dell'attività lavorativa della compagna dopo che si era allontanata dalla residenza familiare, per cui il comportamento di quest'ultima al limite poteva ricondursi ad una condotta colposa, non dolosa.

Sequestro della Postepay per il titolare del reddito di cittadinanza

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La Corte di Cassazione con la sentenza n. 30302/2020 dichiara il ricorso inammissibile, dopo l'esame congiunto dei due motivi di ricorso, perché strettamente connessi.

Per la Corte il sequestro è legittimo stante la sussistenza del fumus e del periculum. Il fumus commissi delicti infatti sussiste perché per disporre il sequestro non è necessaria la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, essendo sufficienti elementi di fatto, almeno indiziari, in grado di condurre l'evento punito dalla norma penale alla condotta dell'indagato. Per quanto riguarda il periculum, è necessario che lo stesso sia attuale, concreto e che abbia un legame essenziale tra il bene e la commissione di altri reati o con l'aggravamento o la prosecuzione di quello già commesso.

Fatte queste precisazioni la Corte ricorda che il reato contemplato dall'art. 7 del decreto legge n. 4/2019, che istituisce il reddito di cittadinanza, è integrato quando il richiedente, nell'autodichiarazione da presentare per ottenere la misura, fornisce informazioni false o ne omette altre, indipendentemente dalla sussistenza delle condizioni reddituali richieste per la concessione del beneficio.

L'indagato ha dato conto di aver percepito il reddito di cittadinanza, così come ha ammesso di averlo diviso con la compagna convivente, decidendo autonomamente di destinare la misura nel modo ritenuto più opportuno, senza tenere conto dei requisiti di legge a cui è subordinata la misura e senza comunicare il mutamento della propria situazione quando la convivenza è venuta meno.

A tale proposito ricorda la Cassazione che i commi 1 e 2 dell'art 7 del DL n. 4/2019 come modificato dalla legge n. 26/2019 così dispongono: "1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all'articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, é punito con la reclusione da due a sei anni. 2. L'omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini di cui all'articolo 3, commi 8, ultimo periodo, 9 e 11, è punita con la reclusione da uno a tre anni."

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Scarica pdf sentenza Cassazione n. 30302/2020

Foto: governo.it
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