Nessun riconoscimento per il provvedimento straniero di ripudio della moglie, esso discrimina la donna nella sostanza e nella procedura

Cancellazione trascrizione sentenza di ripudio della moglie

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Con la sentenza 16804/2020 (sotto allegata) la Cassazione enuncia un importante principio giuridico in base al quale una decisione che contempla il ripudio della moglie da parte del marito pronunciata da un'autorità religiosa straniera, anche se equiparabile a una sentenza interna, non può trovare riconoscimento nell'ordinamento italiano. Tale provvedimento infatti discrimina la donna da un punto di vista sostanziale, perché donna e procedurale, poiché il rito non si svolge nel rispetto di un contraddittorio reale.

Principio enunciato al termine si un giudizio che ha come protagonista una cittadina giordana e italiana che si rivolge alla Corte d'Appello per chiedere la cancellazione della trascrizione dai registri dello stato civile della sentenza non definitiva emessa dal Tribunale Sciaratico Palestinese che, in sua assenza, ha pronunciato lo scioglimento del matrimonio sciaratico contratto con un cittadino italiano giordano, da cui ha avuto due figli.

La Corte d'Appello rileva come il ripudio è stato esercitato unilateralmente dal marito, per cui la sentenza non definitiva e quella definitiva, con cui è stato rilasciato al marito il nulla osta per un nuovo matrimonio, non sono in possesso dei requisiti necessari per essere efficaci anche in Italia.

Da qui la richiesta all'Ufficiale dello Stato civile di procedere alla cancellazione della trascrizione eseguita a margine dell'atto di matrimonio

. Il giudice dell'impugnazione rileva inoltre come il giudice straniero non i sia premurato di eseguire alcun accertamento sul venire meno della comunione di vita tra i coniugi e che il procedimento che si è svolto innanzi allo stesso si è basato solo sulla manifestazione di volontà del marito, con palese violazione del principio del contraddittorio, visto che la moglie non ha potuto opporsi.

Non ci sono ostacoli al riconoscimento della sentenza di ripudio?

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Avverso la sentenza della Corte d'Appello però ricorre in Cassazione il marito sollevando tre motivi di doglianza.

  • Con il primo denuncia l'omessa indagine da parte della Corte dei requisiti necessari per il riconoscimento della sentenza straniera, per l'omesso accertamento della portata della legge straniera applicabile, in quanto non ha appurato le modalità di svolgimento del processo di divorzio tenutosi innanzi al Tribunale di Nablus. Il marito fa presente inoltre che il ripudio in base al quale è stata pronunciata la sentenza non definitiva è revocabile e tra i coniugi si producono gli stessi effetti della separazione. Il matrimonio quindi persiste e i suoi effetti restano in piedi per tre mesi.
  • Con il secondo motivo fa presente che la donna ha in realtà preso parte al giudizio, a cui si è fatta accompagnare dalla madre.
  • Con il terzo evidenzia come, in base alle leggi attuali marito e moglie hanno i medesimi diritti di agire e resistere in giudizio, che il divorzio è preceduto da un tentativo di conciliazione e che il divorzio è pronunciato solo se viene accertato il venir meno dell'unione materiale e spirituale tra i coniugi. Tutti dati che la Corte non si è curata di rilevare.

Un provvedimento di ripudio della moglie non può trovare riconoscimento in Italia

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La Cassazione con la sentenza n. 16804/2020 respinge il ricorso, dopo aver trattato congiuntamente i motivi del ricorso in quanto connessi e fornisce un'articolata motivazione di 24 pagine, di cui si riportano i passi principali.

Dall'analisi della legislazione sul ripudio la Cassazione rileva come in base ad essa, la fine del matrimonio è determinata da una manifestazione unilaterale di volontà del marito e che, sempre per volontà del marito, il ripudio può essere revocato entro tre mesi.

Per quanto riguarda il riconoscimento in generale di un provvedimento straniero nel nostro ordinamento la Cassazione ricorda come la procedura è disciplinata dagli artt. 64 e s.s. della legge n. 218/1995. Detta normativa richiede che il provvedimento di cui si chiede il riconoscimento sia compatibile con il nostro ordine pubblico interno, sulla base di una valutazione ampia, che deve tenere conto delle leggi ordinarie, costituzionali e sovranazionali. Compatibilità che la Corte d'Appello non ha rilevato, stante "la lesione dei diritti essenziali della difesa, in quanto l'unilateralità del ripudio non è venuta meno per effetto del consenso della moglie alla richiesta avanzata dal marito, giacché la destinataria delle decisione unilaterale del marito si è limitata a prenderne atto."

Gli Ermellini fanno inoltre presente che allo stato attuale il ripudio islamico risulta discriminatorio nei confronti della donna, perché solo il marito può svincolarsi dal legame matrimoniale, senza l'obbligo di addurre una motivazione. In pratica la fine del matrimonio è rimesso solo all'esercizio di un potere potestativo dell'uomo.

Dopo aver analizzato diverse pronunce giurisprudenziali, compresa quella della CEDU del 2017, l'ordinanza interlocutoria del Ministro della Giustizia del marzo 2019 e il diritto comparato, la Cassazione enuncia il seguente principio di diritto: "Una decisione di ripudio emanata all'estero da un'autorità religiosa (nella specie tribunale sciaratico, in Palestina), seppure equiparabile, secondo la legge straniera, ad una sentenza del giudice statale, non può essere riconosciuta all'interno dell'ordinamento giuridico statuale italiano a causa della violazione dei principi giuridici applicabili nel foro, sotto il duplice profilo dell'ordine pubblico sostanziale (violazione del principio di non discriminazione tra uomo e donna; discriminazione di genere) e dell'ordine pubblico processuale (mancanza di parità difensiva e mancanza di un procedimento effettivo svolto nel contraddittorio reale."

Leggi anche Il riconoscimento delle sentenze straniere

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