La giurisprudenza ha assolto alcuni imputati accusati ex art. 340 c.p. di interruzione di pubblico servizio. Ma si rischia una sanzione amministrativa

di Lucia Izzo - In passato si era soliti affidarsi al passaparola oppure all'utilizzo dei lampeggianti dell'auto per segnalare la vicinanza di una pattuglia o di un posto di blocco, oppure la presenza di un autovelox. Ma oggi, nell'era dei social, il fenomeno si è evoluto e le segnalazioni viaggiano veloci e si diffondono in maniera tempestiva sfruttando gli applicativi presenti sugli smartphone.

Gruppi WhatsApp per segnalazioni autovelox

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Oltre ad app e dispositivi specifici, che consentono di inoltrare in tempo reale le indicazioni per avvisare gli altri conducenti, una pratica assai diffusa è quella di creare delle chat di gruppo su WhatsApp destinate proprio alle segnalazioni di pattuglie e autovelox in giro per il territorio.

Tale comportamento, tuttavia, non ha mancato di far sorgere interrogativi in relazione ai suoi profili di dubbia legalità. Non di rado, le vicende in argomento sono state prima oggetto di indagine e poi, addirittura, di veri e propri casi giudiziari con orientamenti non sempre uniformi.

Poiché una previsione ad hoc è presente nel Codice della Strada, i maggiori dubbi sorgono in ordine alla possibile individuazione anche di un illecito penale. Le recenti decisioni giurisprudenziali offrono uno spunto interessante per comprendere come la magistratura vede il fenomeno e, in particolare, se è possibile parlare o meno di reato.

La decisione del Tribunale di Alghero

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Ne sa qualcosa la signora finita nel mirino delle autorità per aver sfruttato l'app di messaggistica Whatsapp allo scopo di formare un gruppo per segnalare la presenza di pattuglie stradali e di strumenti di controllo della velocità.

A suo carico, nel 2016, è scattata una denuncia per interruzione di pubblico servizio, ex art. 640 c.p., norma che punisce con la reclusione fino a un anno chiunque cagiona un'interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o di un servizio di pubblica necessità. I promotori dell'illecito, invece, rischiano la reclusione da uno a cinque anni.

Il legale della donna, Danilo Mattana, raggiunto dal Sole24ore, ha raccontato che il telefono di un componente della chat era finito nelle mani della Polizia, impegnata in un'indagine. Individuata la conversazione, ulteriori verifiche hanno consentito di risalire alla persona che aveva costituito la chat.

A seguito di un processo con rito abbreviato, è giunta l'assoluzione da parte del Tribunale di Alghero, invece. Come sottolineato anche dal legale nei suoi scritti difensivi, la chat aveva un numero limitato di partecipanti e, inoltre, non era stato possibile dimostrare la circostanza che la conversazione fosse stata idonea a interferire con l'operato della Polizia.

Il precedente di Genova

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La pronuncia non rappresenta un caso isolato, ma tiene conto dell'analoga conclusione a cui è giunto in precedenza anche il Gip di Genova che, a fine gennaio 2020, ha archiviato l'inchiesta che vedeva indagati 49 ragazzi della Valle Scrivia.

Anche in questo caso il gruppo aveva messo su una chat WhatsApp, con oltre un centinaio di partecipanti, per segnalare posti di blocco ed evitare così di incorrere in multe o sanzioni. Secondo il giudicante, però, la creazione della chat non avrebbe comportato alcuna alterazione del servizio, che aveva continuato a svolgersi regolarmente, stante il numero di utenti della strada e il numero comunque limitato dei partecipanti alla chat.

Segnalazione autovelox: la sanzione amministrativa

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Una sanzione, non penale, è invece prevista dall'art. 45 del Codice della Strada per chi non rispetta il divieto di produzione, commercializzazione e uso di dispositivi che, direttamente o indirettamente, segnalano la presenza e consentono la localizzazione delle apposite apparecchiature di rilevamento di cui all'articolo 142, comma 6, utilizzate dagli organi di polizia stradale per il controllo delle violazioni.

Leggi anche Rilevatore autovelox: cos'è e quali sanzioni per chi lo usa

In tal caso, si rischia, ove il fatto non costituisca reato, la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 802 a euro 3.212. Alla violazione consegue la sanzione amministrativa accessoria della confisca della cosa oggetto della violazione.


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