I cambiamenti passano anche dalla rimodulazione delle aliquote Iva, dallo sfoltimento di detrazioni e deduzioni. Si delinea la riforma Irpef

di Gabriella Lax - Passa dalla rimodulazione delle aliquote Iva, dallo sfoltimento di detrazioni e deduzioni e dalla riduzione a tre scaglioni Irpef, la riforma fiscale. In questa direzione sembra muoversi il governo anche se il percorso è tutt'altro che lineare.

I chiarimenti di Gualtieri

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Come specificato dal ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, oltre all'intervento sul cuneo fiscale, già ad aprile è prevista «una legge delega sulla riforma fiscale ispirata alla semplificazione e alla razionalizzazione del sistema». La riforma riguarderà «detrazioni, alleggerimento del carico sui redditi bassi e medi, sostegno alla famiglia e alla genitorialità in coerenza con il grande disegno dell'assegno unico».

Il taglio del cuneo fiscale

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È un classico evergreen il taglio dell'Irpef, cavallo di battaglia nelle agende politiche e nei programmi elettorali. Ci sono grandi difficoltà a pensare ad un taglio generalizzato delle tasse. Quella che è in ballo è la finanza pubblica: da un lato ci sono le difficoltà di garantire la progressività dell'imposizione fiscale, come impone il dettato costituzionale, dall'altro serve necessariamente semplificare un sistema complicato. Insomma bisogna fare reggere i conti dello Stato tenendo presente che il taglio del cuneo fiscale

parte quest'anno e andrà a regime nel 2021. A garanzia del taglio del cuneo fiscale, per il prossimo anno ci sono fondi stanziati nel bilancio: in questo caso però sarebbe minimo il respiro per un taglio dell'Irpef se si considera che sulla manovra pende già il conto dell'Iva da 21 miliardi, nel 2020 solo rinviato. I 5 miliardi del cuneo abbraccerebbero i dipendenti fino a 35 mila euro di reddito, quindi per coinvolgere una platea più ampia di quella del Bonus Renzi, ma non tutto il "ceto medio".

Come cambia l'Irpef

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L'Irpef potrebbe dunque essere sintetizzata in tre scaglioni di reddito e relative aliquote. I redditi oggetto di cambiamento saranno quelli medio bassi e bassi, gli attuali secondo e terzo scaglione, relativi cioè alle fasce che vanno da 15 mila a 28 mila euro e dai 28 mila ai 55 mila euro di reddito annuale.

Lo stesso premier Giuseppe Conte aveva ipotizzato l'accorpamento dei primi due scaglioni Irpef: invece che il 23% fino a 15 mila euro e il 27% tra 15 e 28 mila euro, un solo scaglione con l'aliquota al 20%. Il rovescio della medaglia è che si tratterebbe di una ipotesi molto costosa, perché ogni punto di riduzione della prima aliquota costa circa 4 miliardi. L'accorpamento dei primi due scaglioni costerebbe non meno di 20 miliardi di euro, oltre un punto di prodotto interno lordo. Come riferisce il Corriere, a conti fatti i vantaggi sarebbero molto poco proficui. I contribuenti che hanno dichiarato al fisco un reddito annuo fino al 20 mila euro lordi, nel 2017, sono stati 24,3 milioni, oltre la metà degli italiani che pagano le tasse, che sono 41,2 milioni. Di questi hanno versato "solo" 21,7 miliardi di Irpef, cioè circa il 12,5% dell'Irpef complessiva del 2017. Sarebbe una manovra difficile da supportare anche nel bilancio del 2022, quando serviranno altri 6 miliardi per evitare ulteriori aumenti dell'Iva, benché il deficit programmato per quell'anno, all'1,4% del prodotto, consentirebbe margini di manovra più ampi. Se dunque il governo vuole dare subito un segnale sulla volontà di proseguire sulla riduzione delle tasse, non può che immaginare una riforma progressiva su più anni. Oppure l'idea potrebbe essere quella di rimettere sul tavolo, per finanziare parte della riforma, una sforbiciata alle detrazioni e alle deduzioni fiscali. Quella delle detrazioni e deduzioni a scalare con la crescita del reddito, peraltro, sarebbero un sistema valido per garantire la progressività dell'imposizione.

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