Per le Sezioni Unite Penali, non incidendo la falsità sui requisiti di ammissibilità, la revoca può essere disposta solo nei casi espressamente previsti dalla legge

di Lucia Izzo - La falsità o incompletezza dell'autocertificazione da allegare all'istanza di ammissione al gratuito patrocinio non determina la revoca. Non incidendo la falsità sui requisiti di ammissibilità, la revoca può essere disposta solo nei casi espressamente previsti dal legislatore.


È quanto emerge a seguito dell'udienza del 19 dicembre 2019 in cui le Sezioni Unite Penali si sono soffermate su alcune tematiche di fondamentale importanza come si evince dalle informazioni provvisorie 27-29/2019 (sotto allegate).

Gratuito patrocinio e autocertificazione allegata all'istanza di ammissione

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L'informazione provvisoria n. 29 affronta la questione inerente la falsità o incompletezza dell'autocertificazione allegata all'istanza di ammissione al gratuito patrocinio: in particolare, agli Ermellini viene chiesto se ciò determini l'inammissibilità, e dunque la revoca in caso di intervenuta ammissione, anche nell'ipotesi in cui i redditi effettivi non superino il limite di legge oppure se, non incidendo la falsità sui requisiti di ammissibilità, la revoca possa invece essere disposta solo nei casi espressamente previsti dal legislatore.


Ed è quest'ultima la strada seguita dalla Suprema Corte. Le Sezioni Unite, infatti, sottolineano proprio il fatto che la revoca può essere disposta solo nei casi espressamente previsti dalla legge.

Coltivazione cannabis per uso personale, no reato

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Torna innanzi ai giudici della Suprema Corte anche il delicato tema del reato di coltivazione delle piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, come emerge dall'informazione provvisoria n. 27.

All'uopo, si chiede alle Sezioni Unite se ai fini della configurabilità del predetto reato sia sufficiente che la pianta, conforme al tipo botanico previsto, sia idonea per grado di maturazione a produrre sostanza per il consumo, senza che rilevi la quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza, oppure se sia necessario altresì verificare che l'attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica e a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato.

Gli Ermellini affermano che il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell'immediatezza. Sarà dunque sufficiente la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente.

Le Sezioni Unite precisano che non sono riconducibili all'ambito di applicazione della norma penale, e dunque ne sono escluse, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica che, per le rudimentali tecniche utilizzate, ovvero per lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell'ambito del mercato degli stupefacenti appaiono destinate in via esclusiva all'uso personale del coltivatore.


Leggi Cannabis: la coltivazione per uso personale non è reato

Agevolazione delle attività mafiose

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Interessante è anche la soluzione adottata dai giudici, come emerge dall'informazione provvisoria numero 28, inerente l'aggravante speciale già prevista dall'art. 7 del D.L. n. 152/1991 e oggi inserita nell'art. 416 bis c.p., che prevede l'aumento di pena qualora la condotta tipica sia consumata "al fine di" agevolare l'attività delle associazioni mafiose.


In particolare, gli Ermellini ritengono che tale aggravante non abbia natura oggettiva (concernendo dunque le modalità dell'azione). L'aggravante agevolativa dell'attività mafiosa ha natura oggettiva, poiché concerne la direzione della volontà, e dunque si applica al concorrente solo se da lui conosciuta.

Scarica pdf informazione provvisoria Cass. SS.UU. n. 27/2019
Scarica pdf informazione provvisoria Cass. SS.UU. n. 28/2019
Scarica pdf informazione provvisoria Cass. SS.UU. n. 29/2019

Foto: 123rf.com
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