Per gli Ermellini, il gioco delle tre carte non integra reato di truffa perché l'abilità di chi lo conduce in realtà non è riconducibile ad alcun artificio o raggiro

di Annamaria Villafrate - La sentenza della Cassazione n. 48159/2019 (sotto allegata) ribadisce un principio già sancito sul gioco delle tre carte e la sua riconducibilità al reato di truffa. Per gli Ermellini il gioco delle tre carte non integra il reato di truffa perché chi conduce il gioco non mette in atto alcun artificio e raggiro, ma solo una particolare abilità nel muovere le carte, che inducono al giocatore a confidare nel caso, non a un vincita in denaro sicura o probabile. Nel caso di specie inoltre nessuna "induzione" al gioco è stata messa in atto dagli imputati. La persona offesa si è infatti autodeterminata, ha cioè deciso in autonomia di partecipare al gioco e nel prendere tale decisione, per come si svolge lo stesso, è necessario mettere in conto che la particolare abilità di chi lo conduce è superiore a quella del giocatore, che non può quindi fare affidamento su una vincita certa.

Reato di truffa in concorso

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La Corte di appello, riformando la sentenza di primo grado, riqualifica il delitto ascritto agli odierni ricorrenti come truffa in concorso e determina la relativa pena di giustizia. La decisione si fonda sulle dichiarazioni della parte offesa, attendibili solo in parte e su una ricostruzione dei fatti fondata su deduzioni logiche.

Manca la prova degli artifici e dei raggiri

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Ricorrono in Cassazione gli imputati. Il primo di essi contesta la qualifica della condotta in termini di truffa

perché la stessa, così come ricostruita "sarebbe consistita nell'indurre la parte offesa a giocare al c.d. gioco dei tre campanelli tramite una falsa vincita e profittare del carattere del tutto aleatorio del gioco stesso per farlo sperdere." In realtà in questo gioco manca del tutto la prova degli artifici e i raggiri e delle manovre truffaldine imputate trattandosi di un'attività assolutamente lecita. L'imputata contesta inoltre l'assenza del suo contributo in quanto non avrebbe gestito il gioco e neppure ricevuto denaro dalla persona offesa. Il secondo imputato, come la prima ricorrente contesta la sussistenza degli elementi costitutivi del reato di truffa e il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

Il gioco delle tre carte non integra reato di truffa

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La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, accoglie i ricorsi degli imputati perché fondati.

La Suprema Corte, richiamando precedente giurisprudenza chiarisce che: "il giuoco dei tre campanelli - e quelli similari delle tre tavolette o delle tre carte - di per sé non concretano il reato di truffa posto che la condotta di chi dirige il giuoco non realizza alcun artificio o raggiro, bensì "una realtà" ed una regolare continuità di movimenti, che, per essere l'effetto della estrema abilità di chi dirige il giuoco, inducono, da ultimo, il giocatore a confidare nel "caso". Naturalmente, a diversa soluzione si deve giungere nel caso in cui all'abilità ed alla destrezza di chi esegue il giuoco si aggiunga una fraudolenta attività del medesimo. "

Nel caso di specie manca l'induzione in errore della persona offesa con artifizi e raggiri da parte degli imputati. La persona offesa si è infatti determinata in autonomia a giocare. Risulta infatti che l' induzione della persona offesa a giocare con l'illusione di una vincita facile è un elemento dedotto in base a un giudizio meramente ipotetico, senza che lo stesso possa qualificarsi come un artifizio o raggiro. L'affermato inganno riguarda in realtà "una caratteristica del gioco (la sproporzione a favore del "banco" in conseguenza dell'uso da parte dei "tenutari del gioco" di abilità o destrezza che potrebbero e possono essere rese inefficaci solo dall'eventuale superiorità della prontezza di riflessi e dello spirito di osservazione di chi vi partecipa) che rientra nell'ambito dei fatti notori (...) e perché -sulla base di tali presupposti - la parte offesa rimaneva libera di partecipare o meno al gioco medesimo."

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