Ai più giovani potrebbe andare ancora peggio. Così come a chi ha collezionato lavori discontinui. E' la Cgil a lanciare l'allarme nell'incontro "Rivolti al futuro" a Roma

di Gabriella Lax - Molti quarantenni andranno in pensione a 73 anni e con assegni poveri, equivalenti agli attuali 300-400 euro. Ai più giovani potrebbe andare ancora peggio. La Cgil ha lanciato l'allarme nell'incontro "Rivolti al Futuro", lo scorso venerdì, nella sede del sindacato a Roma.

Cgil, i 40enni di oggi andranno in pensione a 73 anni

Le difficoltà riguarderanno i soggetti che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996 e vedono il proprio assegno calcolato integralmente con il metodo contributivo. A passarsela peggio chi è stato impiegato in lavori saltuari, part time. Vediamo più da vicino che succede, secondo le simulazioni del sindacato

. Chi ha cominciato a lavorare nel 1996 a 24 anni con un salario annuo di 10 mila euro e un part time se ha avuto un anno di buco per ogni tre che ha lavorato, si ritroverà ad avere pensioni così basse da uscire solo a 73 anni. Ma la colpa non si può dare alla legge Fornero. Esistono vincoli legislativi che legano l'età d'uscita all'aspettativa di vita e non permettono di staccare prima dei settant'anni al di sotto di un importo, pari agli odierni 687 euro. Situazioni che si fanno ancora più stringenti nel caso delle carriere discontinue. Come ha spiegato l'esperto di welfare della Cgil Enzo Cigna, il dramma sta nell'assenza «di ogni meccanismo di integrazione, che al contributivo manca, mentre c'era nel sistema retributivo». L'idea della Cgil è quella di destinare ai giovani una pensione di garanzia, trovando un equilibrio tra contributi e vecchiaia. «Per noi dovrebbero essere assicurati almeno mille euro a chi somma 66 anni di età e 42 di anzianità». Inoltre, secondo il sindacalista, sarebbe comunque necessario «valorizzare a livello contributivo i periodo di stage, ricerca del lavoro, assistenza ai familiari».

Landini: «Il sistema contributivo va corretto»

Da registrare, nel corso dell'incontro, l'intervento di Maurizio Landini, segretario generale della Cgil: «È evidente: un sistema puramente contributivo, se non è corretto e se non ha al suo interno elementi di solidarietà, è un sistema che crea grandi diseguaglianze - ed aggiunge - dobbiamo fare in modo che qualsiasi rapporto di lavoro abbia dei contributi e sia utile per poter poi andare in pensione proprio perché viene riconosciuto e dunque valorizzato». In conclusione «Sembra un paradosso - ha precisato il segretario generale della Cgil - che da un lato mi si dice che col contributivo vado in pensione in base ai contributi, poi, però, fino a 70 anni non posso lasciare il lavoro».


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