Il ddl 1224 allunga la lista delle proposte di modifica della legge 54/2006, purtroppo con più ombre che luci, mentre preoccupano anche altre soluzioni prospettate

di Marino Maglietta - L'apparente facilità del diritto di famiglia invoglia evidentemente i nostri parlamentari a improvvisare continue modifiche alla normativa che spesso non solo non obbediscono alle regole della logica giuridica, ma che soffrono di contraddizioni sia interne che rispetto a precedenti proposte degli stessi soggetti politici.

E' già stato fatto notare come il ddl 735 sia infedele in concreto al contratto di governo (leggi La riforma dell'affido condiviso tra gli equivoci di opposte ideologie), che pure si propone di realizzare, e come la spietata censura rivolta alla forma diretta del mantenimento abbia trovato ancor più completa e inderogabile accoglienza in proposte antiche e recenti delle stesse forze politiche che oggi la rigettano (leggi Mantenimento diretto: che cos'è, chi lo vuole e chi no).

Arriva di recente un nuovo progetto, il ddl 1224, che contraddice in tutti gli aspetti qualificanti il ddl 768, firmato anche dalla proponente, sen. Ronzulli. Naturalmente è pacifico il diritto di cambiare idea; dunque quello che lascia perplessi è, oggettivamente, quanto viene proposto in alternativa che, ancora una volta, non sempre corrisponde agli obiettivi enunciati. Si parte, in concreto, da una dichiarazione di per sé incontestabile, voler tradurre in legge i diritti dei figli ad essi riconosciuti dal Decalogo del 2018. Si legge, tuttavia, come primo esempio di applicazione che essi hanno "il diritto di mantenere tendenzialmente inalterati i loro affetti", dove l'avverbio sembra apposto più per mettere in dubbio che per consacrare un diritto che nessun documento, legge o carta ha mai contestato: ci mancherebbe, che così non fosse, e non solo "tendenzialmente". Si rimbalza, poi, nell'estremo opposto, ovvero nella mera velleità e/o irrealistica pretesa - forse anche diseducativa - affermando il diritto a "non subire conseguenze economiche negative a seguito della cessazione della convivenza tra i genitori", ovvero quello di "godere di contesti e stili di vita omogenei nei tempi di permanenza presso ciascuno dei genitori". Difatti, una volta che la separazione abbia fatto impoverire l'intero nucleo familiare - 99% dei casi - a volte pesantemente, come potrebbero i genitori evitare che ciò si ripercuota anche sui figli? E davvero riuscire a farlo sarebbe un merito, o si può anche ritenere che la partecipazione dei figli, nella buona e nella cattiva sorte, alle vicende familiari sia un sano modo di prepararsi alla vita? Osservato al volo che l'obbligo di "stili di vita omogenei" rappresenterebbe una illiberale e intollerabile ingerenza dello stato nelle scelte individuali, i "contesti omogenei" appaiono come un evidente tentativo di compiacere diffuse istanze che, accanto all'ovvia aspirazione dei figli a conservare (ove compatibili con le nuove possibilità familiari) le abitudini e le attività precedenti, vorrebbero che il "coniuge debole" possa gratificare se stesso in forza di ciò che una diversa storia personale - spesso fatta di sacrifici, o situazioni originarie, personali e familiari che nulla hanno a che fare con la formazione e la vita della coppia - ha messo a disposizione dell'altro. Anzi, gratificare non solo se stesso, ma non di rado la propria famiglia di provenienza, accolta nella casa familiare, nonché il nuovo convivente. Ciò in conseguenza del ruolo di genitore prevalente, che il ddl non sopprime assolutamente, visto che il giudice "valuta prioritariamente la possibilità che i tempi di permanenza dei figli siano tendenzialmente paritetici, qualora entrambi i genitori dimostrino di potersi occupare personalmente dei figli nei tempi loro rispettivamente attribuiti ". Dove, al di là del gigantesco passo indietro di questa formulazione nella tutela della bigenitorialità, salta agli occhi la totale implausibilità della riserva sul "provvedere direttamente" ai bisogni dei figli che in colpo solo spazza via disinvoltamente i diritti dei nonni e le esigenze di padri e madri che lavorano e sottopone a severa censura le soluzioni adottate inevitabilmente dalla stragrande maggioranza delle famiglie non separate, mettendo sul lastrico migliaia di baby-sitter. Né il resto del ddl offre, purtroppo, soluzioni migliori. Ad es., in merito alle cosiddette "spese straordinarie" si legge che : "Le categorie di spese di cui al terzo comma, numero 2), sono individuate con decreto del Ministro della giustizia, da emanare con cadenza quadriennale.". Ossia, attenzione, perché gli occhiali da vista quest'anno sono spesa da dividere, mentre l'anno prossimo potrebbero rientrare nel fatidico "assegno", che naturalmente resta, visto che "Il giudice, ove ciò sia necessario alla salvaguardia dei diritti dei figli e nel rispetto del principio di proporzionalità, pone a carico di un genitore l'obbligo di versare all'altro un assegno mensile". Una formulazione che dimostra la difficoltà dei soggetti istituzionali a comprendere a cosa serva e come funzioni il mantenimento diretto.

Nonché si riscontra all'art. 9, ancora nello stesso spirito, il potere del giudice di negare ai figli l'ascolto (ma non si era detto di voler applicare il Decalogo dei diritti dei figli…? Questo è il principale…); mentre la mediazione familiare è lasciata nel limbo attuale di una remota eventualità.

Purtroppo, altrettanto preoccupanti appaiono le soluzioni che vengono suggerite da altri soggetti, che non di rado occupano posizioni prestigiose e quindi godono nel Parlamento di vasto credito. Per quanto riguarda la frequentazione, discutendo e contestando le idee e non i proponenti, non si può esprimere che totale dissenso da ipotesi che accrescono il potere discrezionale del giudice utilizzando espressioni come "il giudice può disporre una frequentazione paritetica, se non contraria all'interesse del minore"; peggio ancora "tendenzialmente paritetica". Ma costituirebbe inaccettabile arretramento anche "il giudice considera prioritariamente l'ipotesi di una frequentazione paritetica, salvo decidere diversamente se ritiene la soluzione non idonea". In definitiva, non è pensabile che ci si ispiri all'art. 374 del codice civile belgaA défaut d'accord, en cas d'autorité parentale conjointe, le tribunal examine prioritairement, à la demande d'un des parents au moins, la possibilité de fixer l'hébergement de l'enfant de manière égalitaire entre ses parents. Toutefois, si le tribunal estime que l'hébergement égalitaire n'est pas la formule la plus appropriée, il peut décider de fixer un hébergement non-égalitaire.»). Occorre, infatti, tenere conto della profonda differenza culturale tra i due paesi, dimostrata dal fatto che in Italia si è dovuto mettere mano a una riscrittura delle norme sull'affidamento per affermare la bigenitorialità non perché la pariteticità dei genitori non fosse prevista dalle norme oggi in vigore ("rapporto equilibrato e continuativo", diritto del figlio a "ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi") ma per la pertinace resistenza della magistratura italiana ad accogliere modelli non discriminatori benché prescritti dalla legge. Si può, quindi, immaginare quale tasso di applicazione si osserverebbe se venissero rimessi alla insindacabile valutazione del giudice. Del resto la nostra involuzione culturale è dimostrata anche da ipotesi come la rigida divisione dei figli in fasce di età, che li sottoporrebbero a regimi di frequentazione diversi; con buona pace dell'invocato criterio (dai medesimi soggetti) delle decisioni "caso per caso", nonché della stessa Costituzione.

Concludendo, i motivi di preoccupazione sono fortissimi. Un intervento sollecitato dal basso in nome del rispetto di diritti indisponibili dei figli e di pari opportunità per le madri sta procedendo nel totale distacco delle istituzioni dai promotori. Inutile svolgere più di cento audizioni se poi si fa mancare un confronto concreto sui punti qualificanti e se scelte elaborate nelle chiuse stanze verranno esibite come definitive. In altre parole, visto la grande pressione mediatica e l'ampio spazio che l'informazione dedica a chi vorrebbe restaurare il medioevale e maschilista concetto della madre accudente e del padre procacciatore di reddito non si può restare inerti di fronte all'altissimo rischio che lo sforzo di ottenere una applicazione fedele dei principi e delle prescrizioni della legge 54/2006 si risolva in una sorta di controrivoluzione, ovvero nella legittimazione della prassi attuale. Auspicato, quindi, che la componente parlamentare che aveva depositato la pdl 1403 nella scorsa legislatura ricevendo l'approvazione della rete e che oggi costituisce il partito di maggioranza relativa si rammenti dei contenuti allora condivisi garantendone la presenza nel futuro testo unificato, appare, come obiettivo minimo, consigliabile che le associazioni e i gruppi che si sono mossi per rivendicare la piena applicazione di norme già esistenti si appellino al Contratto di governo per ottenere il rispetto quanto meno di quei due punti, frequentazione e mantenimento, sui quali l'esecutivo si è già inequivocabilmente impegnato.


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