La Cassazione rammenta che spetta alla società segnalata dimostrare il danno patrimoniale e non patrimoniale derivato dalla illegittima segnalazione alla Centrale Rischi

di Lucia Izzo - Non è sufficiente la sola illegittima segnalazione alla Centrale dei Rischi (CRIF) a far scattare il danno patrimoniale, nonostante a causa di questa sia stato precluso alla società segnalata l'accesso al credito. La perdita economica, sotto forma di danno emergente e lucro cessante, non viene considerata "in re ipsa", ma richiede di essere necessariamente e puntualmente dimostrata dall'interessato.


Lo ha rammentato la Corte di Cassazione, prima sezione civile, nell'ordinanza n. 207/2019 (qui sotto allegata) respingendo il ricorso di una società che aveva agito contro una finanziaria la quale gli aveva concesso un leasing finanziario per l'acquisto di un autoveicolo.

Il caso

A ciò era conseguita l'apertura di due posizioni contrattuali e di due posizioni debitorie a cui era seguito il prelievo dal conto corrente bancario di due ratei ogni mese. La società, accortasi di ciò, aveva chiesto la restituzione delle somme indebitamente prelevate e il trasferimento delle rate di addebito sul proprio conto corrente.


In seguito, la società si vedeva negare alcuni finanziamenti richiesti a delle banche sul presupposto che risultava una segnalazione al CRIF la quale, a seguito di chiarimenti, veniva riconosciuta come erronea.


A fronte di tali vicende, l'azienda si rivolgeva sia al Garante per la protezione dei dati personali che al Tribunale di Roma per chiedere venisse accertato e dichiarato che la finanziaria aveva erroneamente e illegittimamente segnalato una posizione di sofferenza alla CRIF, con conseguente condanna al risarcimento a titolo di danni patrimoniali e non patrimoniali.


La richiesta risarcitoria patrimoniale veniva tuttavia respinta in considerazione della mancata prova del danno patrimoniale, come danno emergente e come lucro cessante, derivante dalla mancata concessione di finanziamento e mutuo.


Veniva, invece, riconosciuto il danno non patrimoniale, liquidato equitativamente, essendo stata accertata la violazione dell'art. 11 del Codice della privacy per violazione del diritto alla reputazione, con la precisazione che lo stesso, pur previsto per legge, non poteva ritenersi sussistente in re ipsa e che la prova era stata integrata dalla circostanza che il rifiuto del credito era conseguito all'essere stata considerato la società "cattivo pagatore".

Illegittima segnalazione al CRIF: il danno va dimostrato

Una conclusione avvalorata dalla Corte di Cassazione che ritiene infondata la doglianza proposta dalla società avverso il mancato riconoscimento del danno patrimoniale è infondato.


Gli Ermellini rammentano che, in caso di illecito trattamento dei dati personali per illegittima segnalazione alla Centrale dei rischi, il danno, sia patrimoniale che non patrimoniale, non può essere considerato "in re ipsa" per il fatto stesso dello svolgimento dell'attività pericolosa. Anche nel quadro di applicazione dell'art. 2050 c.c., il danno, e in particolare la "perdita", deve essere sempre allegato e provato da parte dell'interessato (cfr. Cass. n. 1931/2017).


In relazione al pregiudizio non patrimoniale, la posizione attorea è tuttavia agevolata dall'onere della prova più favorevole rispetto alla regola generale del danno aquiliano, nonché dalla possibilità di dimostrare il danno anche solo tramite presunzioni semplici e dal risarcimento secondo equità.


Nel caso in esame, la società ha dato atto unicamente della compromissione dell'accesso al credito, con conseguente impossibilità di dare seguito ai propri progetti di espansione e consolidamento aziendale. Non è stata data, invece, alcuna prova in ordine al pregiudizio patrimoniale subito.


Prima di pronunciarsi sulla carenza probatoria circa la ricorrenza del danno emergente e del lucro cessante, inoltre, il giudice a quo ha tenuto conto anche delle dichiarazioni del legale rappresentante, nonostante parte ricorrente affermi il contrario.

Tuttavia, spiega la Corte, anche qualora tali dichiarazioni avessero avuto il contenuto propugnato dalla società ricorrente, le stesse sarebbero state inidonee (in quanto provenienti dalla stessa parte) a integrare un elemento di prova in assenza di ulteriori e autonomi elementi probatori anche indiziari che non sono neppure stati evidenziati nel ricorso.

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