Per il T.A.R. Lazio è necessario il consenso di entrambi i genitori per modificare il cognome del minore, salvo uno dei due sia stato privato della potestà genitoriale

di Lucia Izzo - L'istanza volta a modificare il cognome del minore deve essere presentata congiuntamente da entrambi i genitori, nell'esercizio della rappresentanza legale ex art. 320 del codice civile. Qualora sia presentata da uno solo dei due deve ritenersi comunque necessario il consenso di entrambi, salvo solo il caso in cui l'altro sia stato privato della potestà genitoriale.


Lo ha precisato il TAR Lazio nella sentenza n. 11410/2018 (qui sotto allegata) pronunciandosi sul ricorso di una madre che aveva rivolto al Prefetto una domanda, da questi respinta, volta ad aggiungere il cognome materno a quello del figlio minore accanto a quello paterno.

Il caso

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La donna evidenziava che il figlio, legalmente riconosciuto dal padre, le era stato affidato dopo la cessazione della loro convivenza la convivenza. Rilevato il disaccordo tra i due, i rapporti genitoriali erano stati regolati dal Tribunale per i Minorenni che aveva disposto l'esercizio congiunto della potestà genitoriale, fermo restando il collocamento del minore presso la madre.


A seguito dell'istanza della donna volta al cambiamento del nome, il padre del minore aveva proposto formale opposizione all'istanza di cambiamento del cognome: pertanto, non sussistendo un'ipotesi di decadenza dalla potestà e considerata la necessarietà del consenso di entrambi i genitori al fine dell'accoglimento della domanda, la Prefettura aveva respinto la domanda.

Il diritto al nome e il suo cambiamento

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I giudici amministrativi rammentano come nel nostro ordinamento sia riconosciuto il diritto al nome (art. 6 c.c.), comprensivo del prenome e del cognome, e ne sia prevista la tutela (artt. 7 e 8 c.c.), intesa non tanto come tutela del segno distintivo della persona, ma come tutela dell'identità personale.


L'art. 6 c.c., nell'esprimere il favor per la certezza e la stabilità del nome, con l'evidente intento di salvaguardare l'interesse pubblico alla certezza dello status ed all'agevole individuazione delle persone, al comma terzo, consente "cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome", nei soli casi e con le formalità previste dalla legge ordinaria.


In particolare, si rammenta come la giurisprudenza amministrativa abbia chiarito che la domanda (di cambiamento o aggiunta al nome/cognome) proposta ai sensi dell'art. 89, d.p.r. n. 396/2000, può essere sostenuta anche da intenti soggettivi e atipici, purché meritevoli di tutela e non contrastanti con il pubblico interesse alla stabilità ed alla certezza degli elementi identificativi della persona e del suo status giuridico e sociale (ex plurimis, Cons. St., III, 15 ottobre 2013, n. 5021).

Il diniego ministeriale di autorizzazione al mutamento di nome

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Inoltre, per il Consiglio di Stato, il diniego ministeriale di autorizzazione al mutamento di nome, ai sensi degli artt. 153 e seguenti del R.D. 1238/1939, costituisce provvedimento eminentemente discrezionale, in cui la salvaguardia dell'interesse pubblico alla tendenziale stabilità del nome, connesso ai profili pubblicistici dello stesso come mezzo di identificazione dell'individuo nella comunità sociale, può venire contemperata con gli interessi di coloro che quel nome intendano mutare o modificare nonché di coloro che a quel mutamento intendano opporsi.

Dalla natura discrezionale dell'impugnato provvedimento di diniego discende, come logico corollario, che il sindacato giurisdizionale dello stesso può essere condotto, quanto al vizio intrinseco dello sviamento, sotto il limitato profilo della manifesta irragionevolezza delle argomentazioni amministrative o del difetto di motivazione (cfr. Cons. St., IV, 26 aprile 2006, n. 2320).

Cambiamento del nome: quando l'altro genitore è in disaccordo

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Nel caso di specie, la vicenda inerisce un ulteriore aspetto, essendo stata la richiesta di aggiunta del cognome avanzata da uno solo dei genitori in disaccordo con l'altro. Per il T.A.R. il provvedimento prefettizio di diniego all'aggiunta, al cognome paterno del figlio minore, del cognome della madre, motivato sulla base dell'opposizione del padre, non appare affetto da alcun vizio manifesto.


La richiesta del cambiamento di cognome, in ipotesi di soggetto minorenne, deve necessariamente provenire dai soggetti che ne hanno la rappresentanza legale, quindi, nel caso di specie dagli esercenti la potestà genitoriale.


Qualora vi sia accordo tra i medesimi trovano senza dubbio applicazione i principi affermati dalla Corte Costituzionale nella decisione n. 286/2016 e dunque deve essere, senza dubbio, riconosciuta la possibilità di trasmettere ai figli, e quindi, di aggiungere al cognome paterno, anche il cognome materno.


In caso di disaccordo, invece, tali principi non sono immediatamente applicabili e deve farsi riferimento all'art. 320 c.c., sulla rappresentanza e amministrazione dei beni dei figli, secondo cui i genitori esercitano "congiuntamente" i poteri di rappresentanza dei figli "in tutti gli atti civili".


Per la modifica del cognome del figlio minore, che integra un "atto civile", deve dunque ritenersi imprescindibile il consenso di entrambi i genitori. Va fatta salva l'ipotesi, non ricorrente nel caso in esame, dell'esercizio in via esclusiva della potestà genitoriale e l'altro ne sia dunque stato privato.

Quando l'istanza di cambiamento del nome è presentata da un solo genitore

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Neppure colgono nel segno le doglianze inerenti una violazione della circolare ministeriale n. 15/2008, richiamata in ricorso dalla donna.


Tale provvedimento prevede espressamente la possibilità di presentare l'istanza di cambiamento di cognome per conto del minorenne, ribadendo, pur tuttavia, in armonia con i sopra affermati principi, che la stessa può essere presentata da entrambi i genitori in quanto esercenti la potestà genitoriale, o anche da uno dei due "purché detta istanza sia accompagnata dal consenso dell'altro genitore".


La circolare contempla, quindi, due ipotesi eccezionali in cui l'istanza può essere positivamente valutata dal Prefetto ancorché presentata da uno solo dei due genitori: l'ipotesi di perdita della potestà genitoriale da parte dell'altro, che non ricorre nel caso de quo, e l'ipotesi di istanza motivata sulla base di "peculiari circostanze familiari, adeguatamente comprovate, tali da arrecare pregiudizio o danno al minore" che, con motivazione sul punto esente da vizi di legittimità, il Prefetto non ha ritenuto ravvisabile nella mera circostanza dell'esistenza di una situazione conflittuale tra i genitori del minore.



Scarica pdf T.A.R. Lazio sent. n. 11410/2018

Foto: 123rf.com
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