Dalla messa in stato d'accusa del Parlamento al tribunale dei ministri, breve guida alla riforma dei reati ministeriali

di Luca Passarini - La cronaca delle ultime settimane, nello specifico la vicenda della nave Diciotti, ha posto sotto le luci della ribalta una sezione giudiziaria poco conosciuta: il tribunale dei ministri. Per individuare in maniera chiara e non lacunosa la funzione di questo specifico tribunale è necessario prendere le mosse dalla riforma costituzionale, non proprio recente, che ha sostituito la precedente disciplina (anteriore al 1989) nell'individuazione, accertamento e repressione dei reati ministeriali, ovvero di quei reati compiuti dal Presidente del Consiglio dei Ministri o da un Ministro dell'esecutivo nell'esercizio delle proprie funzioni istituzionali.

Il novellato art. 96 della Costituzione

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L'importanza della materia è sottolineata dalla presenza della stessa in Costituzione che all'art. 96 come novellato nel 1989 afferma: "Il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale".

È necessario focalizzarsi sul termine di giurisdizione ordinaria: è infatti noto che la riforma costituzionale ha sottratto la materia in questione alla precedente messa in stato d'accusa dal Parlamento in seduta comune sulla falsariga del procedimento che si attiva ancora oggi solamente nei confronti del Presidente della Repubblica

nei casi tassativi di alto tradimento e attentato alla Costituzione (art. 90 Cost), affidando la materia dei reati ministeriali appunto alla giurisdizione ordinaria e non più in prima battuta al Parlamento e successivamente di fronte al consesso della Corte Costituzionale in composizione integrata.

La legge di revisione costituzionale

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Rafforzata dalla chiara espressione popolare che si era manifestata già nel referendum abrogativo del 1987 dove il secondo quesito verteva proprio sulla commissione inquirente, la legge costituzionale 1 del 16 gennaio 1989 ha riformato la materia dei procedimenti di accusa, reati ministeriali e processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato, prevedendo la nascita del già citato Tribunale dei ministri che è istituito presso ogni tribunale ordinario del capoluogo del distretto della Corte di Appello.

È allora oggi un collegio di magistrati ordinari, composto da tre membri effettivi e tre supplenti, rinnovabile ogni due anni e prorogabile solo in caso di procedimenti non ancora definiti, la sezione specializzata che ha il compito di ricevere dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto della Corte di appello competente nel territorio gli atti di eventuale imputazione per i reati ministeriali commessi. È la stessa legge costituzionale all'art. 6 a prevedere termini serrati e improrogabili: il Procuratore deve trasmettere gli atti al tribunale entro soli quindici giorni, dandone immediata comunicazione ai soggetti interessati; mentre sarà compito dello stesso tribunale dei ministri entro i novanta giorni successivi disporre l'archiviazione - dopo le necessarie indagini - ovvero ritrasmettere gli atti con relazione motivata al Procuratore della Repubblica per richiedere l'autorizzazione alla Camera di appartenenza (meno garantista dell'abrogata autorizzazione a procedere prevista fino al 1993!) come previsto dall'art. 8 della stessa legge di revisione costituzionale.

Il procedimento

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La richiesta di autorizzazione è rivolta alla camera di appartenenza del ministro inquisito e se lo stesso non è membro del Parlamento, l'autorizzazione sarà data dal Senato dopo una necessaria votazione favorevole a maggioranza assoluta che è disposta entro sessanta giorni e che rappresenta l'approdo di un precedente lavoro della Giunta per le autorizzazioni con il noto compito di riferire all'Assemblea anteriormente al voto.

Concessa l'autorizzazione il procedimento continua secondo le norme vigenti come prevede l'art. 9 della L. Cost. 1/1989 e nella pratica il il giudizio di primo grado spetterà al tribunale ordinario del capoluogo del distretto di corte d'appello competente per territorio. Non più ovviamente al tribunale dei ministri che non partecipa alle ulteriori fasi del procedimento. È quasi scontato sottolineare che la camera di appartenenza può anche pronunciarsi negativamente sulla richiesta di autorizzazione, a maggioranza sempre assoluta, ove sia convinta insindacabilmente che "l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di governo".


Leggi anche:

- Il tribunale dei ministri

- I reati ministeriali

- La giunta per le autorizzazioni a procedere

Luca Passarini

Studente dell'Università di Bologna

lucapassarini19@yahoo.it


Foto: 123rf.com
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