Accusare il legale di falsità dinanzi al consiglio dell'ordine integra il reato di diffamazione, rispetto al quale non opera né il diritto di critica né l'immunità giudiziale

di Valeria Zeppilli - Il cliente che accusa falsamente il proprio avvocato dinanzi al consiglio dell'ordine professionale di appartenenza rischia una condanna per diffamazione.

Per la Corte di cassazione, come emerge dalla sentenza numero 39486/2018 qui sotto allegata, in tal caso sussiste la comunicazione con più persone richiesta dall'articolo 595 del codice penale per la configurazione del reato: il consiglio dell'ordine, infatti, è un organo collettivo composto da più membri, con la conseguenza che il requisito della pluralità di destinatari è soddisfatto dalla semplice circostanza che la missiva accusatoria sia stata indirizzata a tale organo.

Niente diritto di critica

A salvare il cliente che riferisce falsità al consiglio dell'ordine non sopraggiunge neanche il diritto di critica che, come ricordano i giudici, si configura solo nel caso in cui i fatti esposti sono veri o se l'accusatore è convinto in maniera ferma e incolpevole della loro veridicità.

Niente immunità giudiziale

Ma non solo: nel caso di specie non opera neppure la cd. immunità giudiziale. La Corte ha infatti precisato che per potersi applicare la causa di non punibilità di cui all'articolo 598 del codice penale è necessario che l'autore della comunicazione diffamatoria sia parte del procedimento nel quale è chiamato a tutelare un proprio specifico interesse. Tale norma, del resto, tutela il contraddittore che arrechi offesa alle controparte con espressioni che concernono in maniera diretta l'oggetto della controversia e hanno una rilevanza funzionale per le argomentazioni poste a sostegno della propria tesi o per l'accoglimento della domanda.

Chi invece presenta un esposto disciplinare a un ordine professionale non è contraddittore in seno al procedimento e non è legittimato dalla tutela di una sua specifica posizione soggettiva, con la conseguenza che la predetta causa di non punibilità non può essergli applicata.

Corte di cassazione testo sentenza numero 39486/2018
Valeria Zeppilli

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