di Valeria Zeppilli - La domanda congiunta di divorzio avvia un procedimento che non può essere bloccato per il semplice ripensamento di uno dei due coniugi. La revoca del consenso, infatti, non impedisce al tribunale di accertare comunque la sussistenza dei presupposti necessari per lo scioglimento del matrimonio.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione nell'ordinanza numero 19540/2018 (qui sotto allegata), con la quale è stato quindi accolto il ricorso di un uomo rispetto alla sentenza della Corte d'appello di L'Aquila che, a conferma di quanto stabilito dal Tribunale di Pescara, aveva ratificato l'improcedibilità della domanda congiunta di divorzio a fronte della revoca del consenso precedentemente prestato dalla moglie del ricorrente.
Natura ricognitiva dell'accordo
Ribadendo quanto già in precedenza affermato, i giudici hanno in particolare precisato che, rispetto ai presupposti richiesti dalla legge per il divorzio, la domanda congiunta riveste una natura "meramente ricognitiva" e lascia pieni poteri decisionali al tribunale circa la loro effettiva sussistenza. Il ripensamento di uno dei coniugi, quindi, non blocca in alcun modo l'accertamento del giudice.
Natura negoziale dell'accordo
Per quanto riguarda invece la prole e i rapporti economici, l'accordo sotteso alla domanda di divorzio ha valore negoziale e preclude, pertanto, al giudice di entrare nel merito salvo che quanto pattuito sia contrastante con l'interesse dei figli minori.
Anche in questo caso, però, la revoca del consenso da parte di uno solo dei coniugi non produce effetti, posto che ci si trova di fronte non a distinte domande di divorzio o all'adesione di una parte alla domanda dell'altra, ma a una "iniziativa comune e paritetica, rinunciabile soltanto da parte di entrambi i coniugi".
A differenza di quanto previsto per la separazione, insomma, il dietrofront del coniuge non è idoneo a bloccare la procedura di divorzio.
Corte di cassazione testo ordinanza numero 19540/2018• Foto: 123rf.com