Per la Corte Costituzionale anche ai lavoratori autonomi deve essere consentita la sterilizzazione dei contributi dannosi

di Lucia Izzo - Anche ai lavoratori autonomi sarà concesso fruire del c.d. principio di sterilizzazione degli anni contributivi meno favorevoli.


Infatti, ove l'assicurato decida di continuare la propria attività lavorativa pur avendo già conseguito la prescritta anzianità contributiva, i professionisti potranno godere dell'assegno pensionistico più alto in quanto, ai fini della determinazione delle quote di trattamento pensionistico, dovrà essere esclusa dal computo la contribuzione successiva ove comporti un trattamento pensionistico meno favorevole.

Lo ha chiarito la Corte Costituzionale nella sentenza n. 173/2018 (qui sotto allegata), dichiarando costituzionalmente illegittimi l'art. 5, comma 1, della legge 233/1990 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi) e l'articolo 1, comma 18, della legge 335/1995 (Riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare).


In sostanza, i giudici della Consulta hanno confermato l'applicazione, anche nei confronti dei lavoratori autonomi iscritti alle gestioni previdenziali di artigiani e commercianti, del principio di neutralizzazione elaborato dalla stessa Corte costituzionale in riferimento ai lavoratori subordinati (cfr. sentenza n. 307/1989).


La questione di legittimità era stata sollevata dalla Corte d'Appello di Trieste, secondo cui le leggi 233/1990 e 335/1995 avrebbero violato l'articolo 3 della Costituzione: i due testi, secondo il giudice rimettete, avrebbero comportato un'ingiustificata e irragionevole disparità di trattamento con i lavoratori subordinati non prevedendo l'applicazione anche i lavoratori autonomi del principio di "neutralizzazione" dei contributi "dannosi".

Lavoro: anche per gli autonomi vale l'esclusione dei contributi dannosi

I giudici della Corte Costituzionale rammentano come il principio di esclusione dei contributi dannosi sia chiamato ad assolvere la funzione di costituire un limite intrinseco alla discrezionalità del legislatore nella scelta, ad esso riservata, del criterio di individuazione del periodo di riferimento della retribuzione pensionabile. Tale esigenza si configura anche in riferimento al reddito pensionabile, e dunque anche nei confronti del regime previdenziale dei lavoratori autonomi.

Il sistema previdenziale è certamente improntato a logiche di solidarietà e non di mera corrispettività, ma anche per il regime pensionistico dei lavoratori autonomi iscritti all'INPS risulta irragionevole che il versamento di contributi correlati all'attività lavorativa prestata dopo il conseguimento del requisito per accedere alla pensione, anziché assolvere alla funzione fisiologica e naturale di incrementare il trattamento pensionistico, determini il paradossale effetto di ridurre l'entità della prestazione.


La Consulta, dunque, non condivide le argomentazioni addotte dall'INPS che aveva obiettato che il lavoratore autonomo avrebbe potuto accedere al trattamento pensionistico al maturarsi del requisito, per poi continuare l'attività conseguendo supplementi della pensione ovvero la pensione supplementare, ove ne ricorressero le condizioni di legge

Tuttavia, gli assunti dell'Istituto, che fanno leva sulla diversità tra la disciplina previdenziale dei lavoratori subordinati e quello degli autonomi, non risultano idonei a motivare in termini di ragionevolezza l'esclusione dei contributi "dannosi" al solo regime previdenziale del lavoro subordinato, o a quello cosiddetto parasubordinato, in quanto avente struttura contributiva simile a quella propria del lavoro subordinato.

Inoltre, secondo i giudici, tali considerazioni risultano contraddittorie rispetto alle stesse finalità costantemente perseguite dagli interventi normativi adottati per assicurare la sostenibilità finanziaria del sistema pensionistico, volti a favorire il mantenimento in attività di lavoro anche (e soprattutto) per ritardare l'accesso al trattamento pensionistico e il conseguente onere a carico della finanza pubblica.

Ad avviso della Corte, una volta adempiuti i propri obblighi contributivi e conseguiti i requisiti per l'accesso al trattamento pensionistico in ottemperanza alle previsioni normative del sistema di appartenenza, anche nei confronti del lavoratore autonomo la prosecuzione dell'attività lavorativa e della correlata contribuzione dopo la maturazione dei predetti requisiti non può comportare una riduzione del trattamento "virtualmente" conseguito in tale momento.

Pensione autonomi: esclusa dal calcolo i periodi di contribuzione meno favorevoli

Nel caso di specie il lavoratore autonomo che ha optato per la prosecuzione dell'attività lavorativa, anziché accedere al trattamento pensionistico e svolgere successivamente l'attività conseguendo, attraverso l'ulteriore contribuzione, supplementi della pensione o la pensione supplementare, si trova a subire un consistente pregiudizio patrimoniale, qualificabile sia in termini di lucro cessante che di danno emergente.

Ad esempio non percepisce nel frattempo i ratei pensionistici che sono cumulabili con i redditi da lavoro conseguiti successivamente e neppure percepisce, a fronte degli ulteriori contributi versati, alcun incremento della prestazione. Per contro, subisce perfino una diminuzione del quantum determinabile alla data di maturazione dei requisiti per l'accesso al trattamento pensionistico.

Da qui la conclusione circa l'illegittimità delle due leggi nella parte in cui, ai fini della determinazione delle rispettive quote di trattamento pensionistico, nel caso di prosecuzione della contribuzione da parte dell'assicurato lavoratore autonomo che abbia già conseguito la prescritta anzianità contributiva minima, non prevedono l'esclusione dal computo della contribuzione successiva ove comporti un trattamento pensionistico meno favorevole

Corte Costituzionale, sentenza n. 173/2018

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