Per i giudici del Palazzaccio senza garanzia sul capitale le polizze vita sono degli ordinari contratti d'investimento

di Lucia Izzo - Vanno considerati come ordinari contratti di investimento finanziario e non come polizze di assicurazione sulla vita, i prodotti acquistati dal clienti attraverso la società fiduciaria ove manchi la garanzia di conservazione e restituzione del capitale.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nell'ordinanza n. 10333/2018 (qui sotto allegata) che, nel confermare una decisione della Corte d'Appello di Milano, rischia di creare non poche preoccupazioni nel settore delle assicurazioni.

Polizze vita e garanzia capitale

Due clienti avevano convenuto in giudizio una fiduciaria chiedendo in via gradata la nullità della polizza sottoscritta fra le parti, l'annullamento e la risoluzione per inadempimento, con la restituzione dell'importo corrisposto anche a titolo di commissioni versate.

Domanda accolta in sede d'appello in quanto, secondo il giudice, mancando la garanzia della conservazione del capitale alla scadenza e dunque la natura assicurativa del prodotto, il prodotto oggetto dell'intermediazione doveva essere considerato un vero e proprio investimento finanziario da parte di coloro che figuravano come assicurati, i signori, che avevano operato per il tramite della fiduciaria, sicché trovavano applicazione il T.U.F. e i regolamenti Consob.

Decisione che andava a tutela dei consumatori in quanto il rischio sarebbe transitato dall'assicurato all'assicuratore. Inoltre, ha spiegato la Cassazione, una volta assunta quale investitore non la società fiduciaria, ma la persona fisica fiduciante, l'adempimento degli obblighi dell'intermediario finanziario deve essere valutato nei confronti di quest'ultimo, e non nei confronti della società fiduciaria, avuto riguardo alla precipua funzione di rimozione delle asimmetrie informative della disciplina del rapporto fra investitore e intermediario finanziario.

Il giudice di merito, nel caso di specie, ha coerentemente accertato il mancato assolvimento degli obblighi informativi e di comportamento rispetto a operazione finanziaria non adeguata, previsti dal regolamento Consob n. 11522 del 1998, con riferimento alla persona fisica dell'investitore e non alla società fiduciaria.

Ciò implica importanti differenze dal punto di vista delle comunicazioni, visto che l'intermediario è sempre obbligato a fornire (tramite la fiduciaria) informazioni adeguate sulle operazioni, che ne chiariscano modalità, implicazioni e rischi; in mancanza di un'adeguata informativa al cliente si procede alla risoluzione del contratto con l'assicurazione, la restituzione del capitale e il risarcimento danni.

Tale conclusione, secondo gli Ermellini, è conforme alle comunicazioni Consob n. DI/98086703 del 4 novembre 1998 e n. DIN/6022348 del 10 marzo 2006 relative alla possibilità per le società fiduciarie, alle quali è consentita l'attività di amministrazione statica disciplinata dalla legge n. 1966 del 1939, di rendersi intestatarie di contratti di investimento e di contratti di negoziazione e raccolta ordini per conto dei propri fiducianti.

Per il Collegio, ciò che condivisibilmente l'organo di vigilanza ha evidenziato è che l'interposizione delle società fiduciarie è consentita in quanto resti sempre e comunque preservata la diretta riferibilità al cliente-fiduciante della volontà contrattuale e delle connesse tutele.

In particolare, è stato previsto che "il cliente/fiduciante deve essere reso identificabile in modo univoco attraverso l'attribuzione di un codice convenzionale" e che "l'intermediario deve ricevere dalla fiduciaria tutte le informazioni sul cliente previste dall'art. 28, comma 1, lett. a), del reg. Consob n. 11522 (con l'eccezione dei soli nome e cognome)".

A propria volta, sulla scorta dei dati così acquisiti, l'intermediario "deve fornire al cliente, per il tramite della fiduciaria, informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni delle operazioni o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte d'investimento o disinvestimento".

In particolare, la segnalazione dell'eventuale "inadeguatezza" dell'operazione deve essere indirizzata al cliente-fiduciante e, in questo quadro, la qualificazione di "cliente al dettaglio" o "operatore qualificato", classificazione decisiva per il concreto operare delle regole di tutela, la cui piena applicazione è prevista solo con riferimento alla prima categoria, deve essere riferita alla persona del fiduciante quale effettivo investitore, derivandone altrimenti un'elusione della disciplina posta a tutela del "cliente al dettaglio".

Assicurazioni: le reazioni alla pronuncia della Cassazione

La pronuncia rischia di trasformarsi in una vera e propria bomba a orologeria per il sistema assicurativo italiano, in quanto le polizze vita rappresentano uno dei suoi capisaldi a livello di business complessivo: basti pensare come il ramo "vita" veda oltre 100 miliardi di euro annui pagati dai nostri connazionali in premi per le assicurazioni, rispetto ai "soli" 30 miliardi del ramo "danni"

Il rischio che, in mancanza della garanzia alla conservazione del capitale alla scadenza, il prodotto sia considerato un vero e proprio investimento, potrebbe paralizzare le polizze di ramo III (index e unit linked) e avere rilevanti ricadute fiscali: sia in relazione alla tassazione delle plsuvalenze, che nelle polizze unit linked viene effettuata a fine contratto e non annualmente, sia in relazione alle tasse di successione (da cui sono esentate le polizze).

A rassicurare gli operatori ci ha pensato l'ANIA (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici) che ha scongiurato ogni rischio: come si legge in un Comunicato Stampa, "non si rilevano nella pronuncia della Suprema Corte conclusioni che mettano in dubbio la connotazione di prodotto assicurativo con riferimento alle polizze con contenuto finanziario, che peraltro già allora risultavano soggette a precisi obblighi di trasparenza e regole di condotta".

Infatti, secondo il presidente Maria Bianca Farina, "la sentenza della Corte di Cassazione non prende posizione sulla qualificazione dei contratti assicurativi sulla vita ma si riferisce a un caso specifico, caratterizzato dal ruolo assunto da una società fiduciaria"; nel dettaglio "Il caso oggetto del giudizio riguarda, in particolare, errori di trasparenza e di comportamento relativi a un singolo prodotto, commercializzato nel 2006".

D'altronde, ha concluso la nota, da sempre "le normative italiana ed europea identificano come prodotti assicurativi sulla vita polizze con caratteristiche specifiche, indipendentemente dalla garanzia di restituzione del capitale. Le polizze sulla vita sono contraddistinte da garanzie di tipo finanziario e demografico, cioè legate alla vita dell'assicurato (esempio: caso morte e conversione in rendita). Pertanto nessun dubbio può essere espresso sulla natura assicurativa di questi prodotti".

Cassazione ordinanza n. 10333/2018

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