Il contenuto e gli orari dei messaggi inviati sono sufficienti per configurare il reato di molestie a carico dell'ex marito
di Marina Crisafi - Il pressing nei confronti dell'ex moglie con continui sms è reato. Così ha deciso la Cassazione, confermando la condanna per molestie nei confronti di un uomo che non accettando la separazione continuava ad inviare messaggi dal contenuto offensivo e in orari notturni alla propria ex moglie.

Per la prima sezione penale della S.C. (sentenza n. 17442/2018 sotto allegata), correttamente il giudice di merito ha ritenuto integrata la penale responsabilità dell'uomo in ordine alla contravvenzione ex art. 660 c.p. condannandolo a 330 euro di ammenda oltre alle statuizioni civili.

Il tribunale, infatti, ha fondato il giudizio di colpevolezza sulla testimonianza della persona offesa, che aveva dichiarato di aver ricevuto, dall'ex marito, numerosi messaggi telefonici, a contenuto offensivo e minaccioso, confermati anche dalla documentazione acquisita riproducente contenuto degli sms e orari. Tanto basta al Palazzaccio, per ritenere infondate le tesi dell'uomo che lamentava, tra l'altro, la mancata ammissione all'oblazione e l'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato.

Oblazione non ammissibile

Quanto all'oblazione affermano infatti i giudici, l'istituto ex art. 162-bis c.p. richiede la sussistenza di alcuni requisiti di ammissibilità (il titolo del reato, il pagamento della metà del massimo edittale, le condizioni soggettive ed oggettive) e la positiva valutazione, discrezionale, del giudice in ordine alla entità del fatto. Nel caso di specie, a fronte dell'ordinanza di rigetto per gravità del fatto, l'imputato non ha proposto alcuna specifica motivazione, limitandosi "a proporre una propria, e alternativa, valutazione dell'entità del fatto, contestando non la motivazione del rigetto, bensì il contenuto stesso della decisione".

Reato di molestie

In ordine, invece, all'erroneità nell'aver ritenuta la sussistenza del fatto, pur in assenza di pericolo per l'ordine pubblico, ricordano gli Ermellini che "la fattispecie di cui all'art. 660 cod. pen. è reato cd. plurioffensivo, in quanto tutela la pubblica tranquillità dai negativi riflessi che possono derivare dalle offese alla quiete della singola persona". Nella specie, la sentenza impugnata ha dato atto del turbamento patito dalla persona offesa

per il carattere ambiguo delle comunicazioni dell'imputato, evidenziando altresì che quelle comunicazioni avevano interferito "sgradevolmente nella sfera privata della persona offesa, comprensibilmente privata della possibilità di vivere una quotidianità serena, attesa l'invadenza e l'intromissione continua da parte dell'ex coniuge".

Infine, in ordine all'elemento soggettivo del reato, dall'esposizione dei fatti, emerge "coerenza piena tra il contenuto dei messaggi, gravemente offensivi, e la reazione di turbamento provata dalla persona offesa".

Per cui, la consapevolezza e volontà dell'imputato di recare disturbo è provata "dalla condotta stessa posta in essere, dalle caratteristiche che chiaramente rivelano una volontà finalizzata a creare disturbo al destinatario dei messaggi". Il ricorso è quindi respinto e l'uomo condannato al pagamento delle spese processuali.

Cassazione sentenza n. 17442/2018

Foto: 123rf.com
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: