Per la Cassazione il Fisco non deve motivare il ricorso a indagini sul conto corrente stante la presunzione legale ex art. 32, d.P.R. n. 600/1973

di Lucia Izzo - L'Agenzia delle Entrate potrà procedere agli accertamenti bancari sul conto corrente del professionista anche in assenza di gravi indizi di evasione fiscale e neppure il Fisco avrà l'obbligo di motivare in relazione alle indagini svolte dalla Guardia di Finanza sui movimenti sospetti.

Lo ha precisato la Corte di Cassazione, V sezione civile, nell'ordinanza n. 8266/2018 (qui sotto allegata) accogliendo il ricorso dell'Agenzia delle Entrate e respingendo quello incidentale di un professionista.

La vicenda

Nei confronti di quest'ultimo erano stati emessi avvisi di accertamento con cui l'Ufficio finanziario recuperava a tassazione una serie di movimenti (versamenti e prelevamenti), effettuati sul conto corrente intestato al contribuente e considerati "compensi" da questi conseguiti per l'attività professionale di ingegnere e avvocato da lui svolta


Gli accertamenti per giungere a tali provvedimenti si erano basati, ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973, sulla verifica dei conti correnti accesi dal contribuente.


La norma, infatti, stabilisce che, in relazione ai rapporti e alle operazioni (anche) bancarie, "sono altresì posti come ricavi o compensi a base delle stesse rettifiche ed accertamenti, se il contribuente non ne indica il soggetto beneficiario e sempreché non risultino dalle scritture contabili, i prelevamenti o gli importi riscossi nell'ambito dei predetti rapporti od operazioni".

Sul punto, la CTR ha accolto parzialmente le istanze del contribuente sul rilievo della mancanza di retroattività dell'art. 1, comma 402, della legge n. 311/2004 (che non sarebbe stata applicabile al 2004), mentre per il 2005, avendo il contribuente giustificato alcuni prelevamenti dimostrando che non erano a fini reddituali, il Fisco avrebbe dovuto rideterminare il ricavo accertato.

Fisco: non vanno giustificate le indagini bancarie sui conti del professionista

In Cassazione ricorre in via incidentale il contribuente, denunciando come la procedura di cui alla legge n. 311/2004, in combinato disposto con l'art. 32 del d.P.R. citato, sia legittima solo in presenza di indizi gravi, precisi e concordanti di maggiori redditi non dichiarati, mancanti nel caso in esame.

Il Collegio, respingendo il ricorso, afferma espressamente che l'Agenzia non ha l'obbligo di motivare la ragione per la quale ricorre alle indagini bancarie, né il loro svolgimento presuppone elementi indiziari gravi, precisi e concordanti di evasione fiscale.

Infatti, l'art. 32, del d.P.R. n. 600 del 1973 prevede una presunzione legale in base alla quale le operazioni su conti correnti bancari vanno imputate a ricavi e a fronte della quale il contribuente, in mancanza di espresso divieto normativo e per il principio di libertà dei mezzi di prova, potrà fornire la prova contraria anche attraverso presunzioni semplici.

Queste andranno, comunque, sottoposte ad attenta verifica da parte del giudice, il quale sarà tenuto ad individuare analiticamente i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio (purché grave, preciso e concordante) ai movimenti bancari contestati, il cui significato dovrà essere apprezzato nei tempi, nell'ammontare e nel contesto complessivo, senza ricorrere ad affermazioni apodittiche, generiche, sommarie o cumulative.

Fisco: la presunzione legale vale solo per i versamenti sul conto corrente

Favorevole, invece, l'esito del ricorso promosso dall'Agenzia delle Entrate che contesta la decisione laddove ha ritenuto le modifiche apportate dalla legge n. 311/2004 non applicabili anche per il 2004, mentre avrebbe dovuto confermarle almeno nella parte relativa ai versamenti.


Nonostante la presenza di voci dissenzienti sul punto (per approfondimenti: Avvocati e professionisti: addio a indagini sul conto corrente) l'ordinanza conferma l'indirizzo giurisprudenziale ritenuto prevalente.


In sostanza, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, "l'utilizzazione dei poteri previsti dall'art. 18 della legge 30 dicembre 1991, n. 413 (che, sostituendo l'art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ha consentito all'Ufficio ed alla Guardia di Finanza di accedere ai conti intrattenuti dal contribuente con aziende di credito e con l'amministrazione postale) anche in riferimento ad annualità precedenti alla sua entrata in vigore non configura un'applicazione retroattiva della disposizione in esame, in quanto non comporta una modificazione sostanziale della posizione soggettiva del contribuente, i cui obblighi nei confronti del fisco restano quelli separatamente contemplati dalle leggi in vigore al tempo della dichiarazione".


Sul punto è da evidenziare l'importante intervento della Corte Costituzionale (sent. n. 228/2014) che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 32, comma 1, cit. limitatamente alle parole "o compensi" ritenendo, in tal caso, che la presunzione fosse "lesiva del principio di ragionevolezza nonché della capacità contributiva".


Per la Corte Costituzionale, infatti, sarebbe stato arbitrario ipotizzare che i prelievi ingiustificati dal conto corrente bancario effettuati dal lavoratore autonomo fossero destinati a investimenti nell'ambito della propria attività professionale e che questo fosse a sua volta fosse produttivo di un reddito.


Quindi, se da un lato è definitivamente venuta meno la presunzione di imputazione dei prelevamenti operati sui conti correnti bancari ai ricavi conseguiti nella propria attività dal lavoratore autonomo o dal professionista intellettuale, diverso è il discorso riguardante i versamenti che, invece, "hanno efficacia presuntiva di maggiore disponibilità reddituale nei confronti di tutti i contribuenti".

Tale presunzione è "superabile solo da prova contraria fornita dal contribuente che dovrà dimostrare di averne tenuto conto ai fini della determinazione del reddito soggetto a imposta o che questi non hanno rilevanza allo stesso fine" (per approfondimenti: Avvocati e professionisti: i versamenti sul conto corrente vanno giustificati).

Nel caso di specie, con riferimento ai versamenti sui conti correnti del contribuente relativi all'anno 2004, sarebbe stato onere dello stesso dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non fossero riferibili ad operazioni imponibili.


Il ricorso dell'Agenzia merita, dunque, accoglimento limitatamente alla legittimità dell'accertamento relativo ai versamenti accertati nel corso del 2004.

Cass., V civ., ord. n. 8266/2018

Foto: 123rf.com
Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: