La Corte ricorda che non c'è nessuna pregiudizialità tra procedimento civile di divorzio e quello ecclesiastico. Il cattolico praticante perciò non evita la sentenza e l'assegno di mantenimento

di Lucia Izzo - Non sussiste alcuna pregiudizialità tra il giudizio di nullità del matrimonio concordatario e quello avente a oggetto la cessazione degli effetti civili del matrimonio: trattasi di procedimenti autonomi, con finalità e presupposti differenti.

Pertanto, il coniuge, cattolico praticante, non potrà invocare il diritto a sottoporre al solo Tribunale rotale la questione riguardante lo scioglimento delle sue nozze.

La vicenda

Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sesta sezione civile, nell'ordinanza n. 5670/2018 (qui sotto allegata) respingendo il ricorso di un uomo.

Il Tribunale aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio e posto a carico dell'uomo un assegno mensile di mantenimento nei confronti dell'ex moglie, pari a 800 euro. La decisione, nonostante l'impugnazione da parte dell'onerato, veniva confermata dalla Corte d'Appello.

Divorzio e nullità matrimonio concordatario sono procedimenti autonomi

Anche il ricorso per Cassazione si risolve in un nulla di fatto e sul punto viene richiamato l'insegnamento già consolidatosi nella giurisprudenza di legittimità.

Gli Ermellini, infatti, ricordano che "il motivo di ricorso per cassazione

con il quale si denunzi la violazione del diritto del coniuge, quale cattolico praticante, a sottoporre esclusivamente al tribunale rotale fa questione dello scioglimento del suo matrimonio, è inammissibile, atteso che nell'ordinamento giuridico italiano non sussiste alcun diritto di tal fatta".

Neppure, prosegue la sentenza, sussiste alcun rapporto di pregiudizialità tra il giudizio di nullità del matrimonio concordatario e quello avente ad oggetto la cessazione degli effetti civili dello stesso, trattandosi di procedimenti autonomi, sfocianti in decisioni di natura diversa e aventi finalità e presupposti distinti.

Il ricorso dell'uomo, pertanto, va dichiarato inammissibile.

Cass., VI civ., ord. n. 5670/2018

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