Per la Cassazione va condannato per tentata frode in commercio il ristoratore che non indica la presenza di alimenti surgelati nel menu

di Marina Crisafi - Non indicare nel menu che il pesce non è fresco ma surgelato può costare caro al ristoratore. Il menu infatti, una volta consegnato ai clienti o anche semplicemente sistemato sui tavoli di un locale, equivale ad una proposta contrattuale nei confronti dei clienti. E non indicare la mera disponibilità di alimenti surgelati, configura il tentativo di frode in commercio. Così ha stabilito la terza sezione penale della Cassazione (con sentenza n. 4735/2018 sotto allegata), confermando la condanna nei confronti di un ristoratore per il reato tentato di cui all'art. 515 c.p.

La vicenda

L'uomo adiva la Cassazione, chiedendo l'annullamento della sentenza d'appello che lo aveva condannato alla pena sospesa di 400 euro di multa, per il reato di cui all'art. 515 cod.pen. perché, quale legale rappresentante della società proprietaria di un ristorante, deteneva per la vendita esclusivamente pesce congelato e compiva atti idonei alla somministrazione agli avventori dell'esercizio commerciale di ristorazione prodotti ittici surgelati in luogo di quelli freschi indicati nel menù.

A detta dell'imputato, la Corte d'appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente l'ipotesi di reato di tentativo di frode in commercio dalla mera esposizione di immagini ritraenti pietanze dalla quali non si potrebbe dedurre, in assenza di apposita lista, se i prodotti fossero freschi o surgelati, nè ricavarne l'indicazione della natura dei prodotti impiegati nella sua preparazione. In sostanza, l'immagine pubblicitaria delle pietanze aveva solo valenza "dimostrativa della presentazione del piatto" mentre "è solo con l'inserimento nella lista data agli avventori o posizionata sul tavolo che si manifesta intenzione

del ristoratore ad offrire quei prodotti". Da qui l'insussistenza del reato contestato.

Frode in commercio: l'immagine può bastare

Per gli Ermellini, tuttavia, il ricorso è manifestamento infondato e dunque inammissibile. Secondo l'indirizzo ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità, ricordano infatti da piazza Cavour, "il tentativo del reato di cui all'art. 515 cod.pen. è configurato e si verifica quando l'alienante compie atti idonei diretti in modo non equivoco a consegnare all'acquirente una cosa per un'altra ovvero una cosa, per origine, qualità o quantità diversa da quella pattuita o dichiarata". Di conseguenza, "costituisce il tentativo del delitto di frode in commercio anche il semplice fatto di non indicare nella lista delle vivande che determinati prodotti sono congelati, giacché il ristoratore ha l'obbligo di dichiarare la qualità della merce offerta ai consumatori". In merito, danno atto dal Palazzaccio, è stato superato il contrasto interpretativo presente in giurisprudenza sulla configurabilità del tentativo di frode in commercio, per cui secondo indirizzo ormai consolidato, "se il prodotto viene esposto sui banchi dell'esercizio o comunque offerto al pubblico, la condotta posta in essere dall'esercente l'attività commerciale è idonea ad integrare il tentativo perché dimostra l'intenzione di vendere proprio quel prodotto".

Inoltre, il menu, o la lista delle vivande, "consegnata agli avventori o sistemata sui tavoli di un ristorante equivale ad una proposta contrattuale nei confronti dei potenziali clienti e manifesta l'intenzione del ristoratore di offrire i prodotti indicati nella lista". Quindi, "anche la mera disponibilità di alimenti surgelati, non indicati come tali nel menu, nella cucina di un ristorante, configura il tentativo di frode in commercio, indipendentemente dall'inizio di una concreta contrattazione con il singolo avventore".

In sostanza, i giudici del merito hanno congruamente motivato la responsabilità penale del ricorrente, atteso peraltro che all'interno dell'esercizio commerciale erano presenti esclusivamente provviste congelate. Infine, quanto alle modalità di rappresentazione dell'offerta dei prodotti, concludono dalla S.C., "anche l'esposizione di immagini del prodotto offerto, in luogo della sua descrizione nel menù, è idonea a configurare la condotta di reato, stante la natura diretta a incentivare la consumazione del prodotto".

Cassazione, sentenza n. 4735/2018

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