I casi giudiziari degli avvocati indagati o condannati per corruzione nel 2017. Un avvocato corrotto lede l'immagine del ceto forense: lo dice il Consiglio Nazionale Forense

di Annamaria Villafrate - Tanti gli avvocati indagati o condannati per corruzione nel 2017. La triste realtà italiana di legali corrotti e corruttori ha riempito le cronache dell'anno. Tale condotta lede l'immagine dell'intero ceto forense. Lo ha affermato il Consiglio Nazionale Forense (con la sentenza n. 74/2017 sotto allegata) esprimendosi sul caso di un avvocato faccendiere, condannato con la sanzione disciplinare della radiazione.

Avvocati corrotti: i casi giudiziari del 2017

Nel luglio 2017 scoppia un enorme scandalo. Si scopre che alcuni dipendenti corrotti della Conservatoria di Santa Maria Capua Vetere intascano i proventi delle certificazioni rilasciate, senza far pagare le imposte di bollo ai richiedenti. Tra i beneficiari dello "sgravio fiscale" anche alcuni avvocati.

Sempre in estate il Tribunale di Bari condanna undici persone per la commissione di diversi illeciti penali, tra cui il reato di corruzione. L'accusa? Aver truccato l'esame di abilitazione per la professione forense. Tra i condannati anche un avvocato.

A ottobre 2017 un avvocato del foro di Santa Maria Capua Vetere viene sottoposto a misura cautelare. Gli vengono contestati i reati di corruzione, corruzione giudiziaria e distruzione di atti giudiziari. Dalle indagini emerge che il legale, su richiesta di un pluripregiudicato, avrebbe elargito somme di denaro ad un ausiliario di cancelleria del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, per fargli sottrarre il fascicolo di un condannato, al fine di evitargli il carcere. Il fascicolo viene incendiato, ma l'intervento dei Finanzieri ne impedisce la distruzione completa.

Avvocato condannato per corruzione incompatibile con la professione forense

In materia si è espresso anche il Consiglio Nazionale Forense, pronunciandosi su una vicenda relativa ad un "avvocato faccendiere".

La vicenda

Nel 2007 un avvocato viene condannato per il reato di corruzione attiva in atti giudiziari

. La sentenza passa in giudicato e il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Roma apre un procedimento, che si conclude con la sanzione disciplinare della radiazione. L'avvocato si oppone, ma il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza n. 74/2017 rigetta il ricorso: la gravità del reato e l'eco mediatica che ne è derivata rendono l'avvocato incompatibile con il giuramento e l'impegno solenne previsto dall'art. 8 della legge 247/2012.

La decisione del Cnf

Ecco i passaggi più significativi della sentenza: "L'apporto, accertato irrevocabilmente - dall'avvocato - al gravissimo episodio corruttivo che ha avuto un amplissimo eco mediatico ed è entrato nella storia della Repubblica quale esempio paradigmatico di corruttela a vari livelli, non può che portare all'applicazione della sanzione disciplinare più grave secondo quanto deciso dal C.O.A di Roma. L'apprezzamento del disvalore della condotta dell'Avv. deve essere fatta tenendo conto dei comportamenti dell'incolpato gravissimamente lesivi dei precetti deontologici, il cui rispetto deve presiedere il comportamento dell'avvocato, dall'eccezionale clamore mediatico suscitato dalla vicenda, del danno arrecato alla immagine ed alla dignità dell'intero ceto forense, della reiterazione degli episodi in un rilevante arco temporale e dell'allarme sociale determinato dal professionista con la sua condotta. Tutti tali elementi giustificano la scelta della radiazione quale sanzione adeguata per la violazione dei principi di lealtà, probità, dignità, decoro e diligenza".

Ancorché l'episodio non abbia portato, in virtù dell'applicazione della prescrizione, ad alcuna conseguenza sul piano disciplinare pur tuttavia il relativo processo penale, "che costituisce una macchia per il professionista sul piano personale-professionale - scrive il Cnf - si è inserito in un quadro di riferimento dal quale emerge la figura di un avvocato incline a violare anche la legge penale traendo origine ed occasione di comportamenti illeciti proprio dal ruolo svolto nel contesto della giurisdizione". Prescindendo dunque dalle suesposte considerazioni "l'enorme gravità del reato accertato nella fattispecie, la spiccata intensità del dolo, la propensione a delinquere di chi, dopo aver effettuato un giuramento, abbia venduto la propria professionalità, indipendenza e correttezza costituiscono elementi insuperabili tali da inibire ogni disquisizione favorevole".

Cnf, sentenza n. 74/2017

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