Cass. 18392 del 26 luglio 2017 pone a carico del paziente la causa oscura
di Paolo M. Storani - Pur in rapporto alle censure rivolte con l'impugnazione, Cass. 18392 del 26 luglio 2017, Pres. Travaglino, Est. Scoditti, in tema di sottosistema della responsabilità civile di tipo medico-sanitario, stimola qualche riflessione (critica) in ordine all'allocazione del rischio di un'emorragia insorta sì con l'intervento chirurgico, ma con l'incertezza che il successivo arresto cardiaco sia dipeso dall'operato, inadempiente od impreciso, dei sanitari della struttura sanitaria.

Un passo all'inizio di pag. 7 lascia perplessi: "se, al termine dell'istruttoria, resti incerta la reale causa del danno, le conseguenze sfavorevoli in termini di onere della prova gravano quindi sull'attore".

Il giudice di merito aveva accertato che è rimasta "oscura la ragione dell'arresto cardiaco".

1. Il problema dell'onere della prova

La ripartizione dell'onere probatorio in sede civile tra attore e convenuto nelle azioni di risarcimento dei danni scaturenti da malpractice sanitaria equivale a stabilire in mano a chi debba rimanere il cerino acceso.
Non pare che gli Ermellini di Piazza Cavour abbiano fatto buon uso dei criteri che sovrintendono la materia.
L'allegazione di un inadempimento qualificato esaurisce la problematica attorno al nesso di causalità, vale a dire a quel rapporto causa-effetto che deve costituire il link di collegamento tra patologia lamentata e prestazione inesatta o addirittura inadempiuta.

Oltretutto, in ambito probabilistico anche la maggioranza relativa ha un suo rilievo mentre si deve dare risposta al quesito se l'emorragia insorta con l'intervento sia causa dubbia dell'arresto del cuore.

2. La prova certa del nesso causale probabile

Non è un gioco di parole, ma sono concetti dirimenti nel caso di specie: non dobbiamo mai fare confusione mentale fra la necessità di una prova certa dell'esistenza di un nesso di causalità probabile, che è carico del paziente, con l'esigenza di provare con certezza il nesso causale, che non è assolutamente necessario e richiesto nella fattispecie concreta decisa in modo macchinoso da Cass. 18392/2017.
Infatti, in concreto che cosa avrebbe dovuto fare l'attore, forse stanziare un milione di euro per dotarsi di un parere pro-veritate di un consesso di scienziati nordamericani in ordine alla fattispecie interessata dalle vicende procedimentali? Con quali fondi?
I codici ed i processi sono destinati alle persone di questa terra e non ai marziani o ai venusiani.

3. La regola della vicinanza della prova per temperare il rigore dell'onus probandi incumbit ei qui dicit

Il terreno è scivoloso, ma bisogna stare in piedi.
Alla distribuzione cronologica dell'onere della prova sostenuto nella pronuncia della Cassazione sfugge che la regola della vicinanza della prova rappresenta un ancor validissimo ausilio per uscire dalle secche dell'incertezza e del dubbio e per aggirare le rigidità di sistema ed i sofismi connessi ad un'esasperata applicazione della regola dell'onus probandi incumbit ei qui dicit, come quello dedotto in lite. E tale criterio porta il pendolo dalla parte del paziente.

4. Il paradosso dell'asserita parità di forze tra assistito e struttura: uno stallo sull'accertamento del nesso causale da cui uscire

A tacer del non perfetto allestimento del ricorso per cassazione che traspare sin dalle prime righe nelle espressioni della S.C., il caso medico legale concreto ben si prestava a ritenere predicabile e sussistente un probabile (non certo, s'intenda) nesso di causalità in modo da evitare di sostenere, come fa la Cassazione, il paradossale equilibrio in ordine alle dimostrazioni da offrire, poste, nel tortuoso circuito dei cicli causali che si legge in motivazione, sullo stesso piano tra la fragilità del malato e la potenza di mezzi della struttura sanitaria.
Oltretutto, la Cassazione annovera tra i fatti costitutivi che l'attore deve provare la eziologia dell'evento: ciò non appare condivisibile.
Il principio da applicare consiste in ciò: se la morte dell'assistito sia verosimilmente riconducibile a più fattori dotati di pari efficacia eziologica, fra cui compaia anche la (dubbia) condotta negligente del sanitario, e non sia possibile stabilire quale fra detti fattori abbia effettivamente scatenato l'evento, la situazione di stallo in ordine al nesso di causalità va risolta in base alle regole sul riparto degli oneri.
Ne scaturisce che l'incertezza graverà sul debitore convenuto che sarà ritenuto responsabile ove non abbia provato che il proprio inadempimento o inesatto adempimento non ha provocato il decesso.
Superato l'apparente... insuperabile problema del nesso causale, il giudice andrà poi ad indagare e valutare l'elemento soggettivo dell'illecito, vale a dire la sussistenza della colpa o del dolo dell'agente sanitario, con la criteriologia in vigore, Legge Balduzzi o Legge Gelli-Bianco che dir si voglia.

Paolo Maria Storani

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