Gli strumenti di tutela del contribuente nella fase della riscossione coattiva alla luce dei principi del giusto processo esecutivo

Avv. Giampaolo Morini - Allo stato attuale, bisogna prendere atto di una situazione gravemente deficitaria del sistema di tutela del contribuente nella fase esecutiva, che, pur rappresentando una costante del nostro ordinamento, non sembra più tollerabile alla luce dell'evoluzione dei livelli di garanzia del cittadino nei confronti dell'illegittimo esercizio di pubblici poteri, anche nella materia tributaria.

Nell'attuale dimensione della riscossione tributaria, il concessionario è investito di una pubblica funzione, che va oltre il recupero forzoso del credito e finisce per presentare rilevanza esterna, ponendosi in diretto contatto con posizioni soggettive costituzionalmente riconosciute e, come tali, meritevoli di tutela.

In particolare il controllo del corretto bilanciamento tra esigenze della riscossione e rispetto dei diritti dell'esecutato non può rimettersi ad un intervento amministrativo, prevedibilmente condizionato dalle necessità di garantire il gettito, ma deve attribuirsi ad un organo terzo e indipendente dalla cura dei diritti ed interessi coinvolti.

Il sistema di tutela dei diritti dell'esecutato

Deve, quindi, affermarsi la centralità di un adeguato sistema di tutela dei diritti dell'esecutato, tale da consentire la verifica del corretto uso dei poteri discrezionali concessi dalla legge per la tutela del credito tributario, senza pregiudicare la dovuta rigorosità del sistema.

Nel ricercare un giusto equilibrio tra esigenze della riscossione e garanzia dei diritti dell'esecutato, un significativo contributo può derivare dall'evoluzione della tutela giurisdizionale disegnata, a livello costituzionale, mediante l'affermazione del principio del "giusto processo" da parte della Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, che ha riformato il disposto dell'art. 111 della Costituzione. L'importanza di tale principio, proprio di tutte la forme di tutela giurisdizionale è stata ripetutamente sottolineata dalla dottrina, che non ha mancato di rilevarne l'impatto sulla disciplina del processo tributario[1].

La centralità del principio non è stata, invece, messa adeguatamente in evidenza con riferimento alla fase dell'esecuzione tributaria, trascurandosi, sotto questo aspetto, la altrettanto significativa rilevanza di controversie aventi ad oggetto il buon uso della discrezionalità amministrativa nella fase della riscossione e nel suo impatto con i diritti dell'esecutato.

La dottrina processualcivilistica non ha mancato di porre in adeguata evidenza l'importanza di estendere alla fase della tutela nell'esecuzione forzata il principio del giusto processo[2], parlando di discendenza costituzionale di un principio del "giusto processo esecutivo", che condiziona non soltanto l'interpretazione delle disposizioni legislative che pongano dei limiti alla tutela dell'esecutato, ma addirittura ne impone la disapplicazione in tutti i casi in cui il privilegio processuale attribuito al creditore procedente risulti ingiustificato in un corretto bilanciamento degli interessi coinvolti.

La natura pubblica del credito condiziona l'approccio alla disciplina della tutela esecutiva e motiva un sistema differenziato che tende a privilegiare la posizione del creditore e ad impedire che l'azione di controllo sia finalizzata esclusivamente a dilazionare il soddisfacimento del credito fiscale.

La rigorosità del sistema di riscossione deve tuttavia accompagnarsi, un sistema di controlli non meramente nominale, ma tale da garantire la tutela di quelle posizioni realmente meritevoli di considerazione, il cui sacrificio, pur in presenza di un non contestato spessore pubblico del credito in esecuzione, si dimostra ingiusto.

Il principio del giusto processo esecutivo

Il principio del giusto processo esecutivo non può ridursi nella sua portata soltanto alla verifica giurisdizionale dei diritti dell'esecutato da attribuirsi, come visto, al giudice speciale tributario, in quanto dalla nuova dimensione costituzionale del processo sembrano derivare interessanti spunti per risolvere l'altrettanto delicato tema relativo alla tutela del contribuente nella fase preliminare all'esecuzione ed in particolare nella fase del bilanciamento tra poteri esecutivi dell'agente della riscossione e diritti dell'esecutato.

Il tema concerne, specificamente, le modalità di garanzia della proporzionalità dei mezzi di esecuzione e di conservazione della garanzia patrimoniale adottati dall'agente della riscossione rispetto alle effettive esigenze di tutela del credito portato ad esecuzione.

Gli aspetti problematici derivanti dalla disciplina vigente si collegano agli abusi che in più occasioni sono stati riscontrati per effetto dell'utilizzo degli istituti del fermo amministrativo di beni mobili registrati e dell'ipoteca fiscale, di cui si sono in precedenza illustrate le caratteristiche, più che come strumenti finalizzati a garantire l'effettività della riscossione coattiva, quali mezzi di coazione di un adempimento spontaneo del contribuente, spesso in violazione della generale regola del concorso dei creditori. L'adozione di tali mezzi di coazione e la pubblicità data agli stessi per effetto delle modalità di esecuzione hanno finito per rendere irreversibili situazioni di temporanea crisi finanziaria o provocare perdita di credito di attività produttive con rilevanti conseguenze anche sul versante occupazionale, ponendo il problema circa l'esistenza di una regola generale di prudenza che l'agente della riscossione dovrebbe considerare prima di avviare l'adozione di tali mezzi di tutela del credito[3].

L'art. 10 dello Statuto del contribuente

Anche in tal caso, per risolvere il problema, interviene la regola del giusto processo esecutivo, che, però, viene a combinarsi con quella prevista dall'art. 10 dello Statuto, che fonda sulla buona fede i rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria[4]. Orbene, l'utilizzo "di massa" degli strumenti di tutela del credito tributario, ottenuto senza un preventivo apprezzamento dell'opportunità del ricorso preventivo ad altri strumenti meno invasivi della sfera patrimoniale e personale del debitore potrebbe dar luogo ad una situazione di patologia dell'atto, che dimostrerebbe un uso non corretto dei poteri attribuiti dalla legge all'agente della riscossione[5].

In definitiva, se i mezzi di conservazione della garanzia nella scelta legislativa si presentano strumentalmente preordinati all'espropriazione, salvaguardando il bene da assoggettare ad esecuzione forzata da possibili dispersioni dirette a mortificare la responsabilità patrimoniale del debitore, il ricorso a tali strumenti in presenza di un comportamento del contribuente che non lascia presagire una intenzione di sottrarsi al pagamento del tributo costituisce una violazione della regola della buona fede, ma anche una distorsione nell'uso di strumenti preordinati all'espropriazione, vietata da una lettura costituzionalmente orientata del sistema della riscossione coattiva tributaria.

Le considerazioni appena fatte non sembrano messi in discussione dalla previsione, nella disciplina dell'ipoteca fiscale, di specifici limiti minimi al di sotto dei quali l'agente della riscossione non può procedere all'iscrizione, in quanto in tal caso la legge ha voluto semplicemente porre un limite quantitativo del carico tributario idoneo a giustificare una misura conservativa di significativo impatto, ma non certo distorcere la finalità dell'istituto che deve ritenersi comunque preordinato ad una esecuzione forzata e non certo ad una coazione della volontà del debitore.

Per quanto riguarda il tema delle conseguenze dell'illegittimità dell'adozione di mezzi di tutela esecutiva del credito tributario in difetto dei presupposti dello stesso, oltre che in presenza di un credito non azionabile o già estinto, si pone il problema di stabilire se dalla violazione delle norme sulla buona fede in sede esecutiva discenda l'inefficacia dell'atto posto in essere oppure soltanto una responsabilità aquiliana dell'agente.

L'indagine deve peraltro limitarsi a quelle situazioni di illegittimità che non attengono al fondamento legale del titolo esecutivo, cioè alla conformità alla legge della pretesa tributaria azionata, idonee a condizionare l'efficacia del titolo esecutivo e a generare responsabilità del titolare del credito tributario, bensì alle situazioni di patologia discendenti dal comportamento dell'agente della riscossione e che si risolvono nella violazione delle norme disciplinanti l'esecuzione forzata tributaria.

In tal caso l'atto riferibile all'agente della riscossione può risultare non corrispondente al modulo legale, in quanto adottato in difetto dei presupposti legali, ma anche dar luogo ad un danno ingiusto nei confronti dell'esecutato.

Ci si chiede, in tal caso, se la rimozione dell'atto illegittimo rappresenti la forma finale di restaurazione dell'ordinamento violato oppure se tale reazione sia individuabile nella sola via risarcitoria.

La corretta ponderazione dei valori sottostanti alla rigorosità dell'esecuzione ed alla garanzia dei diritti dell'esecutato impone la coesistenza di entrambe le forme di tutela dell'ordinamento, dovendosi ritenere che dalla violazione delle norme che disciplinano la riscossione coattiva discenda non soltanto l'inefficacia dell'atto, conseguente alla non conformità dello stesso al modulo legale, ma anche una situazione di responsabilità che impone il risarcimento degli eventuali danni ingiusti arrecati all'esecutato o al terzo.

Un diverso ragionamento porterebbe ad affermare la prevalenza, nella materia tributaria, del potere pubblico pur privo di base legale, che potrebbe giungere al sacrificio dei diritti dell'amministrato pur in violazione di una previsione normativa, in piena contraddizione non soltanto con il principio di legalità dell'azione amministrativa, costituzionalmente sancito dall'art. 97, ma anche con le basi fondanti dello Stato di diritto.

Da ciò la necessità, in presenza di una esecuzione forzata illegittima, di unire al rimedio demolitorio, proprio del sindacato sulla legittimità dell'atto di esecuzione, quello risarcitorio, diretto alla restaurazione patrimoniale dell'esecutato.

Tale ultimo rilievo ci porta ad esaminare il tema conclusivo del presente lavoro, cioè quello relativo alle forme di tutela risarcitoria che l'ordinamento appresta in presenza di una esecuzione tributaria illegittima.



[1] Su cui v. MANZON, Processo tributario e Costituzione. A. FANTOZZI, La prospettiva tributaria, in AA.VV., Nuove forme di tutela delle situazioni soggettive nelle esperienze processuali. Profili pubblicistici, Milano, 2004, 173 ss.; F. TESAURO, Giusto processo e processo tributario, in Rass. trib., 2006, 11 ss.; F. GALLO, Quale modello processuale per il processo tributario, in Rass. trib., 2011, 11 ss. Un aspetto che meriterebbe un'indagine più approfondita è la mancanza di norme sul processo tributario nell'ambito dello Statuto dei diritti del contribuente, che, pur dedicando alla dinamica attuativa della norma tributaria regole dotate di rilevante efficacia precettiva, sorvola sulla dimensione contenziosa del rapporto tributario. Eppure alcune previsioni della legge n. 212/2000 ben si prestavano ad una estensione alla materia processuale, si pensi all'istituto della "Rimessione in termini" di cui all'art. 9, che avrebbe potuto rappresentare una idonea forma di contemperamento delle esigenze di speditezza del processo tributario, alla base delle decadenze comminate dalla disciplina processuale tributaria, con quelle di giustizia sostanziale cui deve rispondere, in ultima analisi, la regolamentazione della tutela giurisdizionale in materia tributaria.

[2] Sull'applicabilità al processo esecutivo dei principi del "giusto processo", in dottrina, v. G. TARZIA, Il giusto processo di esecuzione, in Riv. dir. proc., 2002, 339 ss.; G. ARIETA, F. DE SANTIS, L'esecuzione forzata, III, tomo II, in Trattato di diritto processuale civile, a cura di L. Montesano e G. Arieta, Padova, 2007, 411. Nella giurisprudenza di legittimità, v. Cass. 19 agosto 2003, n. 12122, secondo cui il principio del contraddittorio deve essere soddisfatto in ogni fase processuale, quindi anche nel processo esecutivo, ma, nell'ambito di quest'ultimo, solo nei casi in cui si debba decidere circa diritti sostanziali e posizioni giuridicamente protette. La Suprema Corte, quindi, afferma che non esiste un generico ed astratto diritto al contraddittorio, ma che l'impugnazione di un atto esecutivo per lesione del principio in esame deve essere accompagnata da un concreto pregiudizio dei diritti sostanziali e posizioni giuridicamente protette. Sul tema v. anche Cass. 26 gennaio 2005, n. 1618, in cui si afferma che l'omessa comunicazione al debitore del provvedimento con cui sia stata fissata l'udienza per la comparizione non cagiona la nullità degli atti compiuti, potendo il debitore insorgere con l'opposizione al successivo atto esecutivo nei modi e nei termini di cui all'art 617 c.p.c. Per la Corte di Strasburgo, invece, il processo esecutivo avendo natura contenziosa deve essere assistito dalle garanzie dell'equo processo raccolte nella formula dell'art. 6 par. 1 della Convenzione europea per i diritti dell'Uomo (in tal senso, v. A.M. SOLDI, Manuale dell'esecuzione forzata, Padova, 2008, 6).

[3] Tale aspetti sono stati spesso evidenziati dalla stampa professionale, su cui, v. A. MANCUSO, Il fermo amministrativo dei veicoli dopo il DL n. 223/2006: cosiddetto Visco-Bersani. Uno spiraglio di luce per il (malcapitato) contribuente? in Fisco, 2006, 1-6968; C. LUCARIELLO, Spunti ricostruttivi della tutela del contribuente avverso l'uso distorto o illegale delle cosiddette ganasce fiscali, ivi, 2006, 1-2900.

[4] Sulla buona fede nei rapporti tra amministrazione finanziaria e contribuente e sulla tutela statutaria dell'affidamento, v. E. DELLA VALLE, Affidamento e certezza nel diritto tributario, Milano, 2001, 147 ss.; sulla derivazione del principio dall'art. 97 Cost., v. M. TRIVELLIN, Il principio di buona fede nel rapporto tributario, Milano, 2009, 70. Proprio con riferimento ai principi di buona fede e trasparenza, contenuti nello Statuto dei diritti del contribuente, la Corte di cassazione ha affermato il principio secondo cui ricade sull'amministrazione finanziaria l'onere di provare l'osservanza dei termini previsti, a pena di decadenza, per la consegna del ruolo all'Intendenza di finanza (v. Cass., sez. trib., 9 maggio 2003, n. 7093 in Banca dati Ipsoa Big-on line; nel medesimo senso, v. anche Cass., sez. trib., 14 maggio 2003, n. 7439, in Giur. trib., 2004, 243 ss. con nota di A. DAMASCELLI, secondo cui in tema di riscossione, l'onere di provare che l'iscrizione a ruolo è stata adottata nel termine decadenziale stabilito dall'art. 17 DPR n. 602/1973, grava sull'amministrazione finanziaria). Al riguardo, devono essere ricordati, altresì, i principi di collaborazione, buona fede ed affidamento, sanciti, in attuazione degli artt. 53 e 97 Cost., dall'art. 10, comma 1e 2, della legge n. 212/2000, qualificati dalla Corte di cassazione principi immanenti all'ordinamento tributario (v. Cass., sez. Trib., 10 dicembre 2002, n. 17576, in Banca dati Ipsoa Big-on line). Sul punto, si consenta il rinvio a G. TINELLI, I principi generali, in Atti del Convegno "Lo Statuto dei diritti del contribuente", Perugia, 10 marzo 2001 e in Fisco, 2001, 12945 ss.

[5] Tali principi sono alla base dei rilievi di S.F. COCIANI, Il riesame della pretesa tributaria su atti impositivi già oggetto di giudicato. Spunti ricostruttivi in tema di tutela giurisdizionale del contribuente, Il Fisco, 2011, I, 644 ss., che pone al centro della sua tesi il diritto del contribuente alla "buona amministrazione", rilevando come: "alla luce di tale impostazione sembra che la posizione giuridica del privato di fronte all'amministrazione possa dirsi fondata su di una pretesa ad un comportamento (non solo giuridicamente ma anche eticamente) corretto nel quadro del più complesso rapporto di relazione che lega il contribuente all'amministrazione stessa".


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