La convenzione sugli interessi moratori e i rapporti con la disciplina ex lege 108/1996

Avv. Giampaolo Morini - Occorre osservare che non riveste alcuna rilevanza il fatto che sul piano sistematico, gli interessi moratori debbano essere ricondotti ad una categoria risarcitoria, piuttosto che corrispettivo, in quanto la misura di tali interessi pur sempre si discosta da quella per legge determinata in conformità agli interessi legali, ed è piuttosto una misura contrattualmente determinata al pari di qualsiasi altra convenzione relativa alla pattuizione degli interessi.

La convenzione sugli interessi moratori e i rapporti con la disciplina ex lege 108

La convenzione sugli interessi moratori, pertanto deve essere riguardata come un qualsiasi patto che violi la disciplina di cui alla L. 108/96, in specie allorquando contenga la promessa sotto qualsiasi forma, di una prestazione di interessi superiore al tasso soglia.

La circostanza che una promessa o patto di tale tipo sia, sul piano funzionale, diretta a risarcire un danno da ritardo nell'adempimento, piuttosto che a bilanciare un corrispettivo di un rapporto sinallagmatico, non è rilevante ai fini della elusione della illiceità o meno della convenzione.

La disciplina prevista dalla L. 108/96 è infatti dettata in via generale omnicomprensiva per ogni potere di pattuizione di interessi superiori al noto tasso soglia, né le circostanze del ritardo e del conseguente debito risarcitorio possono essere viste quale valido esimente, in quanto particolarmente il ritardo nell'adempimento del debito pecuniario costituisce componente costante delle vicende che la lega ai fenomeni usurari. Inoltre il bene tutelato dal legislatore del 1996 consiste nella attribuzione di vantaggi che non superano una determinata soglia considerata incompatibile con l'ordinamento economico sociale, indipendentemente dal fatto che essi siano destinati ad un corrispettivo o ad un risarcimento.

L'ambito operativo dell'art. 1 del d.l. n. 394/2000

In giurisprudenza è stato osservato che la natura interpretativa dell'art. 1 d.l. n. 394/2000 - la quale si riferisce espressamente agli artt. 644 c.p. e 1815 c. 2 c.c. - impedirebbe soltanto la possibilità di infliggere le sanzioni previste in quelle norme, ma non anche l'operatività del meccanismo nullità-sostanziale che trova fondamento in altre disposizioni del codice civile

non toccate dall'interpretazione (artt. 1419 c. 2 e 1339 c.c. - la clausula pattizia di determinazione dell'interesse ultralegale, originariamente previsto tra le parti è divenuta nulla con l'entrata in vigore della L. 108/96, e pertanto dall'entrata in vigore di detta legge in poi, ai sensi degli artt. 1339 e 1419 c.2 c.c. si ha sostituzione di pieno diritto della pattuizione degli interessi stessi di conseguenza non dovuti, mediante una norma di carattere imperativo, sottratta alla discrezionalità
del Giudice, norme che la legge non vorrebbe né eluse ne aggirate). Una tale lettura della disposizione sarebbe allora confermata dalla "dichiarata natura di interpretazione autentica della normativa in parola che, come tale, in assenza di disciplina transitoria, non appare suscettibile di applicazione retroattiva in ambito esorbitante dalle norme che essa stessa dichiara espressamente di interpretare, fra le quali non rientrano le disposizioni che sorreggono il meccanismo di nullità parziale/sostanziale in questa sede applicato" (Trib. Bologna 19 giugno 2001). Detta interpretazione (che qui si sostiene), che nega siano dovuti interessi in misura superiore al tasso soglia, appare, per lo scrivente, l'unica interpretazione costituzionalmente orientata.

La tutela del mutuatario

A tutela del mutuatario inoltre, è invocabile pure quel principio, paventato da parte della dottrina, e che a parere dello scrivente coglie pienamente il punto focale delle problematiche legate alla disciplina dell'usura, è il principio della "buona fede esecutiva" ai sensi dell'art. 1375 c.c., che comporterebbe, alla luce del mutato scenario normativo, la riconduzione dell'interesse dovuto al tasso soglia. La parte esorbitante sarebbe cioè "inesigibile" in quanto la pretesa creditoria, dell'interesse superiore alla soglia legale, integrerebbe gli estremi di un abuso del diritto. Tali osservazioni acquistano una portata maggiore se si considera che il mutuante non è un soggetto privato bensì un ente creditizio. L'attività bancaria infatti, sempre più è stata oggetto di una regolamentazione improntata ai principi di buona fede e trasparenza finalizzata alla tutela della libertà contrattuale del cliente - c.d. soggetto debole - sulla scia tracciata dal diritto comunitario quindi in tale ipotesi la pretesa di un interesse superiore al tasso soglia risulterebbe ancor più stridente con i principi generali e con il principio di solidarietà sancito dall'art. 2 della Costituzione. Proprio in riferimento al principio della buona fede , la normativa sopravvenuta può costituire, per le pattuizioni in corso, un parametro esterno cui rapportare l'attuazione del rapporto ed il reciproco adempimento delle prestazioni. L'incidenza dello jus superveniens non sarebbe immediata, ma mediata da una valutazione dell'adempimento contrattuale alla stregua del principio di buona fede che ai sensi dell'art. 1375 c.c., deve caratterizzare l'esecuzione del contratto. La buona fede infatti costituisce un criterio di reciprocità, che deve essere osservato vicendevolmente tra creditore e debitore in relazione ai principi della solidarietà sociale: da un lato essa può portare ad ampliare gli obblighi che le parti hanno dedotto in contratto, dall'altro può eventualmente restringere tali obblighi, ove la pretesa del creditore si ponga in contrasto con i medesimi principi: la buona fede in executivis assolve perciò ad una funzione di controllo, quale limite all'esercizio di pretese e correlativamente all'adempimento di obblighi, onde "il giudizio di buona fede sulla compatibilità tra circostanze ed esecuzione del contratto si risolve in un controllo sull'esigibilità dell'adempimento". Il principio di correttezza e lealtà nella esecuzione del contratto può, in tale prospettiva, atteggiarsi quale criterio di limitazione della responsabilità contrattuale ove, a causa di fattori sopravvenuti, l'integrale adempimento dell'obbligazione assunta sarebbe sostanzialmente contra legem. A tale riguardo si ricorda l'osservazione di un giurista che "l'obbligazione rimane estinta o sospesa qualora, per eventi successivi non imputabili all'obbligato, la soddisfazione dell'interesse del creditore non sia possibile se non attraverso una attività illecita ovvero incompatibile con interessi "più alti" del debitore, nel senso di interessi che in buona fede non possono ritenersi subordinati dal rapporto obbligatorio in questione" (Mengoni, Obbligazioni "di risultato" e obbligazioni "di mezzi", in Riv. Dir. Comm., 1954, I, 285). La prestazione resterà dunque dovuta, nei limiti del tasso soglia; ecco allora che riconducendo il concetto di inesigibilità alla categoria della impossibilità sopravvenuta in riferimento allo jus superveniens, e più precisamente di una: impossibilità giuridica, in quanto il parametro cui rapportare l'esecuzione del contratto è costituito da una norma imperativa e parziale, non essendo contra legem la pretesa all'integrale adempimento della pattuizione, ma solamente quella che riguarda la parte eccedente il tasso soglia. A tale interpretazione si ricorda anche quella dottrina secondo cui "nel sistema degli artt. 1218 - 1256 c.c. il concetto di inesigibilità della prestazione va ricostruito come una sottospecie dell'impossibilità, individuando proprio nella sopravvenuta illiceità dell'oggetto della prestazione un'ipotesi da ricondurre a tale rimedio".

Avv. Giampaolo Morini

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