Due grandi intellettuali dei nostri tempi come Oriana Fallaci e Tiziano Terzani, all'indomani dell'attacco alle Torri Gemelle, hanno dato il via a un dibattito che li ha visti schierarsi su fronti diametralmente opposti.
Oriana già diversi anni prima dell'attacco del'11 settembre aveva esternato la sua preoccupazione per quella che considerava una vera e propria invasione. Ed aveva lanciato un allarme affermando che l'immigrazione sarebbe stata una sorta di "cavallo di Troia", capace di trasformare l'Europa in quella che ironicamente aveva ribattezzato con il nome di Eurabia. La Fallaci non credeva nel multiculturalismo. Al contrario, temeva che gli immigrati avrebbero materializzato un avvertimento che il leader algerino Boumedienne aveva rivolto all'ONU nel 1974 quando disse: "Presto irromperemo nell'emisfero Nord. E non vi irromperemo da amici, no. Vi irromperemo per conquistarvi. E vi conquisteremo popolando i vostri territori coi nostri figli. Sarà il ventre delle nostre donne a darci la vittoria". La Fallaci riteneva il problema molto più grave di quanto si potesse immaginare, specie perché dal suo punto di vista l'islam sarebbe incompatibile con molti dei valori occidentali, come la libertà, la democrazia, i diritti umani e con il concetto stesso di civiltà.
Terzani, dal canto suo, mostrava maggiore apertura verso il multiculturalismo e, ponendosi in contrasto con la Fallaci, l'aveva accusata di pensare che la violenza fosse il miglior modo per sconfiggere la violenza, sebbene non ci sia mai stata una guerra capace di mettere fine a tutte le guerre.
Terzani auspicava che si potesse abbandonare l'idea di una guerra "come strumento di giustizia o semplicemente di vendetta".
Sia ben chiaro, il rifiuto della guerra non era un modo per giustificare gli attacchi terroristici, tutt'altro. Terzani riteneva indispensabile capirne il perché, dal momento che "il problema del terrorismo non si risolverà uccidendo i terroristi, ma eliminando le ragioni che li rendono tali". In sostanza, anche l'attacco alle Torri Gemelle sarebbe stato "il risultato di tanti e complessi fatti antecedenti", che poco o nulla hanno a che fare con il presunto scontro di civiltà a cui spesso di fa appello.
Quello tra Fallaci e Terzani ha rappresentato un contenzioso intellettuale che ha poi generato inevitabilmente due schieramenti su fronti contrapposti di pensiero. Ma è davvero il problema del sì o del no al multiculturalismo la vera emergenza dei nostri tempi oppure il discorso va ampliato e serve fare delle riflessioni più generali sulla società e sul concetto stesso di libertà?
Potremmo discuterne all'infinito senza riuscire a trovare risposte univoche. Ci sono però un paio di riflessioni che noi tutti dovremmo fare.
La prima riguarda l'analisi di alcune dinamiche comportamentali che accomunano tutti gli abitanti della Terra e che dimostrano come, fin troppo spesso, gli individui non conoscono davvero se stessi e non sono in grado di prendere delle decisioni individuali, sulla base dei propri desideri e delle proprie inclinazioni. È sorprendente dover constatare, ad esempio, che la maggior parte delle persone non riesce a fare un percorso di crescita e di maturazione personale.
Il più delle volte si recepisce e si fa proprio il credo religioso della propria nazione e del contesto familiare in cui si è vissuti, senza interrogarsi sulla validità e la coerenza di questa scelta. Allo stesso modo, l'individuo tende a far propri i valori che sin da piccolo gli sono stati insegnati, senza mai metterli in discussione. Questo fenomeno mette alla luce un problema di fondo: troppo spesso gli uomini non diventano kantianamente parlando "naturaliter maiorennes". Preferiscono accontentarsi di rimanere "minorenni" per tutta la vita pur di non doversi assumere la responsabilità di maturare un libero pensiero.Il condizionamento culturale può essere estremamente potente a funziona in contesti anche molto diversi fra loro. Ne è un esempio quello che succede in alcune zone della Polinesia. Qui molte delle donne che lavorano negli hotel e nei ristoranti in realtà sono dei "mahu" ossia degli uomini che sono stati allevati come se fossero donne. Una volta diventati adulti (in senso anagrafico), i mahu continuano a vestirsi e a comportarsi come donne. Questo esempio dovrebbe farci riflettere portando ciascuno di noi a chiedersi: sono davvero un individuo o sono semplicemente ciò che altri hanno scelto per me?
Se non riusciamo ad emanciparci dal contesto culturale in cui siamo nati e cresciuti e se non abbiamo la capacità di mettere in discussione i valori che ci sono stati trasmessi, non riusciremo mai a diventare realmente liberi e capaci di costruire le nostre tavole dei valori. In altri termini, non saremo mai individui e tanto meno individui maggiorenni.
Diventare naturaliter maiorennes dovrebbe essere dunque il primo obiettivo di ogni essere umano, ovunque egli sia nato e cresciuto. Un obiettivo che si può raggiungere solo a patto di intraprendere un percorso di progressivo disvelamento della propria vera essenza.
Ognuno di noi riceve una serie di input dal contesto in cui è nato e vissuto, ma c'è un momento in cui bisogna fare piazza pulita di tutto questo e rimettere tutto in discussione, fino al punto di iniziare a sentirsi smarriti e senza più un punto fermo su cui fondare le proprie certezze. Ma è proprio in quel momento che può avere inizio una vera e propria costruzione del nostro essere. È in quel momento che possiamo riscrivere le nostre tavole dei valori cominciando a diventare dei veri individui.
Assumendo questo punto di vista il problema della multiculturalità dovrebbe passare in secondo piano
La società, anziché vista come insieme di popoli con culture diverse che coesistono, dovrebbe essere considerata come un insieme di individui liberi, capaci di godere della propria libertà con il solo limite del rispetto della libertà altrui.
È proprio su quest'ultimo concetto che dovremmo metterci tutti d'accordo: a prescindere dal credo di un individuo e delle sue convinzioni morali, la società è tenuta a riconoscere il suo diritto a poter vivere liberamente. Almeno fino al punto in cui la sua libertà non vada ad interferire con quella degli altri.
Ma passiamo alla seconda considerazione: i conflitti in essere si stanno cronicizzando anche per via di una pericolosa assenza di dialogo.
Eppure non c'è conflitto al mondo che non abbia in sé uno spazio per il dialogo e in qualsiasi guerra può esserci un armistizio. Perché mai l'attuale conflitto con il terrorismo islamico dovrebbe fare eccezione?
A partire dall'attentato contro le Torri Gemelle fino ad arrivare agli attentati che hanno insanguinato le strade d'Europa, l'Occidente sta vivendo momenti davvero drammatici. Ma se fin troppo spesso ci si interroga sulle possibili soluzioni da adottare per garantire maggiore sicurezza e prevenire gli attentati, si pensa davvero poco a cosa fare per andare al cuore del problema. Per usare un'immagine freudiana, potremmo dire che quando un fiume straripa bisogna interrogarsi sugli argini che l'hanno "ingabbiato" piuttosto che sulla potenza delle sue acque. Allo stesso modo, quando siamo su una barca che affonda, dobbiamo prima di tutto riparare la falla giacché tirare via l'acqua a secchiate non risolverà di certo il nostro problema.
Che fare dunque? Non dico che ci sia una soluzione univoca e tanto meno facile. Ma perché non iniziare con alcuni piccoli passi?
Innanzitutto: sappiamo che c'è una sorta di risentimento arabo (più o meno diffuso) nei confronti dell'Occidente. Ma ne conosciamo le vere ragioni? Ci sono state delle ingiustizie (vere o presunte) che hanno generato un sentimento di ostilità contro l'Occidente?
Qualche domanda se la sono fatta gli americani dopo l'11 settembre, ma a questo punto dovremmo farcela anche noi europei. Sappiamo ad esempio che molti arabi accusano l'Occidente di aver contrastato lo sviluppo economico e politico del Medio Oriente per tutelare interessi petroliferi. Allo stesso modo, l'Occidente è spesso oggetto di critica per via di una lunga serie di interferenze anche militari nei territori arabi. Può essere forse questa una delle ragioni dell'odio che sembra essere alla base degli attacchi verso il mondo e lo stile di vita occidentale?
Se non è possibile dare una risposta certa a questi interrogativi, una cosa la si può comunque affermare senza il timore di essere fuori strada: pensare che tutto sia solo frutto di uno scontro tra religioni vorrebbe dire davvero peccare di ingenuità.
E se non iniziamo a individuare prima le ragioni che ci hanno reso nemici non potremo mai trovare la strada per una reale soluzione di questo conflitto la cui fine sembra essere sempre più drammaticamente lontana.
Roberto Cataldi
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