Per il Tribunale di Trento la modalità violenta esorbita la finalità educativa e rischia di sconfinare nel reato di lesioni personali

di Lucia Izzo - Il reato di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina si rischia quando si utilizza in maniera sproporzionata il mezzo correttivo nel contesto educativo. Tuttavia, il comportamento violento rischia di esorbitare nel diverso reato di lesioni personali se la modalità violenta annulla la finalità educativa.


Lo ha stabilito il Tribunale di Trento nella sentenza del 18 aprile 2017 n. 174 (qui sotto allegata) pronunciatasi nei confronti di una madre, imputata del reato di cui all'art. 571 del codice penale (Abuso dei mezzi di correzione o di disciplina).


La donna, quale esercente la potestà genitoriale sulla figlia, aveva abusato più volte dei mezzi di correzione e di disciplina nei confronti di quest'ultima. In particolare, a fronte della cattiva condotta scolastica della figlia o dell'inadempimento da parte di quest'ultima di lavori domestici a lei affidati, l'aveva picchiata con una cintura di cuoio sulle gambe, sulla schiena e sulle braccia e, in un'altra occasione, con un cavo elettrico, sferrando un pugno in volto alla ragazza quando questa era riuscita a strapparglielo di mano.


I comportamenti erano continuati fino al trasferimento della ragazza in una struttura di accoglimento protetta. A seguito di istruttoria e dell'audizione di diversi testi, i giudici hanno ritenuto avvalorata la sussistenza dell'addebito mosso alla prevenuta, ma hanno riqualificato i fatti oggetto di imputazione come lesioni personali.

Lesioni se la modalità violenta annulla la funzione educativa

Il Tribunale osserva che, in punto di qualificazione giuridica, la contestata fattispecie di cui all'art. 571 c.p. sanziona l'abuso dei mezzi di correzione o disciplina e presuppone, da un lato, l'esistenza, fra il soggetto attivo e il soggetto passivo del reato, di un rapporto di affidamento che, come avviene nel caso di specie, legittimi l'uso di poteri disciplinari finalizzati, sulla base dei principi costituzionali, alla stessa protezione del soggetto nei confronti del quale tali poteri vengono attribuiti.


In secondo luogo, prosegue la sentenza, l'abuso si configura in presenza dell'adozione di un "mezzo correttivo" in sé lecito, ma utilizzato in modo "sproporzionato" o con modalità "eccessive", tali da configurare, appunto, un abuso.


Per la giurisprudenza (cfr. Cass. n. 15149/2014; Cass. e n. 16491/2005) il termine "correzione" contenuto nella norma, deve essere assunto come sinonimo di educazione, per cui, alla luce della concezione personalistica e pluralistica della Costituzione, come del nuovo diritto di famiglia e della stessa Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, mai potrebbe ritenersi lecito l'uso della violenza finalizzato a scopi educativi.


Deve escludersi, altresì, che i valori educativi possano radicarsi nella persona con l'uso di un qualsiasi mezzo violento (cfr. Cass. 26.10.2004 n. 44621). In linea con tale interpretazione, il dominante orientamento giurisprudenziale, condiviso dai giudici, nega la sussistenza del reato di cui all'art. 571, ravvisando eventualmente quello di percosse, lesioni o violenza privata, quando il mezzo, sia pure con finalità educative, sia stato usato con modalità che ne annullano la stessa funzione ovvero quando il mezzo impiegato sia di per sé illecito, alla luce della considerazione per cui la finalità correttiva o educativa non può mai giustificare il ricorso alla violenza.


Nel caso in esame, l'imputata ha fatto ricorso alla violenza fisica colpendo la figlia con strumenti in sè non consentiti, seppur animata da un chiaro intendo educativo nei confronti della figlia. Pertanto, alla luce dei suddetti principi ne deriva l'impossibilità di configurare il più lieve delitto di cui all'art. 571 c.p., dovendosi, per contro, ritenere integrato il più grave delitto di lesioni personali volontarie continuate (data la pluralità degli episodi ricostruiti in giudizio).

Tribunale di Trento, sent. 174/2017

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