Ma per il Cnf, la violazione deontologica scatta solo se l'incompetenza è macroscopica

di Lucia Izzo -  Il dovere deontologico stabilito dall'art. 14 del nuovo codice di deontologia forense, secondo il qual l'avvocato non deve accettare incarichi che non sia in grado di svolgere con adeguata competenza, non può valere a fare sindacare tout court, sotto il profilo della responsabilità disciplinare, l'attività prestata dall'avvocato e le relative scelte tecniche.


La disposizione interviene solo in relazione agli aspetti più macroscopici, ovvero in presenza di condotte professionali platealmente divergenti da quelle esigibili in concreto, che fanno ritenere l'assoluta inesistenza della "competenza" del legale, intesa come mancanza in concreto di capacità professionale 


Lo ha precisato il Consiglio Nazionale Forense, nella sentenza n. 54/2016 (qui sotto allegata), pubblicata sul sito istituzionale il 13 febbraio di quest'anno. Il ricorrente impugna la decisione del competente COA che gli aveva inflitto la sanzione disciplinare della censura


In realtà, era stato il legale a chiedere l'intervento del COA per la taratura della parcella, poichè, svolta attività difensiva, non aveva ottenuto risposta ai solleciti di pagamento inoltrati al cliente. Costui era stato contravvenzionato e poi condannato per guida in stato di ebbrezza alcolica, e gli era stata comminata la sanzione dell'ammenda oltre alla sospensione della patente di guida per quattro mesi.


Convocato in modo informale dal Consigliere relatore, il legale forniva indicazioni sul rapporto professionale e, tra l'altro, chiariva che nel redigere l'atto di opposizione aveva erroneamente chiesto, oltre al benefico della "sospensione condizionale", anche quello della "non menzione", nonostante per il reato contestato al cliente  l'iscrizione non sarebbe avvenuta egualmente.


In questa sede, il Relatore appurava che il legale pareva non aver consapevolezza di come operava l'istituto della sospensione condizionale della pena e, contattato il cliente telefonicamente, verificava che costui non era stato compiutamente informato sulla possibilità di rateizzare il pagamento della sanzione, sulla possibilità di oblazionare il reato e sulle conseguenze dell'applicazione della sospensione condizionale della pena per una sanzione pecuniaria. 


Da qui, il Consigliere, sul rilievo che quanto posto in essere dall'avvocato fosse contrario ai doveri professionali, veniva proposta l'apertura di procedimento disciplinare a suo carico "Per essere venuto meno al Dovere di Competenza (art. 12 C.D.) ed all'Obbligo di Informazione (art. 40 C.D.)" nei confronti del cliente.



Da qui il ricorso con cui il legale si difende nel merito, ritenendo insussistenti entrambe le ipotesi di illecito disciplinare contestategli, e che il Consiglio Nazionale Forense ritiene fondato: si rammenta che il precetto deontologico di cui all'art. 12 NCDF appare finalizzato a evitare che l'avvocato assuma un incarico per il quale manchi la competenza specifica


Ciò, precisa il Collegio, sicuramente avviene anche per preservare il decoro della professione, ma principalmente per tutelare la parte assistita e, più in generale, la collettività, in quanto si deve poter riporre una legittima aspettativa di affidabilità sotto il profilo sostanziale nei confronti del professionista legale cui ci si rivolge a tutela dei propri diritti.


Si potrebbe ritenere, si legge nel provvedimento, che il termine "competenza" non sia coincidente e/o sovrapponibile con quello di "capacità professionale", ma indubbiamente il riferimento alla circostanza che la competenza deve essere adeguata, indirizza nel senso di dovere ritenere che la norma utilizza il concetto di "competenza" anche in senso sostanziale, sicché l'avvocato è tenuto ad assicurare anche la "qualità" della prestazione resa.


Seppur il "dovere di competenza" venga inteso in questo senso ampio, ciò non può valere ad ammettere il sindacato tout court, sotto il profilo della responsabilità disciplinare, dell'attività prestata dall'avvocato; così si giungerebbe alla conseguenza, certamente non voluta dalla norma, di consentire di sindacare, sotto il profilo disciplinare, le stesse scelte tecniche compiute controvertibili che possano essere considerate.


Pertanto, secondo il CNF va condivisa l'ipinione di chi ritiene che la norma in esame consente la valutazione a fini disciplinari della capacità sostanziale, ma solo "negli aspetti più macroscopici", ovvero in presenza di condotte professionali dell'avvocato platealmente divergenti da quelle esigibili in concreto, così da far ritenere l'assoluta inesistenza della sua competenza, intesa come assoluta e macroscopica mancanza in concreto di capacità professionale.


Analizzata in base a questi principi la vicenda concreta, per il CNF va assolto l'incolpato dalla contestazione mossagli poichè l'opzione prescelta dall'avvocato è risultata tecnicamente adeguata per perseguire l'obiettivo postogli dal cliente (non pagare l'ammenda e recuperare la patente in tempi rapidi). 


Quanto alla richiesta di sospensione condizionale della pena, questa non appariva un'opzione sconsiderata e/o irrazionale, ma solo, al più, valutabile sul piano dell'opportunità non suscettibile certamente di rilievo disciplinare.


La decisione adottata dal COA, inoltre, appare contraddittoria poichè ha ritenuto insussistente l'addebito di aver omesso una compiuta informazione "sulle conseguenze connesse alla concessione della sospensione condizionale della pena" e per altro verso, ha addebitato allo stesso avvocato di ignorare i termini di operatività dell'istituto.

Risultando, in conclusione, l'addebito specificamente contestato insussistente, il ricorso va accolto. 

CNF, sent. 54/2016

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