Per la Cassazione è indubbiamente integrato il reato di diffamazione

di Marina Crisafi - Additare la ex moglie come mantenuta è reato. Lo ha stabilito la quinta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 522/2017, depositata oggi (qui sotto allegata), confermando la condanna nei confronti di un uomo per il reato di diffamazione, per aver offeso la ex moglie, definendola "mantenuta" nella causale dei vaglia postali con cui mensilmente le versava le somme a titolo di mantenimento.

La donna non ci stava e lo trascinava in giudizio. Per i giudici di merito l'uomo è colpevole e va condannato a 1.000 euro di multa e a 5mila euro di risarcimento del danno non patrimoniale causato alla ex.

La linea di pensiero è condivisa anche dal Palazzaccio.

Inutile per l'uomo minimizzare, sostenendo che nessuno, operatore postale o altri, avrebbe letto la frase diffamatoria, in virtù della rigida tutela della privacy che imponeva che il messaggio pervenisse al destinatario in busta chiusa.

Per gli Ermellini, infatti, il ricorso è manifestamente infondato. Il termine "mantenuta" ricordano preliminarmente "risulta offensivo della reputazione della donna, riferendosi alla nozione comunemente accettata in ambito sociale di percettrice di reddito, in assenza di qualsivoglia prestazione lavorativa".

Inoltre, come correttamente evidenziato dai giudici di merito "il contenuto del vaglia postale non resta riservato tra il mittente ed il destinatario, ma, per necessità operative del servizio postale (registrazione, trasmissione e comunicazione al destinatario), entra a far parte del patrimonio conoscitivo di più persone addette all'ufficio incaricato".

Per cui non vi è dubbio che in tale contesto, risulta soddisfatto il requisito di cui all'art. 595 c.p. che richiede, "ai fini della configurabilità del reato di diffamazione, che l'autore della frase lesiva dell'altrui reputazione comunichi con almeno due persone ovvero con una sola persona ma con modalità tali che detta notizia venga sicuramente a conoscenza di altri". Invero in tema di diffamazione, concludono, "deve presumersi la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone qualora l'espressione offensiva sia inserita in un documento (nella specie un vaglia postale) per sua natura destinato ad essere normalmente visionato appunto da più persone".

Da qui l'inammissibilità del ricorso e la condanna dell'uomo anche al pagamento delle spese processuali e di mille euro in favore della cassa delle ammende.

Cassazione, sentenza n. 522/2017

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