Avv. Paolo Accoti - Assalire fisicamente un condomino o un inquilino dell'edificio condominiale, causandogli peraltro lesioni personali gravissime, non rientra certo nelle mansioni o funzioni tipiche del portiere dello stabile, né una tale condotta può risultare in qualche modo connessa o ricondotta all'espletamento degli ordinari compiti di una siffatta tipologia di lavoratore, pertanto, deve essere esclusa qualsivoglia responsabilità del condominio ex art. 2049, non potendosi applicare in simili casi i principi che reggono la responsabilità dei padroni e dei committenti.
Tanto, in sintesi, ha statuito la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 11816, pubblicata in data 9.06.2016.
La curiosa vicenda giudiziaria prende spunto dalla richiesta di risarcimento danni avanzata da un condominio a seguito dell'aggressione, concretizzatasi con un violento colpo al viso, portata nei suoi confronti dal custode dello stabile, che gli avrebbe causato gravissime lesioni.
Pertanto, il danneggiato conveniva in giudizio sia il predetto custode personalmente che il condominio nella sua interezza, invocando anche la sua responsabilità ex art. 2049 c.c.
In primo grado la domanda veniva accolta nei soli confronti del custode, con la conseguente condanna dello stesso al risarcimento del danno prodotto, tuttavia, sull'appello proposto dal medesimo condominio, la Corte d'Appello di Roma, oltre ad aumentare l'importo riconosciuto a titolo di risarcimento, condannava anche il condominio, riconoscendo in capo allo stesso una responsabilità dei padroni e dei committenti, giusto disposto dell'art. 2049 c.c.
Il giudizio giunto innanzi alla Suprema Corte, investita dal ricorso del condominio che eccepiva la violazione e falsa applicazione dell'art. 2049 c.c., vedeva le ragioni di quest'ultimo prevalere, con la cassazione della sentenza impugnata.
Il Giudice di legittimità premette che, al fine di verificare l'eventuale responsabilità del condominio in dipendenza del rapporto lavorativo che lo lega all'aggressore, si deve rilevare che l'episodio è avvenuto all'interno dell'appartamento del condomino, dove il custode si era recato per verificare il funzionamento di tubature e, pertanto, se tali attività rientrassero nelle mansioni generalmente riconducibili alla figura professionale del portiere o custode.
A tale quesito viene data risposta negativa atteso che "corrisponde invero a nozioni di comune esperienza che, salvo improbabili (ma allora espresse e da provare rigorosamente) disposizioni contrarie, il portiere usualmente sia chiamato ad un primo sopralluogo nell'immediatezza della segnalazione di guasti ad impianti che potrebbero coinvolgere strutture condominiali, ovviamente e beninteso con l'obbligo di immediato coinvolgimento dell'amministratore - o di chi per lui competente per legge o per regolamento condominiale - per l'attivazione di ogni opportuno intervento sulle medesime, specie se urgente o se relativo a potenziali pericoli per l'incolumità o la fruibilità quotidiana dell'immobile in proprietà esclusiva (come nella specie, trattandosi di tubature idriche)".
Tuttavia, "per affermare la responsabilità del Condominio quale committente o datore di lavoro e se, quindi, possa escludersi una falsa applicazione dell'art. 2049 cod. civ., può fin d'ora rilevarsi che una fattispecie come quella ricostruita nella specie non può ricondursi entro la norma applicata, per avere il carattere esclusivamente personale dello scopo perseguito dal danneggiante, reciso ogni collegamento con la sfera giuridica patrimoniale del "padrone o committente"".
Ed invero, sostiene la Suprema Corte, "impedisce la configurabilità della responsabilità in esame l'assoluta estraneità della condotta del preposto alle sue mansioni e compiti, quand'anche deviate o distorte: esigendosi in ogni caso almeno la possibilità di ricollegare, anche solo indirettamente, la condotta dannosa del preposto alle attribuzioni proprie dell'agente (Cass. 10 ottobre 2014, n. 21408; Cass., 29 dicembre 2011, n. 29727) o all'ambito dell'incarico affidatogli (Cass. 9 aprile 2014, n. 8372, con richiami a: Cass. 24 gennaio 2007, n. 1516; Cass. 22 agosto 2007, n. 17836). Occorre cioè (Cass. 10 dicembre 1998, n. 12417; in precedenza, fra le altre, Cass. 18 gennaio 1990 1 n. 223) che il preposto abbia perseguito finalità coerenti con quelle in vista delle quali le mansioni gli furono affidate e non finalità proprie alle quali il committente non sia neppure mediatamente interessato o compartecipe".
Nel caso concreto, l'accesso del portiere all'abitazione del condomino, solo astrattamente può essere considerato riconducibile alle mansioni di un siffatto dipendente costituendone, semmai, una "mera occasione" che in nessuna maniera può avere favorito la violenta aggressione.
Ed invero, l'aggressore, in qualunque altra circostanza, avrebbe potuto assalire il danneggiato e la sua qualità di portiere non pare abbia consentito né agevolato l'anzidetta aggressione.
Un tale violento comportamento, infatti, "nemmeno sotto forma di degenerazione od eccesso però non impossibili, può rientrare tra le condotte esclusivamente personali che normalmente ci si può attendere da chi espleta le funzioni di portiere", pertanto, alcun nesso eziologico può ritenersi sussistere tra l'atteggiamento dell'aggressore e la qualità di portiere dallo stesso rivestita in quel determinato momento.
"In conclusione, va esclusa la responsabilità del Condominio per il fatto doloso del portiere - o altro dipendente o assimilato nel corso dello svolgimento delle relative mansioni - quando la relativa condotta sia del tutto avulsa dalle mansioni affidate e l'espletamento di quelle abbia costituito una mera occasione non necessaria per la condotta" (Cass. civ., Sez. III, 9.06.2016, n. 11816).
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