Per il codice deontologico la ritorsione o la provocazione o la reciprocità delle offese non escludono l'infrazione

di Lucia Izzo - Lecita la sanzione dell'avvertimento comminata all'avvocato che rivolge espressioni diffamatorie al collega avvocato nell'esposto presentato al Consiglio dell'Ordine.

Inutile per il legale eccepire di aver ricevuto a sua volta espressioni diffamatorie, poiché il codice deontologico esclude la rilevanza della reciprocità o della provocazione.


Lo hanno affermato le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 11370/2016 (qui sotto allegata) rigettando l'appello di un avvocato che era stato sanzionato dal Consiglio Nazionale Forense con l'avvertimento, per aver diffamato un collega.


La norma utilizzata dai giudici del Palazzaccio per risolvere la vicenda è l'art. 20 del Codice deontologico forense, nel testo applicabile ratione temporis (oggi art. 52 CNF) rubricato "divieto di uso di espressioni sconvenienti od offensive", il quale prevede che "Indipendentemente dalle disposizioni civili e penali, l'avvocato deve evitare di usare espressioni sconvenienti od offensive negli scritti in giudizio e nell'attività professionale in genere, sia nei confronti dci colleghi che nei confronti dci magistrati, delle controparti e dei terzi", precisando che "La ritorsione o la provocazione o la reciprocità delle offese non escludono l'infrazione della regola deontologica". 


La norma si sostanzia nell'obbligo all'avvocato, "nell'attività professionale in genere" ed a prescindere dalle conseguenze civili e penali, di non usare espressioni sconvenienti ed offensive nei confronti, tra gli altri, dei propri colleghi. In altre parole, è sconveniente di per sé la fraseologia adottata, a prescindere dalla veridicità dei fatti che hanno dato luogo alla presentazione dell'esposto.


Pertanto, è inutile per il ricorrente eccepire la reciprocità dell'offesa oppure che i fatti ascritti al collega, oggetto del contestato esposto, erano veri ed inoppugnabili, tali da non poter essere ritenuti di contenuto offensivo o diffamatorio.

La veridicità o meno dei fatti da cui deriva l'attribuzione delle espressioni ritenute diffamatorie non ha rilevanza nella fattispecie esaminata. L'avvocato, infatti, secondo la motivazione dell'Organo di rappresentanza professionale, "quale che sia il contesto in cui opera", non deve usare espressioni offensive e diffamatorie, nei confronti né dei colleghi, né di altri.



Cass., SS.UU., sent. n. 11370/2016

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