Anche se si rinuncia alla parcella bisogna comunque pagare le tasse. La sentenza della Ctp di Ancona

di Marina Crisafi - Che il fisco non concepisca che un professionista abbia amici e parenti nei confronti dei quali decida di prestare gratuitamente il proprio lavoro è cosa notoria (leggi in proposito: "Per il fisco il professionista non può lavorare gratis").

Ma ora a decidere che quando si tratta di lavoro ci sono solo i clienti e che, se proprio si sceglie di non essere pagati, bisogna emettere comunque fattura accollandosi le tasse è la giurisprudenza tributaria.

Con la recente sentenza n. 1279/2016 (qui sotto allegata) la Commissione Tributaria provinciale di Ancona ha bocciato infatti il ricorso presentato da un notaio avverso l'avviso di accertamento emesso dalla direzione provinciale delle Entrate.

Ovviamente, le argomentazioni fornite dai giudici valgono per qualsiasi professionista che possa trovarsi alle prese con amici, familiari o anche con clienti di lunga data, nei confronti dei quali, per i rapporti in corso, decide di non farsi pagare per le prestazioni fornite.

Per la Ctp, a nulla valgono le eccezioni sollevate dal professionista ricorrente il quale affermava che "la mancata percezione di onorari, e/o la percezione di onorari in misura irrisoria, nei confronti di alcuni clienti, trovano ragion d'essere nei rapporti di consuetudine ed anche di amicizia che si sono nel tempo creati tra il Notaio ed i clienti, come pure per ragioni di cortesia, di convivenza sociale, di buona creanza, nei confronti di persone alle quali è legato da particolari sentimenti di amicizia o rapporti di collaborazione o di gratitudine".

Anzi le argomentazioni difensive fornite appaiono per i giudici "singolari e patetiche", mentre è pienamente legittimata l'amministrazione finanziaria ad operare la verifica fiscale.

Il contribuente, infatti, a detta della Ctp, non può pretendere di "omaggiare clienti/amici accollandone l'onere alla collettività dei cittadini e non già a se stesso". Se proprio avesse voluto omaggiare i clienti/amici, il professionista "avrebbe dovuto regolarmente fatturare i compensi declinandone il pagamento ed accollandosi l'onere fiscale che, invece, ha accollato allo Stato e quindi a tutti i cittadini contribuenti".

Da qui il respingimento del ricorso e la condanna del professionista anche al pagamento delle spese di lite.

I precedenti

A favore del professionista/contribuente milita invece l'orientamento della Cassazione, peraltro recente, secondo il quale, il fisco non può contestare le prestazioni rese a titolo gratuito a favore di amici, parenti o clienti (e soci di clienti) di vecchia data (cfr. Cass. n. 21972/2015 leggi: "Cassazione: il professionista ben può lavorare gratis per parenti e amici"). In ogni caso, per la S.C. l'onerosità della prestazione professionale non è essenziale (cfr. Cass. n. 16966/2005), essendo plausibile e ragionevole che il professionista possa decidere di lavorare gratuitamente in considerazione dei rapporti che lo legano a determinati soggetti.

Resta fermo, comunque, in tali casi, anche per la giurisprudenza di legittimità, che è meglio non fatturare che emettere fatture con compensi simbolici, di modesta entità (cfr. Cass. n. 20269/2010).

Ctp Ancona, sentenza n. 1279/2016

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