Il 48% però ha un grado di alfabetizzazione digitale ancora limitato. I dati della ricerca del politecnico di Milano sulle professioni

di Marina Crisafi - Uno studio legale su tre in Italia, insieme a commercialisti e consulenti del lavoro, si apre al digitale, orientandosi al mercato, arricchendo le proprie competenze, usando intensivamente le tecnologie informatiche e i social network e il 51% è dedito alla consulenza online. Sono alcuni dei risultati emersi dalla ricerca del Politecnico di Milano fra avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro, presentata oggi a Roma nell'ambito del convegno "Professionista: oggi apriresti uno studio?" alla presenza, tra gli altri, dei rappresentanti dei consigli nazionali delle varie categorie.

Stando alla ricerca condotta dall'Osservatorio Professionisti Innovazione Digitale della School of Management del Politecnico, nel 2015, a pesare sull'attività totale degli studi è la consulenza che in media si attesta sul 27%, essendo destinata ad aumentare di rilevanza. Quella online poi interessa il 51% dei professionisti e contribuirà a fornire un contatto con aziende altrimenti difficili da raggiungere.

Quanto alla digitalizzazione vera e propria, gli oltre 150mila studi professionali hanno speso più di 1,1 miliardi di euro per l'Ict (in media 9 mila euro ciascuno), ossia quasi il 50% in più rispetto allo scorso anno, aumentando per questa via produttività ed efficienza (circa il 54% ha presentato redditività in crescita).

Ma avvocati, commercialisti e consulenti italiani si dimostrano interessati anche alle nuove aree di competenza (come comunicazione, soft skill) e soprattutto ai social network, utilizzati dal 44% per l'attività lavorativa, al fine di sviluppare nuove relazioni o acquisire informazioni su temi di interesse, ma anche per promuovere i servizi dello studio e per condividere opinioni.

Entrando nello specifico, la ricerca ha suddiviso i professionisti italiani in cinque cluster in base alla sensibilità e ai comportamenti dimostrati nei confronti della tecnologia:

- le "avanguardie strutturate", cui appartiene soltanto il 14%, che rappresentano coloro che hanno creduto sin dall'inizio nella capacità delle tecnologie di creare valore e che presentano oltre 60 clienti, più di 60mila euro di fatturato per addetto e servizi di consulenza superiori alla media;

- gli "innovatori caotici", circa l'11%, con interesse verso le tecnologie ma in ritardo rispetto ai colleghi;

- i "benestanti recettivi" che costituiscono il 17%, rappresentati da studi radicati in territori con buone performance ma che non manifestano interesse per il digitale;

- gli "efficienti miopi", circa il 10%, che presentano buoni indicatori di efficienza ma scarso interesse al digitale, con redditività destinata a calare in quanto inadeguati per la futura domanda di servizi;

- i "periferici seduti", infine, costituiti dal 48% dei professionisti con un grado di alfabetizzazione digitale ancora limitato e da migliorare per evitare il rischio emarginazione.

In media, la gestione del cambiamento, ha spiegato il direttore dell'Osservatorio, Claudio Rorato, è abbracciata comunque da "circa il 30% dei professionisti italiani". Una larga fetta dunque (pari a 1/3) che considera le tecnologie digitali "un valido

alleato" e che è impegnata sia nell'ampliamento dell'attività di consulenza che nell'offerta di nuovi servizi ai clienti, oltre che nell'arricchimento di nuove competenze. "Un'evoluzione da professionisti esperti esclusivamente di temi giuridico-economici a professionisti manager e imprenditori che

governano - ha concluso Rorato - la complessità di organizzazioni erogatrici di servizi con un ruolo sempre più esposto a momenti di confronto pubblico'.


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