Il professionista non è obbligato a rogare gli atti se questi si pongono come strumento elusivo di norme pubblicistiche

di Lucia Izzo - Sono nulli gli atti stipulati dal notaio con la consapevolezza delle finalità elusive che il cliente vuole porre in essere, nonostante tali atti, presi in considerazione singolarmente, appaiano privi dei requisiti di invalidità. 

Lo ha disposto la Corte di Cassazione, II sezione Civile, nella sentenza n. 1716/2016 (qui sotto allegata), accogliendo il ricorso promosso dal Procuratore generale della Repubblica nei confronti di un notaio.

Contro il professionista veniva dato corso a giudizio disciplinare innanzi alla commissione amministrativa regionale, per la violazione dell'articolo 28 della legge notatile.

Si contestava al notaio di aver ricevuto nello stesso giorno alcuni atti relativi a beni immobili di proprietà della stessa persona, colpiti da sequestro preventivo penale (precisamente atto di costituzione di fondo patrimoniale, atto istitutivo di traust, atto di costituzione di rendita vitalizia).

Condannando il notaio la commissione osservata che il professionista aveva violato l'articolo 28 della legge notatile in quanto si trattava di atto vietato dalla legge stante il disposto dell'articolo 334 del codice penale, poichè il reato previsto da tale norma era di pericolo e mirava a punire qualunque condotta rivolta a rendere anche solo più difficoltosa la procedura di recupero coattivo.

Inoltre, il notaio avrebbe dovuto legittimamente rifiutare la stipula degli atti predetti in quanto, mediante la conclusione di essi, il cliente aveva posto in essere le finalità criminose sanzionate dall'articolo 11 del decreto legislativo 74/2000, che punisce chi aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la riscossione coattiva di imposte non pagate.

Irrilevante il fatto che la trascrizione del sequestro preventivo penale rendeva opponibile il vincolo ai terzi di modo che la successiva trascrizione della costituzione del fondo patrimoniale non avrebbe impedito l'attuazione della misura disposta dall'autorità giudiziaria.

La Corte di appello, in parziale riforma della decisione impugnata dal notaio, riteneva sussistente la violazione dell'art. 28 LN. in relazione al solo art. 11 del D.lgs. 74/2000 di cui al capo secondo dell'incolpazione.

In particolare non sarebbe stata configurabile alcuna violazione dell'art. 334 c.p., non essendo "neppure ipotizzabile che con l'apposizione di un vincolo giuridico sul bene, peraltro inopponibile al sequestrante in ragione della priorità della trascrizione effettuata, si realizzi la sottrazione intesa come attività atta a rendere non rinvenibile il bene sottoposto a sequestro".

Dinnanzi agli Ermellini, l'accusa sostiene che resta applicabile l'art. 334 c.p. anche nel caso di sequestro della cosa immobile, in cui riveste fondamentale rilevanza giuridica il "vincolo" di indisponibilità, che risulta, in forza del sequestro penale, apposto sul bene e che, violato, integra in ogni caso la condotta della "sottrazione". Pertanto, prosegue il ricorrente, l'interesse tutelato può essere leso da ogni attività suscettibile di rendere non solo impossibile, ma anche semplicemente più difficoltoso il conseguimento della finalità che presiede all'imposizione del vincolo medesimo

Per il notaio, invece, manca una previsione che consente di valutare la sussistenza di una sorta di unico disegno criminoso, poiché tutti gli atti posti in essere non possono essere valutati complessivamente, rispetto all'art. 28 che invece punisce chi riceva atti nulli, singolarmente considerati.

Per la difesa, la Corte territoriale avrebbe nella sostanza individuato "una nuova categoria di atti coordinati e finalizzati a scopi illeciti, dai contorni evanescenti, facendoli ricadere tutti nella previsione dell'art. 28 cit.".

La Cassazione accoglie pienamente il ricorso del Procuratore, affermando che nel caso in esame "l'attività professionale del notaio è stata svolta nella sua piena consapevolezza dell'evidente finalità elusiva perseguita dal cliente, integrante, quest'ultima, quanto meno reato tentato".

Siccome non si discute in sede civile della valutazione dei profili di responsabilità penale, per il Collegio occorre necessariamente valutare il comportamento tenuto dal notaio, pur nell'ambito dei confini definiti dagli artt. 27 e 28 della legge notarile, "tenendo conto dell'attuale evoluzione dell'etica sociale verso un ordinamento economico/finanziario che limita sempre più l'area delle possibili elusioni delle norme imperative a protezione del bene comune da esso tutelato e che, di conseguenza, sempre più responsabilizza la specifica funzione dei soggetti obbligati in ragione della loro qualificazione professionale ad intervenire nelle transazioni commerciali a tutelare non solo gli interessi delle parti contraenti, ma anche e specialmente quelli della generalità dei cittadini".

In base a quest'ultimo profilo, le norme penali di cui è stata richiamata la violazione hanno la specifica ed evidente finalità di garantire lo Stato nelle sue pretese fiscali contro le gravi violazioni in corso di accertamento, sanzionando appunto quei comportamenti che con esse si pongano in contrasto.

In tale prospettiva valutativa va inquadrata in particolare l'attività notarile, per la sua specifica e delicata funzione e vanno letti e interpretati gli artt. 27 e 28 delle legge notarile, che definiscono i confini della attività del notaio tra l'obbligo di rogare gli atti richiesti e l'obbligo di rifiutarli.

L'obbligo di rogare l'atto, previa adeguata informativa sul suo contenuto e sui suoi effetti, non assume ampiezza tale da imporre al professionista di prestare la propria assistenza anche quando l'atto da rogare si ponga come un evidente strumento elusivo di norme pubblicistiche, assistite da sanzioni penali, pur in presenza di norme che, complessivamente interpretate, possano, in tesi, non necessariamente integrare la sola nullità intesa sotto il profilo civilistico. 

Cass., II sez. civile, sent. 1716/2016

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