La natura della responsabilità invocata richiede la prova di una condotta illecita che non può individuarsi solo nel clamore mediatico provocato

Non può chiedersi il risarcimento del danno all'immagine prima che sia intervenuta una sentenza che definisce il processo penale.

Va quindi rigettata la domanda avanzata dalla società per il risarcimento di danni non patrimoniali, a seguito dei reati commessi da propri dipendenti, che hanno avuto una risonanza mediatica tale da pregiudicare il prestigio e il decoro dell'azienda.

Lo ha stabilito il Tribunale di Milano, sezione X civile, in una sentenza del 19 novembre 2015 (qui sotto allegata).

Eni SpA agiva in giudizio, insieme ad una sua controllata, contro dei suoi dipendenti a seguito di un'inchiesta in corso relativa ad ipotesi di corruzione per attività compiute in Iraq e Kuwait: i dirigenti, operando quale Procurement Manager del progetto e quali intermediari, erano indagati per i reati di associazione per delinquere, corruzione per atti contrari ai doveri d'ufficio, peculato, concussione, corruzione, istigazione alla corruzione di membri degli organi delle Comunità Europee e di funzionari delle Comunità Europee e di Stati esteri, poiché avrebbero operato sfruttando canali informativi interni al gruppo Eni al fine di influire illecitamente nell'aggiudicazione di gare estere in cui erano coinvolte, come stazione appaltante, società del gruppo Eni

A causa delle indagini penali in corso e del clamore mediatico avuto sui maggiori quotidiani e su internet, l'Eni lamenta gravi danni in termini di discredito, lesione all'immagine ed alla reputazione, pertanto chiede emettersi una condanna generica ex art. 278 c.p.c., demandandosi la liquidazione in separato giudizio.

Ciononostante, il giudice territoriale evidenzia che "la natura della responsabilità invocata dalle attrici impone innanzitutto che dalle stesse sia data la prova di una condotta illecita dei convenuti" che non può individuarsi solo nella risonanza delle indagini in corso, poiché, se queste "dovessero concludersi con un'assoluzione, non implicherebbero alcun comportamento doloso o colposo in capo ai medesimi sul quale far ricadere l'obbligo risarcitorio".

Le parti attrici "hanno motivato l'attuale azione sul presupposto che la condanna generica al risarcimento del danno per fatto illecito integri un accertamento di potenziale idoneità lesiva di quel fatto, ma essendo il pregiudizio ancora 'in itinere' e potenzialmente destinato ad evolversi ed aggravarsi, risulterebbe opportuna una liquidazione in separato giudizio" e hanno ritenuto già provato l'an sulla base delle indagini espletate, pur però evidenziando la sussistenza di un pregiudizio in evoluzione, sul presupposto di ulteriori condotte che, dunque, non risulterebbero ancora definite nella loro completezza.

In conclusione, viene chiesta una condanna generica sulla base di condotte illecite sino ad oggi messe in atto dai convenuti, destinata tuttavia alla liquidazione del danno in funzione di ulteriori condotte che dovessero emergere in futuro, ma che, come tali, non possono essere enucleate nella sentenza emessa dal Tribunale di Milano.

Per questo la domanda deve essere rigettata.

Tribunale di Milano, 19 novembre 2015

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