Il potere riconosciuto al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c si risolve in un giudizio di diritto che si ha se il danno è dimostrato, incontestato o in re ipsa

di Lucia Izzo - La valutazione equitativa del danno è ammessa quando sia concretamente accertata l'ontologica esistenza di un danno risarcibile e l'impossibilità (o l'estrema difficoltà) di una stima esatta del danno dipende da fattori oggettivi e non dalla negligenza della parte danneggiata nell'allegare e dimostrare gli elementi dai quali desumere 'entità del danno.


Il concreto esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice del merito dagli artt. 1226 e 2056 c.c., s'inquadra nel potere generale attribuitogli dal disposto dell'art. 115 c.p.c.; si tratta di un giudizio di diritto caratterizzato da equità giudiziale correttiva o integrativa, "che può trovare ingresso a condizione che la sussistenza di un danno risarcibile nell'an debeatur sia stata dimostrata ovvero sia incontestata oppure se questa deve ritenersi in re ipsa poiché discendente in via diretta e immediata dalla stessa situazione illegittima rappresentata in causa".


Lo ha stabilito la con una dettaglia pronuncia la Corte di Cassazione, terza sezione civile, nella sentenza 127/2016 (qui sotto allegata).

Il contratto del titolare di una ditta di moda nei confronti della modellista va risolto per inadempimento di quest'ultima, ma non è dovuto alcun risarcimento del danno: mancano prove per sorreggere le pretese risarcitorie dell'imprenditore e i danni lamentati, poiché gli elementi offerti neppure consentivano di ricorrere ad una C.T.U.


La facoltà di liquidare il danno in via equitativa presuppone che dimostrata l'esistenza di un danno risarcibile.

Grava pertanto sulla parte interessata dimostrare, secondo la regola generale posta dall'art. 2697 c.c., ogni elemento di fatto, di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, al fine di consentire che l'apprezzamento equitativo esplichi la sua peculiare funzione di colmare soltanto le lacune insuperabili nell'iter della precisa determinazione della misura del danno stesso.

Il ricorso va pertanto rigettato e il ricorrente condannato al rimborso delle spese del giudizio.

Cass., III sez. civile, sent. 127/2016

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