Per la Cassazione è irrilevante il lungo periodo in cui avvengono gli episodi. Basta la consapevolezza dell'autore di cagionare ansia, paura o timore nell'altro

di Lucia Izzo - Per integrare il reato di atti persecutori, è irrilevante che le minacce e le molestie siano avvenute nel corso di incontri casuali con la vittima diluiti nel tempo: ciò che conta infatti è solo la consapevolezza da parte dell'agente dell'abitualità della sua condotta.


Lo ha precisato la Corte di Cassazione, sez. V penale, nella sentenza n. 43085/2015 (qui sotto allegata) su ricorso del Procuratore della Repubblica contro un'ordinanza del Tribunale che aveva annullato il provvedimento di custodia in carcere nei confronti di un uomo per il reato di atti persecutori commesso ai danni dell'ex.

Le molestie e le minacce subite avevano provocato nella donna un diagnosticato grave stato d'ansia.


Secondo il Procuratore, la pronuncia dei giudici di merito appare contraddittoria: pur avendo, infatti, ritenuto sussistenti le prove circa le ripetute minacce e molestie ai danni della persona offesa, il Tribunale ha escluso che la condotta potesse considerarsi reiterata in quanto gli incontri con la vittima sarebbero stati casuali e non preordinati.


Ma i giudici della Corte ritengono di condividere le doglianze attoree, poiché dalle risultanze processuali emerge che l'uomo, nell'arco di circa nove mesi, avrebbe posto in essere almeno cinque episodi di molestie e minacce realizzate de visu ai danni dell'e compagna dalla quale aveva avuto un figlio e dei suoi familiari ed anche telefonicamente.

Indubbiamente il tempo di consumazione della campagna persecutoria appare oggettivamente contenuto, ma per escludere che le "numerose" (secondo il Tribunale) condotte potessero integrare la reiterazione che  caratterizza il reato contestato, i giudici del riesame avrebbero dovuto spiegare "per quali ragioni il tempo trascorso tra ognuno di essi sia di per sé indicativo della loro autonomia e non sintomo dell'abitualità del comportamento dell'indagato".


Infatti, la norma incriminatrice non richiede che le intrusioni nella vita della vittima debbano avere particolari cadenze o che le condotte per essere tipiche debbano essere in qualche modo preordinate.


L'elemento soggettivo degli atti persecutori è integrato dal dolo generico, ossia dalla volontà di porre in essere le condotte di minaccia e molestia nella consapevolezza di provocare uno degli eventi alternativamente previsti dall'art. 612-bis c.p.; inoltre, avendo ad oggetto un reato abituale di

evento, l'elemento soggettivo deve essere unitario, esprimendo un'intenzione criminosa che travalica i singoli atti che compongono la condotta tipica, potendosi realizzare in modo graduale "non essendo necessario che l'agente si rappresenti e voglia fin dal principio la realizzazione della serie degli episodi".

Quindi, gli atti posti in essere dall'agente qualora "si presenti l'occasione" possono parimenti integrare la fattispecie tipica sotto entrambi i profili.

L'ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale per un nuovo esame. 


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Cass., sez. V penale, testo sentenza 43085/2015

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