Nota di commento alla sentenza del Tar Firenze n. 757 del 7 maggio 2014

Avv. Francesco Pandolfi - Quando chiediamo il rinnovo della licenza di porto di fucile per uso di caccia e sappiamo di dover gestire i risvolti amministrativi di procedimenti penali a nostro carico, magari avviati medio tempore, come dobbiamo intendere la nozione di condotta di vita?

Rispondere a questa domanda apparentemente banale è fondamentale al fine di decifrare ed affrontare un eventuale diniego comunicatoci dalla competente Questura.

Chiediamo quindi aiuto ad una sentenza del Tar di Firenze, la n. 757 del 7 maggio 2014, nella quale si esamina il tema del porto d'armi in relazione all'ordine pubblico e si analizza la nozione di condotta di vita del soggetto richiedente.

La fattispecie oggetto di quel processo è analoga a tantissime altre: c'è un decreto del Questore con il quale si respinge la domanda con la quale Tizio ha chiesto il rinnovo della licenza di porto di fucile per uso di caccia.

Il perché di questo provvedimento è chiaro: esso viene adottato in quanto presso la Procura della Repubblica risulta pendente un procedimento penale per ipotizzati reati di associazione per delinquere e contraffazione, cosicché tale circostanza non consente di esprimere "un giudizio pienamente favorevole di buona condotta" nei confronti del predetto.


Come affrontare il diniego?

A) Il focus del ricorso deve essere calibrato sulla carenza di motivazione e sull'eccesso di potere dell'Amministrazione, sottolineando che non sussistono elementi idonei a far presumere la pericolosità sociale del ricorrente, la cui precedente condotta è sempre stata impeccabile,

B) inoltre sul fatto che il procedimento penale a suo carico è ancora pendente e che nessun provvedimento è stato adottato nei suoi confronti,

C) altresì che nel provvedimento impugnato non si comprende quale sia il collegamento tra i capi di imputazione e la presunta capacità di abusare delle armi,

D) infine che i semplici sospetti di abuso non possono essere sufficienti a legittimare un provvedimento che impedisca l'utilizzo o la detenzione di armi: la valutazione discrezionale rimessa all'Amministrazione dell'Interno deve per forza investire il complesso della condotta di vita del soggetto interessato e deve essere frutto di una adeguata istruttoria tradotta in una altrettanto adeguata motivazione.


Le ragioni che possono portare all'accoglimento del ricorso

Il provvedimento impugnato non rappresenta il corretto esercizio del potere attribuito all'Autorità di P.S. se la valutazione di inaffidabilità del ricorrente si basa esclusivamente sulla pendenza penale ed evita di tenere conto di altri elementi che, invece, assumono particolare rilevanza ai fini di una valutazione complessiva della condotta di vita e della situazione dell'interessato.


Quindi, gli elementi favorevoli per il ricorrente sono:

1) il procedimento penale richiamato nel decreto impugnato è ancora pendente,

2) nessun provvedimento è stato adottato nei confronti del ricorrente dall'Autorità giudiziaria,

3) non ci sono ulteriori elementi pregiudizievoli a carico del ricorrente,

4) non c'è nesso tra i reati ipotizzati e la licenza richiesta, visto che i reati in questione non attengono alla detenzione o all'uso improprio delle armi e non appaiono neppure idonei ad evidenziare una specifica propensione all'abuso delle armi o alla violenza fisica.


Cosa fare:

E' semplice: nel caso il diniego del Questore appaia immotivato, innescare il ricorso ponendo all'attenzione del magistrato le carenze istruttorie che sono state poste a base del provvedimento.

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Francesco Pandolfi
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Si occupa principalmente di Diritto Militare in ambito amministrativo, penale, civile e disciplinare ed и autore di numerose pubblicazioni in materia.
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