Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale e l'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite sulla domanda di accertamento negativo

di Valeria Zeppilli - Sulle modalità con cui contestare la falsità di un testamento olografo sono stati spesi fiumi di inchiostro.

Esponenti di rilievo di dottrina e giurisprudenza si sono per anni fronteggiati su quale fosse la modalità più opportuna per far valere in giudizio la non veridicità della scrittura testamentaria, senza riuscire a trovare un punto di incontro… sino allo scorso 15 giugno!

Interpellate con l'espressa richiesta di fare chiarezza in merito, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno optato per una soluzione che cerca di mettere d'accordo un po' tutti e che di certo influenzerà le interpretazioni e le decisioni future.

Ma procediamo con ordine.

La tesi della sufficienza del disconoscimento

Secondo un primo, e maggiormente diffuso, orientamento, la falsità di un testamento olografo può essere fatta valere da chi ne abbia interesse, attraverso un disconoscimento dell'atto.

Intervenuto tale disconoscimento, sarà il soggetto beneficiario del testamento impugnato a dover proporre all'autorità giudiziaria domanda di verificazione, al fine di accertarne la genuinità, sobbarcandosi il relativo onere della prova.

In tal senso, interessante è la sentenza n. 2474/2005 della Corte di cassazione, in base alla quale "qualora sia fatta valere la falsità del testamento

(nella specie olografo), l'azione - che ha ad oggetto l'accertamento dell'inesistenza dell'atto - soggiace allo stesso regime probatorio stabilito nel caso di nullità prevista dall'art. 606 c.c. per la mancanza dei requisiti estrinseci del testamento, sicché - avuto riguardo agli interessi dedotti in giudizio dalle parti - nell'ipotesi di conflitto tra l'erede legittimo che disconosca l'autenticità del testamento e chi vanti diritti in forza di esso, l'onere della proposizione dell'istanza di verificazione del documento contestato incombe sul secondo, cui spetta la dimostrazione della qualità di erede, mentre nessun onere, oltre quello del disconoscimento, grava sull'erede legittimo. Pertanto sulla ripartizione dell'onere probatorio non ha alcuna influenza la posizione processuale assunta dalle parti, essendo irrilevante se l'azione sia stata esperita dall'erede legittimo (per fare valere, in via principale, la falsità del documento) ovvero dall'erede testamentario che, agendo per il riconoscimento dei diritti ereditari, abbia visto contestata l'autenticità del testamento
da parte dell'erede legittimo
".

La tesi della necessità della querela di falso

Secondo un diverso orientamento, la terzietà del soggetto rispetto al testamento olografo contro di lui prodotto rende necessario il ricorso allo strumento della querela di falso al fine di contestare la veridicità della scrittura testamentaria.

In tal senso si veda, tra le tante, la sentenza della Cassazione n. 16362/2003, in base alla quale "la procedura di disconoscimento e di verificazione di scrittura privata (artt. 214 e 216 c.p.c.) riguarda unicamente le scritture provenienti dai soggetti del processo e presuppone che sia negata la propria firma o la propria scrittura dal soggetto contro il quale il documento è prodotto; per le scritture provenienti da terzi (come nel caso di un testamento olografo), invece, la contestazione non può essere sollevata secondo la disciplina dettata dalle predette norme, bensì nelle forme dell'art. 221 e ss. c.p.c., perché si risolve in un'eccezione di falso".

Per altra parte della giurisprudenza, la possibilità di utilizzare lo strumento della querela di falso si pone come semplice alternativa al disconoscimento, in ragione delle diverse conseguenze che derivano dalla scelta di uno strumento anziché un altro, ovverosia la rimozione degli effetti del testamento solo tra le parti nel caso di disconoscimento o erga omnes nel caso di querela di falso (cfr. Cass. 4728/2007).


L'intervento delle Sezioni Unite: la domanda di accertamento negativo

In tale contesto si inserisce la sentenza n. 12307/2015, in base alla quale il successore che intenda impugnare un testamento olografo che ritenga privo di autenticità non può né limitarsi a disconoscerlo, né essere costretto a procedervi attraverso la querela di falso: egli deve formulare domanda di accertamento negativo, con conseguente necessario assolvimento dell'onere probatorio circa quanto contestato.

A seguito di una lunga dissertazione circa le ragioni attorno alle quali si sono negli anni sviluppati i due distinti orientamenti sovra citati, i giudici pongono a sostegno del principio di diritto enunciato la circostanza che esso permette di rispondere all'esigenza di mantenere il testamento olografo circoscritto nell'orbita delle scritture private, di evitare di dover individuare un criterio di distinzione tra la categoria delle scritture private con valenza probatoria di incidenza sostanziale e processuale elevata a tal punto da richiedere la querela di falso, di non equiparare il testamento olografo ad una qualsivoglia scrittura proveniente da terzi e di evitare che il semplice disconoscimento di un atto caratterizzato da tale efficacia dimostrativa renda troppo gravosa la posizione dell'attore che si professa erede.

La decisione è inoltre sostenuta dalla necessità di evitare il dispendio di risorse giudiziarie che potrebbe derivare dal procedimento incidentale che consegue alla querela di falso.

Valeria Zeppilli

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