"Non continenza" nel sintagma "danno biologico" - Un caso significativo di lesioni di non lieve entità, al di fuori dell'applicazione dell'art. 139 del d.lgs. 7.9.2005, n. 209
di Paolo M. Storani - L'ariosa prosa della poderosa pronuncia, relativa a un caso di responsabilità medico-sanitaria, di Cass., Sez. III Civ., 9 giugno 2015, n. 11851, Pres. Antonio Segreto, Est. il Consigliere Giacomo Travaglino, con Angelo Spirito, Raffaella Lanzillo e Paolo D'Amico a completare il sontuoso collegio di ermellini nella camera di consiglio del 3 febbraio 2015, si presta a numerose considerazioni da dipanare per i lettori di LIA Law in Action

Con una stella polare: la "non continenza" nel sintagma "danno biologico" anche del danno morale, vale a dire l'aspetto interiore del danno (il dolore interiore, la sofferenza o patimento - patema d'animo - morale contingente e transeunte).

Danno morale è ogni sofferenza che il danneggiato patisce in dipendenza del fatto illecito altrui, diversa dal dolore direttamente indotto dalla menomazione fisica o dalle limitazioni anatomo funzionali permanenti derivanti dall'illecito.

Quanto al danno morale, viene posta nella disamina la domanda se la Corte di Cassazione abbia mai cancellato la fattispecie del danno morale intesa come "voce" integrante la più ampia categoria del danno non patrimoniale.

Infatti, con la quadruplice pronuncia - capostipite n. 26972 e seguenti dell'11 novembre 2008 le Sezioni Unite stabilirono princìpi che avrebbero dovuto essere netti e chiari:

a) il danno non patrimoniale è una categoria giuridica unitaria allo stesso modo di quello patrimoniale.

b) può assumere molte forme e produrre svariate conseguenze: di tutte il giudice deve tenere conto nella liquidazione per quanto allegato e provato dalle parti, ma senza automatismi risarcitori.

Del resto, le norme degli articoli 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni Private di cui al D. Lgs. 209/2005 all'epoca già varati (anche se il primo resta inattuato e si sopperisce con la tabella di Milano), riguardanti rispettivamente macrodanni e micropermanenti, non consentivano e non consentono tuttora una lettura diversa da quella che predica la separazione tra i criteri di liquidazione in esse codificati per il danno biologico e per il danno morale, oggi circoscritti alla dimensione di mere voci descrittive, in esito proprio alla statuizione delle Sezioni Unite dell'11 novembre 2008.

La panoramica contenuta nella pronuncia che proponiamo ai nostri lettori ripercorre la storia giurisprudenziale di tale concetto.

Massima - La conclusione cui perviene con tale sentenza

il S.C. è che "ogni vulnus arrecato ad un interesse tutelato dalla Carta costituzionale si caratterizza... per la sua doppia dimensione del danno relazione/proiezione esterna dell'essere e del danno morale/interiorizzazione intimistica della sofferenza".

Talché, in caso di lesioni di non lieve entità e, dunque, al di fuori dell'ambito dei pregiudizi micropermanenti contemplati all'art. 139 Cod. Ass., il danno morale costituisce una voce di pregiudizio non patrimoniale ricollegabile alla violazione di un interesse costituzionalmente tutelato, da mantenere distinta dal danno biologico e dal danno nei suoi aspetti dinamico relazionali presi in considerazione dall'art. 138 del decreto legislativo n. 209/2005, con il corollario che, ove dimostrato e provato (cfr. pag. 17 della motivazione ove si riprende la statuizione della coppia di gemelle della Sez. III 8827 e 8828/2003) "perché la liquidazione, per non trasmodare nell'arbitrio, necessita di parametri a cui ancorarsi", va risarcito autonomamente, senza che ciò implichi duplicazione risarcitoria.

Sul fondo della pronuncia si staglia una distinzione delle due voci morfologica prima ancora che funzionale.

Il caso - Il Tribunale di Venezia liquidava agli attori i danni non patrimoniali risentiti, iure proprio e in via ereditaria, nella misura di €1.000.816,00 in conseguenza della malattia e del susseguente decesso della Signora Z., rispettivamente moglie e madre degli istanti, con condanna del medico e del Centro Clinico Chimico; infatti, costei era affetta da un carcinoma maligno all'utero che, ove tempestivanente diagnosticato, avrebbe potuto essere adeguatamente curato, con correlata elisione o almeno limitazione e differimento temporale dell'esito letale della patologia.

Danno da agonia o danno da perdita della vita: quale linea di demarcazione? - Ricordiamo che qualche settimana prima della sentenza in commento è avvenuto il deposito di una pronuncia molto (troppo) attesa.

Infatti, con la sentenza delle Sezioni Unite n. 15350/2015, Est. Salmè, si è negata la trasmissibilità iure successionis del danno da perdita della vita per il caso di morte immediata o intervenuta a breve distanza di tempo dall'evento lesivo.

Per contro, nella presente disamina si tratta del caso della "risarcibilità del danno non patrimoniale, che la vittima acquisisce nel suo patrimonio e trasferisce agli eredi, allorché intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra la lesione e la morte" (virgolettato desunto sempre da Cass., Sez. U., 22 luglio 2015, n. 15350).

Sappiamo che, dopo un'attesa interminabile (e presumibili, non componibili dissidi tra le varie correnti di pensiero propugnate dai componenti del Collegio), il 22 luglio 2015 il S.C. ha bocciato l'idea... platonica che possa essere risarcito il danno da perdita immediata della vita.

Con accostamento ossimorico definirei la sentenza, forse destinata a rapido oblio per non aver sciolto il nodo che invece le si chiedeva di dirimere, pare un esempio di... pietà ingiusta in quanto non opera una limpida distinzione fra danno da agonia e danno da perdita della vita, subordinando la tutela della vittima al controverso concetto di apprezzabilità del lasso di tempo di sopravvivenza.

Il danno da agonia è risarcibile ed è presente proprio nella causa in commento, che viene ormai apprezzata quale un leading case.

La nozione di danno biologico terminale è una figura di creazione giurisprudenziale: la vittima percepisce uno stato di grande sofferenza fisica e mentale nel lasso di tempo intercorrente fra la lesione della salute ed il susseguente, inesorabile spegnersi delle funzioni vitali: postula l'esistenza di una patologia medicalmente accertabile, la quale, per potersi definire apprezzabile, deve progredire in un lasso di tempo ragionevole sino all'evento morte.

Alcuni autorevoli interpreti hanno commentato il non-ancora della pronuncia del 22 luglio 2015 in modo fatalmente trapassato ed irreversibile in un mai-più.

Patrizia Ziviz, invece, ha sottolineato in Ri.da.re. - Giuffrè del 28 luglio 2015 che "lungi dall'approfondire tale questione, le Sezioni Unite hanno scelto di imboccare la strada meno auspicabile: quella volta a sancire un semplice ritorno al passato", ritorno al passato che figura anche nel titolo della prestigiosa Autrice.

Curiosamente la pregevole ed antecedente sentenza n. 11851/2015 qui in disamina sgorga dalla felice e colta penna proprio di uno dei componenti di quelle Sezioni Unite, nonché giudice remittente con l'interlocutoria ordinanza 5056/2014 susseguente alla innovativa Cass. n. 1361 del 23 gennaio 2014 (c.d. sentenza Scarano): il Consigliere Giacomo Travaglino.

Sviluppi giudiziari - In sede penale il sanitario aveva patteggiato la pena.

La Corte di Appello lagunare, investita delle impugnazioni della Nuova Tirrena-Groupama in via principale, quale terza chiamata in causa su iniziativa del Centro Clinico, e del medesimo Centro Clinico, nonché del medico in via incidentale, riduceva grandemente l'entità della liquidazione del danno, diminuendola ad €580.816,00, rigettando, però, ogni censura sull'an debeatur.

La Corte di Cassazione respinge i ricorsi e controricorsi riuniti e dichiara compensate le spese di giudizio.

Infatti, il S.C. ha ritenuto, con riguardo tanto alla liquidazione del danno personalmente risentito dalla vittima, quanto a quello patito dai congiunti a titolo di perdita del rapporto parentale, che siano stati adeguatamente considerati entrambi gli aspetti del danno dianzi declinati.

La questione - Come ripercorso nella stessa motivazione della decisione in commento per LIA Law In Action, la Corte di Cassazione è chiamata, in prima battuta, ad esaminare la questione concernente la condotta contestata al Dott. P. con violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c. dal momento che la sentenza lagunare avrebbe fondato la responsabilità su un titolo diverso da quello allegato in giudizio (primo motivo).

Si denuncia, altresì, la violazione e la falsa applicazione degli articoli 163, 164 e 183 c.p.c. e dell'art. 24 Cost. per l'ipotesi che la sentenza abbia fondato la responsabilità del Dott. P. su un titolo allegato in giudizio oltre il delimitare delle preclusioni istruttorie.

È questo il secondo di una coppia di motivi che tende a sostenere un vizio di ultrapetizione della pronuncia.

La responsabilità sarebbe stata affermata su una rilevata condotta omissiva, mentre l'originaria causa petendi era fondata sul presupposto di una condotta colposamente commissiva.

Lo stesso ricorrente sul punto enunciava che la Corte territoriale si era limitata a confermare la decisione di prime cure, già basata sull'affermazione di responsabilità per condotta esclusivamente omissiva.

Orbene, dagli atti non emergeva che il Ditt. P. si fosse mai doluto espressamente e tempestivamente; non vi è traccia neppure nelle conclusioni rassegnate in sede di appello.

Il ricorrente ha violato, pertanto, il principio di autosufficienza non avendo riportato il contenuto di atti di primo o di secondo grado ove l'eccezione sia stata sollevata e illegittimamente pretermessa dai giudici di merito.

Inoltre, il secondo motivo è infondato anche nel merito perché la Corte ha basato il proprio convincimento su una condotta sicuramente commissiva del sanitario, cui sarebbe poi seguita, quale inevitabile (ed irrilevante ai fini della correttezza della domanda) post factum l'omissione.

Ancora, si denuncia che la sentenza avrebbe attribuito valore probatorio ad una perizia tecnica acquisita in sede penale senza contraddittorio (terzo motivo).

Il quarto motivo attiene alla provenienza di parte della perizia svolta su incarico del PM.

Tale coppia di censure è infondata.

Le perizie giunsero alle medesime conclusioni in ordine alla colpevolezza del medico.

La perizia penale riveste un valore indiziario che, per costante giurisprudenza del S.C., si riverbera nel giudizio civile di danni e per giunta formò anche oggetto di testimonianza resa in primo grado, a conferma dell'assoluta legittimità dell'utilizzo in sede probatoria ad opera del giudice di merito.

Ma, con ordine sistematico, ricordato che i motivi 5 e 6 denunciano omessa o insufficiente motivazione circa la perdita del materiale probatorio (vetrini) e circa l'attività svolta dal medico (asserita incompetenza citodiagnostica del sanitario) all'interno del centro clinico chimico, temi infondati perché affrontati e risolti dalla Corte territoriale, ora passiamo al cuore pulsante della pronuncia, che abbiamo anticipato sia nel titolo, sia nel preambolo della presente nota.

Le soluzioni giuridiche - La Corte di Cassazione, mediante la pronuncia in epigrafe, compie - lo abbiamo già esposto in apertura - una panoramica che ripercorre le tappe salienti del danno non patrimoniale, tenendo, però, defilate e sullo sfondo della scena le quattro sentenze di San Martino 2008, considerate lo statuto della materia.

Il Cons. Giacomo Travaglino, in particolare, riprende alcune decisioni storiche in ordine alle proiezioni dannose del fatto lesivo, tra le quali segnaliamo quelle che seguono (anche con una menzione al progetto di riforma dell'intero sistema, presentato dal Vice Presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, On.le Alfonso Bonafede del M5s):

In tema di danno morale e di danno alla vita di relazione

356/1991 Corte Cost.;

327/1994 Corte Cost.;

le gemelle delle Sezioni Semplici 8827 - tetraparesi spastica - e 8828/2003 - investimento mortale - (riprese all'interno della successiva 22585/2013) che, depositate dalla Sez. III (Pres. Vincenzo Carbone, Rel. Roberto Preden, con Antonio Segreto, Alfonso Amatucci - a propria volta Estensore della prima, la 8827, e Gianfranco Manzo a chiudere il Collegio) il 31 maggio 2003, completarono l'opera di revisione ermeneutica dell'art. 2059 c.c., innovando il concetto del danno non patrimoniale quale categoria di riferimento per l'art. 2059 medesimo e l'ampiezza dei limiti concretamente posti dalla norma al risarcimento, anche al di fuori dell'ipotesi di reato: viene in tal modo abbandonata la tradizionale lettura dell'art. 2059 c.c. quale norma diretta ad assicurare la riparazione esclusivamente al danno morale soggettivo, alla sofferenza contingente, al turbamento d'animo transeunte determinato da fatto illecito integrante ipotesi di reato; non soggiace più alla riserva di legge correlata all'art. 185 c.p. allorché vengano lesi valori della persona costituzionalmente garantiti;

233/2003 Corte Cost., suggello della Consulta dell'11 luglio 2003, in evidente consonanza con le predette gemelle 8827 e 8828/2003;

6572/2006 a Sezioni Unite, resa in tema di demansionamento del lavoratore, dal momento che dall'inadempimento datoriale possono nascere, astrattamente, una pluralità di sequele lesive, tipi danno professionale, danno all'integrità psico-fisica o danno biologico, danno all'immagine o alla vita di relazione, sintetizzati nella locuzione danno esistenziale, 

28407/2008,

29191/2008,

5770/2010,

18641/2011, depositata il 12 settembre 2011 dalla Sez. III, Pres. Mario Rosario Morelli, Rel. Giacomo Travaglino (giudici Fulvio Uccella, Adelaide Amendola e Paolo D'Amico);

12408/2011, depositata il 7 giugno 2011 dalla Sez. III, Pres. Roberto Preden, Rel. Alfonso Amatucci (giudici Adelaide Amendola, Giovanni Giacalone e Luigi Alessandro Scarano), che ha elevato le tabelle in uso presso il Tribunale di Milano a dignità di generale parametro risarcitorio per il danno non patrimoniale (prima del 2008 contemplavano un aumento di un terzo nella percentuale del danno biologico come parametro per liquidare il diverso danno morale soggettivo), con la conseguenza che la mancata adozione da parte del giudice di merito delle Tabelle di Milano in favore di altre, ivi ricomprese quelle in precedenza utilizzate presso la diversa autorità giudiziaria cui appartiene, integra violazione di norma di diritto censurabile ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., stando a Cass., Sez. III, 20 maggio 2015, n. 10263, Pres. Giovanni Battista Petti, Rel. Luigi Alessandro Scarano;

20292/2012, depositata il 20 novembre 2012 dalla Sez. III, Pres. Giovanni Battista Petti, Rel. Giacomo Travaglino;

22585/2013, depositata il 3 ottobre 2013 (Pres. Fulvio Uccella, Rel. il medesimo Dr. Travaglino), che a sua volta riprende il dictum della precedente;

235/2014 Corte Cost., relativa alle sole micropermanenti (sino al 9%) e predicativa, per avere "un livello accettabile e sostenibile dei premi assicurativi", della legittimità costituzionale dell'art. 139 del Codice delle Assicurazioni Private, di cui il Consigliere Travaglino compie quasi un'interpretazione autentica, concretando un obiter dictum nel richiamare il passo che afferma che la norma "non è chiusa, come paventano i remittenti, alla risarcibilità anche del danno morale: ricorrendo in concreto i presupposti del quale, il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell'ammontare del danno biologico, secondo la previsione e nei limiti cui alla disposizione del comma 3 (aumento del 20%)", vale a dire attraverso la personalizzazione del danno.

Il riferimento a quest'ultima, autorevole pronuncia serve a sconfessare definitivamente, al massimo livello interpretativo, la tesi "predicativa della unicità del danno biologico, qual sorta di primo motore immobile del sistema risarcitorio, Leviatano insaziabile di qualsivoglia voce di danno".

Questo è l'art. 139, ma il precedente art. 138 Cod. Ass. dopo aver definito, alla lettera A) del secondo comma, il danno biologico in modo del tutto identico a quella di cui all'articolo successivo, precisa poi al terzo comma che l'ammontare del danno può essere aumentato dal giudice sino al trenta per cento con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.

Siamo così giunti alla pag. 31 della poderosa pronuncia ove, in fondo, si legge: "lo stesso tenore letterale della disposizione in esame lascia comprendere il perché la Corte Costituzionale abbia specificamente e rigorosamente limitato il suo dictum alle sole micropermanenti: nelle lesioni di non lieve entità, difatti, l'equo apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato è funzione necessaria ed esclusiva della rilevante incidenza della menomazione sugli aspetti dinamico relazionali personali. Il che conferma, seppur fosse ancora necessario, la legittimità dell'individuazione della doppia dimensione fenomenologica del danno, quella di tipo relazionale, oggetto espresso della previsione legislativa in aumento, e quella di natura interiore, da quella stessa norma, invece, evidentemente non codificata e non considerata, lasciando così libero il giudice di quantificarla nell'an e nel quantum con ulteriore, equo apprezzamento. Il che conferma che, al di fuori del circoscritto ed eccezionale ambito delle micropermanenti, l'aumento personalizzato del danno biologico è circoscritto agli aspetti dinamico relazionali della vita del soggetto in relazione alle allegazioni e alle prove specificamente addotte, del tutto a prescindere dalla considerazione (e dalla risarcibilità) del danno morale. Senza che ciò costituisca alcuna 'duplicazione risarcitoria'".

La prova del danno - Potrà essere fornita senza limiti, afferma la sentenza alla pag. 34, e dunque avvalendosi anche delle presunzioni e del notorio. "E di tali mezzi di prova il giudice di merito potrà disporre alla luce di una ideale scala discendente di valore dimostrativo, volta che essi, in una dimensione speculare rispetto alla gravità della lesione, rivestiranno efficacia tanto maggiore quanto più sia ragionevolmente presumibile la gravità delle conseguenze, intime e relazionali, sofferte dal danneggiato".

Ed infine, un ultimo flash su quanto pubblicheremo nei prossimi giorni.

Danno morale da invalidità temporanea - Corte di Appello Milano, 9 febbraio 2015, n. 643, Pres. Rel. Baldo Marescotti, Giudici Carla Romana Raineio e Cesira D'Anella: ritenendo che il danno morale non possa scomporsi in varie voci, lo ha liquidato pur nell'assenza di postumi permanenti derivanti da colpa dentistica; in particolare, App. Milano ha liquidato il danno morale da invalidità temporanea con un equivalente pecuniario di € 3.000,00 tenuto conto che l'attrice ha sofferto dolori forti e persistenti nella zona trattata dal convenuto medico odontoiatra.

Il form sottostante è a Vostra completa disposizione per eventuali considerazioni.



Cassazione, sentenza n. 11851/2015
Vedi anche:
Calcolo del danno biologico | Guida sul Danno Biologico | Articoli sul danno biologico
Altri articoli di Paolo Storani | Law In Action | Diritti e Parole | MEDIAevo | Posta e risposta

Altri articoli che potrebbero interessarti:
In evidenza oggi: