Il principio applicabile al caso di specie,ricorda la Corte, è il seguente: "ai sensi dell'art. 720 cod. civ., in caso di comunione ereditaria avente ad oggetto un immobile non comodamente divisibile, se vi sono coeredi titolari di quote identiche e tutti chiedono l'assegnazione, il giudice ha il potere-dovere di scegliere tra i più richiedenti valutando ogni ragione di opportunità e convenienza, dandone adeguata motivazione; se poi non sia ravvisabile alcun criterio oggettivo di preferenza (o nessuno dei condividenti voglia giovarsi della facoltà di attribuzione dell'intero) soccorre il rimedio residuale della vendita all'incanto".
Questo non significa che il giudice possa scegliere il condividente a cui assegnare il bene per il solo fatto che questi abbia fatto una offerta maggiore rispetto al prezzo di stima.
Come si legge in sentenza, "se la scelta dell'assegnatario dovesse essere determinata dalla somma che egli offre di pagare a conguaglio, verrebbe meno la caratteristica tipica del procedimento per assegnazione e questo si risolverebbe in una vendita all'incanto, mentre il procedimento divisionale non è soggetto a gara tra i condividenti, altrimenti verrebbe meno la parità di condizione degli aspiranti assegnatari e la scelta verrebbe ad essere determinata, o quanto meno influenzata, dalle maggiori o minori possibilità economiche degli aspiranti".
Per lo stesso motivo il legislatore ha preferito l'assegnazione rispetto alla vendita, lasciando l'incanto solo come ultima possibilità. Il gravame è accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio.
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