Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n. 1918 del 3 Febbraio 2015

di Licia Albertazzi - Corte di Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza n. 1918 del 3 Febbraio 2015. Ai sensi dell'art. 2087 cod. civ. grava sul datore di lavoro, in presenza appunto di una particolare tipologia contrattuale, l'onere di fornire adeguata protezione volta ad "assicurare l'integrità fisica e psichica dell'altro" (cioè, del lavoratore, controparte contrattuale). 


Sul piano strettamente processuale, è quindi accollata al datore l'onere di fornire la prova contraria, cioè di liberarsi dalla responsabilità del danno. E' quindi errato, secondo la Suprema corte, il principio di diritto esposto dalla Corte di merito secondo la quale "la responsabilità penale può essere affermata non quando manchi semplicemente la prova liberatoria, di avere tutelato l'incolumità dei dipendenti, ma soltanto sussista la prova positiva della emissione di comportamenti doverosi".


E' dunque accolto, e la sentenza cassata con rinvio, il ricorso presentato dall'INAIL contro la società datrice di lavoro, proprio perchè il giudice del merito avrebbe operato inadeguata interpretazione delle norme di legge, di fatto capovolgendo il significato intrinseco del concetto di onere della prova in ambito di infortuni sul lavoro


Il principio consolidato della Cassazione è invece il seguente: "in presenza di una fattispecie contrattuale che, come nell'ipotesi del contratto di lavoro, obblighi uno dei contraenti (il datore di lavoro) a prestare una particolare protezione rivolta ad assicurare l'integrità fisica e psichica dell'altro (ai sensi dell'art. 2087 c.c.) non può sussistere alcuna incompatibilità tra responsabilità contrattuale e risarcimento del danno morale, siccome la fattispecie astratta di reato è configurabile anche nei casi in cui la colpa sia addebitata al datore di lavoro per non aver fornito la prova liberatoria richiesta dall'art. 1218 codice civile".


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