Il segreto professionale cui sono tenuti i preti in ambito 'ecclesiale' non puo' essere applicato nell'ambito dell''ordinamento processuale italiano', tanto piu' se le loro rivelazioni incidono su una vicenda a sfondo penale. Pertanto il sacerdote non e' obbligato, in ogni caso, al segreto professionale. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, ribaltando la sentenza pronunciata nei due precedenti gradi di giudizio, ha sancito che 'l'eventuale segreto previsto dal codice canonico, ha rilevanza nell'ambito dell'ordinamento giuridico
della Santa Sede ma non assume rilevanza nell'ordinamento processuale italiano'. A sollecitare la pronuncia della Suprema Corte, una causa per diffamazione nata in seguito alla richiesta di annullamento di matrimonio di una coppia dell'Aquila, finito davanti ai giudici della Sacra Rota. Il marito, Francesco V. chiedeva appunto di annullare le nozze contratte con Simonetta D. S. sulla base del fatto che la donna, a suo dire, sarebbe stata affetta 'da disturbi psichici e mentali'. Sentendosi diffamata dalle affermazioni del marito, la donna ha avviato una causa davanti al giudice italiano, chiedendo di acquisire le prove del reato contenute nei verbali della causa ecclesiastica e chiedendo di chiamare a testimoniare quanti erano presenti alle dichiarazioni. Tra loro anche un prete.

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