Il segreto confessionale, ovverosia la riservatezza delle dichiarazioni rese da un fedele durante la confessione, è tutelato ma solo entro certi limiti

Cos'è il segreto confessionale

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Con l'espressione segreto confessionale si intende l'impossibilità per il parroco che raccoglie la confessione di un proprio fedele di rivelarne l'oggetto a terze persone.

Sebbene anche il nostro ordinamento penale riconosca tale segreto, le tutele allo stesso apprestate soggiacciono comunque a dei limiti.

Il segreto dei preti

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In linea generale, l'articolo 200 del codice di procedura penale prevede che, tra gli altri "Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria: a) i ministri di confessioni religiose, i cui statuti non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano".

Anche i preti, insomma, possono avvalersi del segreto professionale.

A tale previsione si aggiunge quella di cui all'articolo 4 della legge n. 121/1985, nel quale si legge che "gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero".

Attenzione alla falsa testimonianza

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L'articolo 200, come visto, nel riconoscere il segreto professionale fa salve in ogni caso le ipotesi in cui i preti hanno l'obbligo di riferire dei fatti appresi per ragione del proprio ministero all'autorità giudiziaria.

Si deve ritenere che tale eccezione vada letta nel senso di lasciare libero il prete di denunciare o meno un reato perseguibile d'ufficio del quale sia venuto a conoscenza durante la confessione, ma di non permettere allo stesso di rifiutarsi di rendere una testimonianza in merito ai fatti appresi in tale contesto, specie se il fedele era la vittima.

Del resto, qualche anno fa la Corte di cassazione ha decretato la condanna di un prete e di una suora per il reato di falsa testimonianza, per essersi gli stessi rifiutati di deporre su notizie inerenti a una violenza sessuale delle quali erano venuti a conoscenza perché riferiti loro dalla vittima: non si trattava di peccati da confessare ma di fatti subiti, che, quindi, non potevano essere considerati coperti da segreto (Cass. n. 6912/2017).

Valeria Zeppilli

Foto: 123rf.com
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