Un uomo che ha donato oltre mezzo milione di euro in beni immobiliari al fratello, si è visto addebitare la separazione richiesta dalla moglie.

Va bene l'amore fraterno, ma il troppo stroppia. Così, un uomo che, in un atto di estremo "altruismo" francescano, ha donato oltre mezzo milione di euro in beni immobiliari al fratello, si è visto addebitare la separazione richiesta dalla moglie.

La Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla vicenda, ha ritenuto valide le statuizioni di merito.

Come argomentato, per presunzioni, dalla sentenza d'appello impugnata, si legge infatti nell'ordinanza n. 23307 del 31 ottobre 2014, è da ritenersi "sussistente il nesso di causalità tra comportamento addebitabile ed intollerabilità della convivenza, precisando che il predetto depauperamento costituisce sicura violazione dell'obbligo di contribuzione di cui all'art. 143 c.c., espresso con una condotta particolarmente grave per i connotati che ha assunto, e tale da assorbire ogni altro profilo di censura, pur sollevato dalla moglie nei confronti del marito".

Né possono assumere rilievo secondo la Cassazione, i comportamenti "vessatori" della moglie, affatto provati (e che non possono identificarsi con le iniziative giudiziarie da essa intraprese (nella specie domanda di interdizione). Neppure la differente stima effettuata dal CTU rispetto al consulente di parte dell'appellante, può avere rilevo giacché non è necessaria una perfetta identità numerica per rendersi conto delle utilità economiche che dal patrimonio donato dal marito potevano risultare (circa 550.000,00 euro di beni ceduti al fratello).

Peraltro, non essendo neanche "provate le ragioni della donazione e cioè l'esistenza di debiti verso il fratello", ha concluso la S.C., rigettando il ricorso, non può che ritenersi sussistente il notevole depauperamento del patrimonio del ricorrente e giustificato l'importo dell'assegno sia per la moglie che per le figlie maggiorenni, nei confronti delle quali l'uomo non ha fornito prova del raggiungimento dell'autonomia economica. 

Cassazione civile, testo ordinanza 31 ottobre 2014, n. 23307

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