MEDIAevo n. 33 di Paolo M. Storani - (PARTE PRIMA) Similitudini a non finire con il caso di Pier Paolo Pasolini ed anche con il mistero di Luigi Tenco

Personaggi ingombranti ed inquietanti.

E poi un dato di fatto. Grande fretta di concludere le indagini: appena 55 giorni per lasciare irrisolti molti dubbi che il cronista di razza Philippe Brunel ha racchiuso nel prezioso scrigno di notizie intitolato in lingua italiana Gli ultimi giorni di Marco Pantani.

Lo ha pubblicato in Italia nel 2008 Rizzoli, con prefazione dell'immenso Gianni Mura di Repubblica.

Titolo originale in Francia è Vie et mort de Marco Pantani ed è del 2007.

Lo tengo sempre a portata di mano.

Non finisco mai di sorprendermi per la serietà e per l'amore di verità con cui il giornalista dell'Équipe viviseziona il caso del Pirata romagnolo (per la caratteristica bandana), secondo molti esperti il più grande scalatore della storia del ciclismo.

Hein Ciere per Wikimedia è, invece, l'autore della fotina prescelta da LIA Law In Action per questo articolo dedicato alla riapertura delle indagini sulla morte di Marco Pantani.

L'iniziativa è della famiglia del campione, in particolare della madre Tonina.

L'immagine prescelta lo ritrae al Tour de France del 1997 sull'Alpe d'Huez

È il giorno di San Valentino del 2004 quando a Rimini, in un residence illuminato da fredde luci al neon, simile a tanti altri della Riviera dello sballo, il vincitore di Giro e Tour viene rinvenuto cadavere nella stanza D5.

Ora il residence Le Rose non esiste più, distrutto dopo un anno dalla tragedia e trasformato nel Rose Suite Hotel di stampo neocoloniale, come se ne vedono a Miami (e, quindi, nessuna indagine ulteriore potrà essere esperita sui luoghi teatro della tragedia, definitivamente modificati).

Pantadattilo (definizione di Gianni Mura, suo cantore) era ormai preda demoniaca dei media che lo etichettarono come un maledetto dopato e cocainomane, dedito ai giri notturni ed alle prostitute.

Uno che una fine così squallida, in fondo, se l'era cercata.

Pantani era, questo sì, un uomo disperato e depresso, ma ciò non può condizionarci nel trascurare alcuni dettagli.

In realtà, in un mondo in cui il doping scorre a fiumi come quello del ciclismo (è possibile fare il ciclista senza doparsi?), Pantani appariva come un libero pensatore non allineato, dotato di una rara profondità d'animo.

Il Pubblico Ministero Paolo Gengarelli parcheggia la sua vettura accanto ai mezzi della Polizia Scientifica la sera stessa di quel maledetto 14.2.2004.

È un fior di magistrato, il più esperto tra quelli guidati dal Procuratore Capo di Rimini dell'epoca, Franco Battaglino, e si è occupato della banda della Uno Bianca e di Muccioli. È circondato da grande stima.

Si apre anche al colloquio con il giornalista francese che sta raccogliendo una mole impressionante di dati.

Il Dott. Gengarelli nella primavera 2004 comunica a Mamma Tonina: "è morto per overdose, su questo non c'è alcun dubbio", ricorda Brunel a pag. 107 del suo resoconto.

Nello stomaco Pantani aveva cocaina ed accanto al corpo v'era uno strano miscuglio che probabilmente aveva masticato e risputato nel cadere.

Tuttora l'anziano Magistrato in quiescenza proclama che riaffiderebbe l'indagine sul campionissimo al Dott. Gengarelli e che la riapertura è un atto dovuto.

Il nuovo Procuratore è Paolo Giovagnoli ed ha assegnato le nuove indagini alla Dott.ssa Elisa Milocco.

Brunel incontra due volte nell'arco di dieci mesi il Dott. Giuseppe Fortuni, il luminare incaricato di fare l'autopsia dal PM Gengarelli.

Il medico legale riceve il reporter francese nella sua villa di Bologna.

Dà l'impressione di respingere l'idea del suicidio.

"È vero che abbiamo trovato una grande quantità di cocaina nell'esofago. Sei volte la dose letale. Ma non ci si uccide con la cocaina. La cocaina dà una sensazione di onnipotenza, non la sensazione che se ne può morire, anche se l'avesse mangiata a cucchiaiate".

Nella stanza del Pirata c'era l'involucro di cibo proveniente da un ristorante cinese.

Il contenitore era stato ripulito con del pane e sul fondo non vi erano più fibre, ma solo una specie di crema omogenea.

Peccato che Pantani detestasse ed odiasse fermamente quel tipo di cucina.

L'involucro venne rinvenuto sul coperchio di un cestino della carta straccia.

Nei giorni trascorsi al residence riminese Marco aveva mangiato all'italiana, pizza e pasta, preparate da un ristorante sul litorale poco lontano, convenzionato con la struttura in cui soggiornava, pare in costante attesa dei suoi pusher.

La stanza sarebbe stata devastata.

Ma Pantani non aveva segni di ferite.

Vennero sottovalutate le lesioni che aveva sul collo, come se qualcuno avesse voluto immobilizzarlo da dietro.

Avrebbe così potuto ingerire forzosamente la cocaina letale.

La porta d'ingresso sarebbe stata ostruita dall'interno. (Continua nei prossimi giorni)

FINE DELLA PRIMA PARTE.

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