di Pasquale Ragone

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Sommario: 1. La normativa sulla prelazione nell' ordinamento giuridico italiano; 2. La durata del rapporto di prelazione; 3. Trasmissibilità del diritto di prelazione; 4. La prelazione testamentaria: il legato di prelazione; 4.1.Figure similari al legato di prelazione; 4.2 Limiti alla prelazione testamentaria; 4.3 Rimedi per il caso di violazione dell' obbligo di preferire.

1. La normativa sulla prelazione nell' ordinamento giuridico italiano.

Il codice civile

italiano, diversamente da quanto accade in altri ordinamenti, come quello tedesco , non contiene una organica disciplina del diritto di prelazione, né tantomeno una articolata regolamentazione di detto istituto, limitandosi ad accennare a quest' ultimo in determinate norme sparse nel c.c.: basti pensare all' art. 732 c.c., il quale prevede la cd. prelazione ereditaria; all' abrogato art. 966 c.c., che prevedeva la prelazione in favore del concedente nel caso di alienazione del fondo enfiteutico; all' art. 1566 c.c. il quale, esprimendosi in termini di "diritto di preferenza", disciplina l' ipotesi in cui il somministrato si sia pattiziamente obbligato a concedere al somministrante la preferenza nella stipulazione di un nuovo contratto di somministrazione; all' art. 230-bis c.c. il quale, introdotto nel codice dalle legge di riforma del diritto di famiglia, disciplina la prelazione nell' ambito della impresa familiare mediante un mero richiamo all' art. 732 c.c; all' art. 2441 terzo comma c.c., il quale disciplina il diritto di prelazione
nell' acquisto delle azioni (o delle obbligazioni convertibili) non optate di società non quotate in Borsa. Altre importanti fattispecie prelatizie sono poi contenute in larga parte nella legislazione speciale di cui, fra le principali, è bene citare: quella di cui all' art. 30 l. 1 giugno 1939 n. 1089 (oggi v. T.U. n. 42/2004) relativo alla prelazione dello Stato per l' acquisto di beni di interesse culturale; quella di cui all' art. 8 l. 26 maggio 1965 n. 590, modificato ed integrato dall' art. 7 della l. 14 agosto 1971 n. 817 concernente il diritto di prelazione in favore di chi coltiva fondi rustici o di chi coltiva fondi confinanti; quella di cui agli artt. 38 e 40 della l. 27 luglio 1978 n. 392 relativo alla prelazione per l' acquisto o per la locazione di edifici ad uso diverso dall' abitazione, in favore dei conduttori; quella di cui all' art. 24 r.d. 29 giugno 1939 n. 1127, relativo alla prelazione del datore di lavoro per l' acquisto di brevetti relativi a invenzioni dei dipendenti.

Nel diritto italiano dunque, la mancanza di un modello adeguatamente delineato della disciplina della prelazione, ha fatto sì che le varie ipotesi di prelazione in esso previste siano caratterizzate, oltre che da regolamentazioni a loro volta scarsamente organiche, da previsioni che nel modo più vario divergono anche sugli elementi fondamentali della fattispecie. Detta carenza di disciplina delle fattispecie prelazionarie nelle ipotesi legali inoltre, comporta altresì l' impossibilità di identificare anche una regolamentazione stabile relativamente alla prelazione volontaria, divenendo in tal modo compito dell' interprete interrogarsi circa le modalità e la regolamentazione delle svariate fattispecie che possono presentarsi nella pratica.

Ciò detto, con il presente lavoro, lungi dal voler delineare delle linee guida relative alle molteplici problematiche che dal punto di vista pratico il diritto di prelazione (sia legale che volontaria) comporta, si cercherà di analizzare più da vicino il fenomeno della trasmissione e della nascita del diritto di prelazione attraverso il fenomeno successorio.

2. La durata del rapporto di prelazione. 

Prima di passare all' analisi della possibilità che il diritto di prelazione venga trasmesso o nasca attraverso la vicenda successoria, pare opportuno analizzare le varie teorie susseguitesi in dottrina e giurisprudenza in ordine alla tematica, strettamente connessa all' argomento in esame, della ammissibilità della mancanza di un termine finale nel patto di prelazione nascente dalla volontà delle parti. 

Circa tale problematica più aperta si mostra la tesi, seguita anche in giurisprudenza , di chi ritiene che poiché il proprietario, nonostante vincolato ad un patto di prelazione, rimane comunque libero di disporre dei suoi beni, sarebbe ammissibile una prelazione senza limiti di tempo. E' stato affermato che non troverebbero applicazione nella fattispecie considerata le limitazioni stabilite, rispetto al divieto di alienazione dall' art. 1379 c.c., trattandosi nella specie di obbligazione sia pure condizionata di alienare e non già di non alienare; né può soccorrere il rimedio della fissazione del termine da parte del giudice secondo gli artt. 1183 e 1131 c.c. in quanto la previsione di un diritto di prelazione non comporterebbe l' annullamento della facoltà di disposizione da parte del proprietario, ma solo un limite soggettivo concernente la libera scelta del compratore. 

Tuttavia le perplessità che si manifestano circa tale questione hanno fonte nella considerazione che , mancando un termine, l' obbligo di preferire in molti casi sarebbe potenzialmente perpetuo, in contrasto con l' asserita ripugnanza del nostro ordinamento con i vincoli personali perpetui, che si traduce in un divieto generale inespresso d' ordine pubblico - economico . Dubbio appare dunque, che la carenza della espressa previsione di un termine finale, implichi necessariamente un intento delle parti rivolto a costituire un rapporto perpetuo: tale mancanza potrebbe intendersi piuttosto , come lacuna del regolamento contrattuale in ordine ad un aspetto del contenuto, e precisamente al quantum della prestazione che, in mancanza del termine, rimarrebbe indeterminato. Orbene, poiché in fattispecie similari che si verificano nell' ambito di contratti nominati, tale lacuna viene sempre colmata dall' intervento di norme suppletive, le quali rappresentano l' espressione del principio generale di conservazione dei negozi, sembrerebbe corretto invocare, per il caso in cui si volesse integrare il patto di prelazione carente del termine finale, la norma che regola la fattispecie rispetto alla quale sussistono maggiori elementi di analogia. Infatti è generalmente sostenuta , anche da coloro che valutano col massimo rigore la gravità del sacrificio imposto al promittente mediante il patto di prelazione, la tesi per cui la mancanza del termine non comporterebbe nullità . Viceversa, opinioni discordanti vi sono allorquando si tenta di individuare la norma applicabile per sopperire alla lacuna costituita dalla mancanza del termine. 

Secondo un primo orientamento, sostenuto dalla Giurisprudenza , basato sulla dubbia tesi che individua la natura giuridica del patto di prelazione in un preliminare unilaterale condizionato, il limite temporale sarebbe dato in ogni caso dalla morte del promittente, in quanto l' evento morte renderebbe definitivamente impossibile il verificarsi della condizione potestativa, consistente nella volontà del promittente stesso di addivenire alla stipula del contratto, cui sarebbe asseritamente subordinato l' obbligo di preferire. Tale tesi tuttavia deve ritenersi ormai abbandonata anche in giurisprudenza, laddove non è più seguito l' orientamento che riconduce il patto di prelazione al contratto preliminare, ritenendosi che il patto di prelazione sia un contratto puro, né preliminare, né condizionato. 

Secondo altra tesi intermedia , quando la prelazione trova la sua oggettiva ragione giustificatrice in una situazione giuridica permanente (la comunione ordinaria, la partecipazione ad una società) durerebbe fin quando permarrebbe la situazione giuridica cui essa inerisce; viceversa quando la ratio che sta alla base del diritto di prelazione è solo soggettiva, ossia determinata dall' interesse occasionale di chi la ottiene, può ritenersi che la sua durata non vada oltre un certo limite di tempo, applicandosi analogicamente quale termine massimo quello quinquennale previsto dalla legge all' art. 1566 c.c. per il patto di preferenza nel contratto di somministrazione e, secondo taluno , riguardante ogni ipotesi di patto di prelazione. Qualche autore ha ritenuto che l' applicabilità della norma anzidetta sarebbe possibile quantomeno in tutte le ipotesi di patto di prelazione intercorso fra imprenditori ed avente ad oggetto contratti pertinenti all' esercizio dell' impresa, potendosi ricondurre il termine quinquennale di cui all' art. 1566 c.c., al principio generale dettato in tema di patti regolatori della concorrenza, sancito nel secondo comma dell' art. 2596 c.c. 

Altra parte della dottrina invece, ignorando completamente la disposizione contenuta nell' art. 1566 c.c., al fine di integrare il patto di prelazione che sia carente del termine finale, preferisce invocare norme diverse: alcuni autori , ritengono che la mancata indicazione del termine non rende necessariamente nullo il patto, potendosi analogicamente applicare l' art. 1131 c.c., previsto in materia di opzione, con conseguente possibilità di fissazione del termine ad opera del giudice; altri affermano che, nel caso in cui il patto di prelazione sia sprovvisto del termine, si dovrebbe applicare ai fini della fissazione dello stesso non già l' art. 1131 c.c., quanto piuttosto l' art. 1183 c.c., relativo all' adempimento della obbligazione, ma applicabile per analogia all' esecuzione della stessa. 

Secondo altri autori ancora, dovendo il diritto di prelazione comunque essere ristretto entro convenienti limiti di tempo non essendo ammissibile, in base ad un principio generale desumibile da varie norme del codice civile, che si possa essere indefinitamente vincolati nella propria libertà contrattuale e nel potere di disporre, dovrà ritenersi generalmente applicabile anche al patto di prelazione, il limite temporale previsto dall' art. 1379 c.c. per il divieto contrattuale di alienazione (costituente il nucleo del patto di prelazione), il quale "non è valido se non è convenuto entro convenienti limiti di tempo". 

Orbene, nel prendere posizione sulla problematica in oggetto, anche alla luce degli orientamenti dottrinali innanzi citati, vale la pena osservare che il patto di prelazione, anche quando sia carente di un termine finale, nella maggior parte dei casi conterrebbe un termine implicito, soprattutto nel caso in cui l' obbligo di preferire si inserisca nel quadro di un rapporto contrattuale più complesso, laddove potrà verosimilmente essere destinato, secondo la volontà delle parti, ad avere la stessa durata del rapporto al quale inerisce: in tal caso risulterebbe operazione assai difficoltosa quella di apporvi un termine dall' esterno, integrando la stessa non già una integrazione della autonomia contrattuale, quanto piuttosto una coattiva sostituzione. 

Viceversa, qualora la perpetuità del vincolo risulti voluta, come per esempio potrebbe accadere nel caso di clausole, spesso ricorrenti nella pratica, con il quale il promittente obbliga se ed i propri successori mortis causa, non sembrerebbe corretto invocare, al fine di correggere tale intento, norme che contemplano casi differenti e che, per la loro stessa natura di limiti all' autonomia contrattuale, non sarebbero suscettibili di applicazione analogica: in particolare non l' art. 1379 c.c. in quanto se è vero che la prelazione rende più difficoltosa la circolazione dei beni, è altrettanto vero che essa, diversamente dal divieto di alienazione, non li immobilizza del tutto; non l' art. 1566 c.c il quale, come detto, si giustifica solo in virtù di caratteri particolari non rinvenibili in tutte le ipotesi di prelazione. Orbene in simili ipotesi non resterebbe quindi che ammettere la possibilità di un intervento del giudice. 

Tuttavia a ben vedere, se da un lato è pur vero che il nostro ordinamento male accetta vincoli perpetui, non deve tuttavia sorprendere il fatto che l' orientamento giurisprudenziale sia quello di ammettere la possibilità che il patto di prelazione manchi di un termine finale: l' efficacia del patto di prelazione infatti è strettamente connessa alla circostanza che lo stesso non sia ristretto in un ridotto arco temporale, potendo esplicare a pieno i suoi effetti in quanto tendenzialmente perpetuo e pienamente operativo allorquando il promittente addiviene alla decisione di concludere quel determinato contratto per il quale l' obbligo di preferire è previsto, indipendentemente dal tempo trascorso tra la stipula del patto di prelazione e l' anzidetta decisione del promittente .

3. Trasmissibilità del diritto di prelazione. 

Nonostante la Giurisprudenza pare ritenga ammissibile la configurabilità di un rapporto di prelazione privo di termine finale, la ansiosa ricerca volta ad assegnare a tutti i costi un termine finale di durata al rapporto di prelazione, ha indotto taluni ad affermare che l' obbligo di preferire, in linea di principio, non si trasmetterebbe agli eredi del promittente . Prevale tuttavia nettamente la tesi contraria secondo la quale la pretesa intrasmissibilità sarebbe incompatibile con i principi del nostro diritto successorio . E' bene sottolineare a riguardo che detto orientamento prevalente deve ritenersi senz' altro accoglibile, soltanto se si abbandona la tesi che configura la natura giuridica del patto di prelazione come un contratto preliminare unilaterale sottoposto a condizione potestativa: infatti, se si ricostruisse il patto di prelazione in questi termini, sarebbe pienamente giustificata l' osservazione per cui la condizione apposta al preliminare unilaterale costituita da un fatto proprio del promittente, con la morte di quest' ultimo, verrebbe definitivamente a mancare. I principi della successione universale comportano subingresso dell' erede nei rapporti giuridici facenti capo al defunto, ma non già equivalenza dei fatti da lui posti in essere a quelli che eventualmente avrebbe dovuto compiere il defunto. Viceversa se si accoglie la tesi dominante, secondo la quale l' obbligo di preferire ha per oggetto una prestazione del tutto peculiare, di facere fungibile, allora non si presentano ostacoli alla trasmissione dell' obbligo testè citato all' erede, secondo i principi del diritto successorio, ivi compreso l' erede accettante con beneficio di inventario, giacchè in quest' ultimo caso, il rispetto delle regole procedimentali da osservarsi per l' alienazione dei beni, a tutela di certi creditori ereditari, non può imporre il sacrificio di un altro creditore, qual è il promissario della prelazione . E' stato altresì acutamente osservato che, pur se corretto ritenere possibile la trasmissione dell' obbligo di preferire in capo all' erede, è comunque necessario avere riguardo al carattere strumentale del negozio preparatorio di prelazione in quanto, qualora quest' ultimo abbia ad oggetto un contratto in cui rilevi l' intuitus personae, tale cioè che il rapporto si sciolga per effetto della morte di uno dei contraenti, conseguentemente anche l' obbligo di preferire si estinguerà con il decesso del promittente. 

Addirittura, relativamente alla trasmissibilità del lato attivo agli eredi del promissario, l' intuitus personae pare influire in maniera ancora maggiore, ritenendosi che ogni volta in cui la prelazione sia stata originata da un atto avente natura di liberalità , deve escludersi in radice la trasmissibilità mortis causa della stessa: un principio generale in tal senso potrebbe ricavarsi sia dall' art. 772 c.c. il quale, in relazione alla donazione di prestazioni periodiche, afferma che questa si estingue con la morte del donante, salvo che dall' atto risulti una diversa volontà, sia dall' art. 1811 il quale, nel caso di morte del comodatario, attribuisce al comodante, benchè sia convenuto un termine, di esigere dagli eredi l' immediata restituzione della cosa.

4. La prelazione testamentaria: il legato di prelazione. 

E' da ritenersi possibile che il diritto di prelazione trovi la sua fonte nel testamento attraverso la previsione di un legato atipico mediante il quale il testatore attribuisca ad un determinato soggetto il diritto ad essere preferito, a parità di condizioni, nella stipulazione di un determinato contratto. In tal caso l' onerato del legato (sia esso erede o legatario), in una eventuale e futura negoziazione di un determinato bene, sarà tenuto a preferire il legatario a qualsiasi altro soggetto, a parità di condizioni. La prelazione testamentaria dunque potrà avere fonte sia in un legato, che in un sublegato o in un prelegato: ovviamente l' onerato sarà sempre libero di non negoziare dal momento che il diritto di prelazione diverrà produttivo di effetti solo se ed in quanto egli deciderà spontaneamente di addivenire alla conclusione del contratto. Il prelazionario potrà essere erede, legatario o anche un soggetto indeterminato al momento della confezione del testamento, purchè sia determinabile in seguito sulla base di indicazioni fornite dal testatore, non potendosi concretizzare la scelta dell' onerato in un mero arbitrio. Il testatore inoltre ben potrà prevedere più prelazionari, spingendosi sino a prevedere più prelazionari congiunti e stabilire anche il venir meno del diritto di prelazione qualora non accettino tutti. Il testatore potrà altresì indirizzare la scelta dell' onerato verso una serie di alternative tra più prelazionari o, ancora, similmente al meccanismo della sostituzione, individuare un soggetto prelazionario prevedendone un altro in sostituzione, qualora il primo non possa o non voglia accettare. Tale fattispecie di legato è inquadrabile nella categoria dei cd. legati obbligatori, aventi la caratteristica di far sorgere in capo all' onerato un obbligo e in capo al legatario un diritto di credito . I beni, per i quali può essere attribuito l' obbligo di preferenza attraverso il legato, ben potranno appartenere sia alla massa ereditaria che ad un legatario, ritenendosi altresì possibile che il vincolo prelazionario riguardi anche un bene dell' onerato. E' possibile altresì che il vincolo abbia ad oggetto anche beni futuri, purchè questi ultimi siano determinabili alla luce di indicazioni fornite dal testatore. Inoltre nulla esclude la possibilità per il testatore di attribuire al legatario il diritto ad essere preferito anche nel caso di alienazione della eredità: infatti, come è possibile che il vincolo riguardi uno o più beni, di sicuro sarà altresì possibile attribuirlo per il caso di vendita dell' intero asse ereditario. 

Tale tipo di prelazione non deve essere confusa e va nettamente distinta dal diritto di prelazione previsto dall' art. 732 c.c., il quale invece disciplina l' ipotesi di prelazione legale operante nel caso di alienazione della quota ereditaria che, nel caso di violazione dei diritti spettanti al prelazionario, è altresì assistita dal c.d. retratto successorio. La prelazione testamentaria viceversa, trova fonte nella volontà del testatore ed ha ad oggetto non già la quota ereditaria, bensì singoli beni: trattandosi dunque di prelazione volontaria nel caso di violazione della stessa, diversamente dalle ipotesi di prelazione legale, il prelazionario non potrà avvalersi della tutela reale del riscatto, potendosi giovare del solo rimedio risarcitorio. 

Tuttavia, nonostante le oggettive differenze esistenti tra il legato di prelazione e la prelazione legale di cui all' art. 732 c.c., non è da escludersi la possibilità che le due fattispecie innanzi dette coesistano : basti pensare all' ipotesi in cui ad un soggetto non coerede sia attribuito il diritto di prelazione proprio sulla quota ereditaria, ampliandosi così in modo pattizio l' elemento soggettivo del diritto di prelazione previsto dalla legge in favore dei coeredi. 

Secondo autorevole dottrina che si è occupata dell' argomento la fattispecie in esame, seppur legittima dal punto di vista giuridico, incontrerebbe comunque il limite legale, inderogabile, di dover rispettare la prelazione legale prevista in favore dei coeredi: conseguentemente il diritto di prelazione attribuito al legatario sarà esercitabile subordinatamente al diritto di prelazione legale di cui all' art. 732 c.c. 

4.1. Figure affini. 

Al fine di meglio cogliere le peculiarità di tale figura, è altresì opportuno distinguerla da altri istituti similari, che nella pratica possono presentarsi all' attenzione dell' operatore giuridico. 

Preliminarmente pare opportuno cogliere le differenze esistenti tra il legato di prelazione vero e proprio ed il legato di contratto. Orbene, intuitivo è osservare che la differenza tra le due figure riecheggia quella sottolineata da dottrina e giurisprudenza tra contratto preliminare e patto di prelazione . Con il legato di contratto infatti, al legatario viene attribuito il diritto di concludere con l' onerato un determinato contratto: il legatario pertanto in caso di inadempimento da parte dell' onerato, ove possibile, potrà beneficiare anche del rimedio dell' esecuzione in forma specifica previsto dall' art. 2932 c.c. Viceversa, mediante il legato di prelazione, al legatario viene attribuito soltanto il diritto ad essere preferito, a parità di condizioni, nella stipulazione di un determinato contratto, qualora l' onerato stesso liberamente decida di addivenirne alla relativa conclusione. Conseguentemente l' onerato non sarà assolutamente obbligato alla stipula del contratto per il quale la prelazione è prevista, ma sarà solo obbligato a preferire il legatario, a parità di condizioni, se e solo quando deciderà di concluderlo e, nel caso di inadempimento, sarà soggetto al solo rimedio risarcitorio. 

Potrebbe accadere anche che il testatore, ove possibile, attribuisca al legatario un diritto di prelazione del quale egli risulti già titolare in virtù di un precedente negozio inter vivos: in tal caso dunque non saremo di fronte ad un vero e proprio legato di prelazione mediante il quale si crea in capo al legatario, al momento dell' apertura della successione, il diritto di prelazione, trattandosi semplicemente di un legato il cui oggetto è rappresentato da un diritto di credito già presente nel patrimonio del testatore. E' bene sottolineare che, anche in tal caso, qualora il diritto di prelazione spettante al testatore gli sia pervenuto in virtù di un atto a titolo gratuito, più controversa sembrerebbe la possibilità che esso possa essere oggetto della disposizione testamentaria a titolo particolare, soprattutto qualora si aderisse alla tesi secondo la quale, nel caso di attribuzione a titolo gratuito dell' obbligo di esser preferiti, occorrerebbe comunque tener conto di quanto disposto dall' art. 769 c.c. 

Può accadere altresì che il de cuius, oltre che attribuire in modo diretto per testamento il diritto ad essere preferiti, attribuisca al legatario il diritto a concludere con l' onerato un contratto di prelazione: è evidente che anche in tale ipotesi, non saremo in presenza di un vero e proprio legato di prelazione, bensì si tratterà di un legato di contratto, il cui oggetto sarà proprio il diritto di prelazione e conseguentemente, ciò che farà capo al legatario non deriverà dal testamento, ma sarà il frutto del patto di prelazione inter vivos che onerato e legatario avranno concluso in virtù del legato disposto dal testatore. 

Diverso è invece il caso in cui sia oggetto di legato il bene soggetto alla prelazione: in tal caso il legatario, non subentrando nei debiti ereditari (arg. Ex art. 752 e 756 c.c.), non sarà assolutamente obbligato a preferire il prelazionario nella stipula di alcun contratto, a meno che il testatore stesso gli abbia espressamente imposto un determinato onere, sia pure entro i limiti del valore della cosa legata, così come prescritto dall' art. 671 c.c . In tal caso, con la previsione del legato, avendo il promittente - testatore disposto del bene, verrà meno la possibilità di esercizio della prelazione stessa senza che vi sia un inadempimento da parte del promittente - testatore, dal momento che, essendo il legato una disposizione a titolo liberale, è esclusa la prelazione mancando la parità di condizioni (salvo il caso in cui sia stata prevista la cd. prelazione impropria).

4.2. Limiti alla prelazione testamentaria 

Al fine di un valido inserimento nella scheda testamentaria della disposizione attributiva del diritto di prelazione, pare opportuno analizzare l' eventuale sussistenza di limiti alla stessa, soprattutto alla luce del fatto che, secondo alcuni, traendo tale attribuzione la sua liceità dalla possibilità di prevedere per il testatore il maggiore limite del divieto di alienazione di cui all' art. 1379 c.c., ci si chiede se i limiti previsti in tale norma debbano applicarsi anche alla disposizione in esame: ci si chiede quindi se, anche nell' attribuzione del diritto di prelazione, il testatore debba avere un apprezzabile interesse e se l' obbligo di preferire imposto all' onerato debba essere convenuto entro convenienti limiti di tempo. 

Coloro che ritengono applicabili i suindicati limiti anche alla prelazione testamentaria, partono dal presupposto per cui ai negozi mortis causa debbano applicarsi le norme sui contratti in virtù del richiamo contenuto nell' art. 1324 c.c. Tuttavia, come innanzi detto, dottrina maggioritaria e giurisprudenza ritengono che il divieto di alienazione sia una fattispecie del tutto differente dal diritto di prelazione, non incidendo quest' ultima sul potere di disposizione del bene, ma limitandosi solo a prevederne alcune modalità di esercizio. Conseguentemente non si dovranno applicare alla fattispecie in esame le prescrizioni previste dall' art 1379 c.c. per il divieto di alienazione. Altri autori, sulla base di quanto detto innanzi in ordine alla necessità o meno della presenza di un termine finale nel patto di prelazione, ritengono che anche la prelazione disposta per testamento debba essere accompagnata da un termine finale, non essendo ammissibili nel nostro ordinamento vincoli perpetui: alcuni ritengono applicabile anche in tal caso la disposizione di cui all' art. 1566 c.c.; altri invece affermano che l' eventuale lacuna costituita dalla mancanza del termine debba essere colmata dal giudice ex art. 1331 c.c. o, ex art. 1183 c.c. Pare tuttavia a riguardo preferibile la tesi, sostenuta anche in giurisprudenza , secondo la quale sarebbe ammissibile un diritto di prelazione privo di termine finale, in virtù delle considerazioni innanzi esposte. 

Ci si chiede inoltre se la prelazione testamentaria rientri o meno nel divieto di imporre pesi e condizioni previsto dall' art. 549 c.c. Basti pensare al caso in cui il testatore istituisca erede il legittimario nella quota lui riservata, imponendogli tuttavia di preferire un altro soggetto qualora intenda alienare un bene ereditario o, addirittura, un proprio bene. Orbene, circa tale questione, secondo autorevole dottrina in materia, la risposta non può che essere positiva, alla luce del fatto che, essendo la clausola prelatizia qualificabile come legato ad effetti obbligatori, la stessa potrà gravare sulla quota del legittimario solo nei limiti della disponibile, senza poter in alcun modo incidere sulla quota di riserva. Il legato di prelazione pertanto, come ogni altro legato obbligatorio, impone un vincolo dal quale deriva un ridimensionamento economico del valore della istituzione: tale previsione dunque, alla luce di quanto affermato dalla prevalente dottrina in materia di sanzioni per il caso di violazione del divieto di cui all' art. 549 c.c., dovrà essere considerata come non apposta o, al massimo, potrà assumere l' aspetto di una mera raccomandazione morale, che l' onerato rimarrà in ogni caso libero di onorare . 

4.3 Rimedi per il caso di violazione dell' obbligo di preferire.

Come già accennato il prelazionario, nel caso di violazione dell' obbligo di preferire previsto dal testatore, come in ogni altra prelazione pattizia, non è assistito da una tutela di tipo reale, potendosi solo valere del rimedio risarcitorio nei confronti dell' onerato. Tuttavia il testatore potrebbe avvalersi di una serie di istituti al fine di rafforzare maggiormente il vincolo prelatizio: infatti, premesso che secondo l' opinione prevalente la clausola penale può trovare sicuramente cittadinanza nel testamento affiancandone le relative disposizioni, la previsione della stessa per il caso in cui l' onerato non rispetti il vincolo di preferire lui imposto dal testatore, potrebbe essere un ottimo incentivo all' adempimento. 

Inoltre, senza soffermarci in questa sede in ordine alla ammissibilità di dedurre quale evento sospensivamente o risolutivamente condizionante rispettivamente l' adempimento o l' inadempimento , altro mezzo utilizzabile al fine di incentivare l' adempimento dell' obbligo di preferire da parte dell' onerato potrebbe essere quello della condizione risolutiva, laddove la istituzione di erede o il legato vengono risolutivamente condizionati all' inadempimento dell' obbligo di preferire. Il verificarsi della condizione risolutiva risolverebbe non solo l' istituzione di erede o il legato, ma anche il negozio dispositivo fatto in dispregio dell' obbligo di preferire, in virtù di quanto sancito dall' art. 1357 c.c.: in tal modo il patto di prelazione sarebbe connotato, per volontà del testatore, di una sorta di efficacia reale e riflessa, divenendo opponibile anche ai terzi acquirenti come effetto naturale della condizione. Il terzo acquirente infatti, non potrebbe nemmeno invocare a suo favore le norme dettate in materia di erede apparente, dal momento che, non potrà invocare di non essere a conoscenza, sulla base del testamento, della condizione risolutiva apposta alla disposizione , mancando così il requisito della buona fede richiesto dall' art. 534 c.c. E' bene sottolineare che gli effetti della condizione risolutiva in esame sono del tutto differenti da quelli derivanti dall' esercizio del c.d. retratto successorio: quest' ultimo infatti fa si che il bene venga attribuito al prelazionario leso, viceversa nel caso di avveramento dell' evento dedotto in condizione risolutiva, così come anzidetto, il bene tornerà all' eredità e non al prelazionario. Deve infine sottolinearsi la possibilità che il testatore condizioni risolutivamente non già l' istituzione di erede o il legato, ma solo la singola disposizione attributiva del bene per il quale la prelazione è prevista: in tal caso quindi, in caso di avveramento della condizione, il singolo bene tornerà nell' asse ereditario, rimanendo salva l' istituzione di erede o il legato.

In conclusione la possibilità per il testatore di attribuire, attraverso il negozio testamentario, il diritto di prelazione, potrebbe essere un ulteriore mezzo utile a migliorare la realizzazione di un preciso disegno che il egli si è prospettato in ordine alla destinazione da dare al proprio patrimonio. Infatti, con la previsione del diritto di prelazione, il testatore potrebbe far si che, oltre ad aver disposto in un certo modo dei beni costituenti il proprio patrimonio, anche mediante istituti aventi carattere divisionale, sia conferito ai beni stessi un ulteriore particolare indirizzo per il caso in cui i soggetti beneficiati intendano liberarsi degli stessi.

di Pasquale Ragone (Specializzato in Gestione Patrimoniale, diritto delle successioni e diritto societario)

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