-  Come recita un vecchio adagio: "tra moglie e marito non mettere il dito".

In molte coppie, spesso, il "dito impertinente e molesto" e' proprio quello della suocera che con atteggiamenti invadenti tende a minare l'equilibrio armonico dei coniugi al punto tale da poter creare, in alcuni casi, il fallimento di un matrimonio.

La Cassazione con la sentenza n. 4540 del 24/02/2011 ha stabilito che, nel caso di suocera invadente, al coniuge che abbandona la casa coniugale non può essere attribuita la colpa della separazione.

L'abbandono del tetto coniugale, senza il consenso dell'altro coniuge e con il rifiuto di farvi ritorno, configura, di norma, una violazione di un obbligo matrimoniale e di conseguenza causa di addebito della separazione .

Anche se oggi non c'è più il reato di abbandono del tetto coniugale, l'abbandono  della casa familiare ha comunque delle conseguenze rilevanti.

L'articolo 570 del codice penale (titolato come "violazione degli obblighi di assistenza familiare") punisce con la reclusione fino ad un anno o con una multa da 103,00 euro a 1.032,00 euro "…chiunque abbandonando il domicilio domestico si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla qualità di coniuge…".

Secondo la Suprema Corte perché possa configurarsi il reato relativo "all'allontanamento dell'imputato dall' abitazione coniugale " e' necessario che la condotta relativa all'allontanamento si connoti di disonore etico sociale.

Inoltre, non è punibile  l'allontanamento in sé per sé, ma quello privo di una giusta causa.

L'abbandono del tetto coniugale, pertanto, e' legittimato da una giusta causa come ad esempio nel caso di frequenti litigi di uno dei due coniugi con la suocera, qualora questo determini un progressivo deterioramento del rapporto coniugale.

In questo caso, nessun addebito di responsabilità può essere mosso nei confronti del coniuge che una tale condotta abbia posto in essere."

Ma vediamo nei dettagli cosa dice la Cassazione nella sentenza in esame, nel ricostruire la vicenda.

La Corte d' Appello  di L'Aquila, in parziale riforma di una precedente pronuncia del Tribunale di Pescara, confermava l'esclusione dell'addebito al marito  imputandolo alla moglie mentre obbligava il padre a corrispondere in favore dei figli la somma di Euro 500,00 oltre metà delle spese straordinarie.

Secondo il ragionamento seguito dalla Corte d'Appello, la separazione era addebitabile alla moglie per aver ella abbandonato la sua residenza ingiustificatamente, non avendo il marito compiuto atti di violenza, o di tradimento o comunque di gravità tale da impedire alla stessa di attendere i tempi della separazione giudiziale.

Avverso la decisione della Corte d'Appello, la Signora proponeva ricorso in Cassazione deducendo ben sette motivi tra questi quello che la Corte territoriale

 aveva trascurato il valore probatorio - decisivo - della ormai prolungata irrimediabile compromissione del rapporto matrimoniale, determinata, da quotidiani e plateali litigi con la suocera .

La Suprema Corte riteneva di condividere le considerazioni esposte dalla ricorrente sostenendo che l'intollerabilità della convivenza, che cagiona in astratto tale violazione, non necessariamente deve manifestarsi in atti di violenza, essendo sufficiente anche un contesto di vicendevole intolleranza. 

Essendo, dunque, palese il denunciato vizio di motivazione, la Corte accoglieva il ricorso, cassava la sentenza impugnata e rinviava anche per la determinazione delle spese del giudizio, alla Corte d' Appello  di L'Aquila in diversa composizione.

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